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Luca Ronconi
 
L'uomo difficile

(a. Hugo von Hofmannsthal)
(sc. Margherita Palli)
(c. Vera Marzot)


traduzione: Gabriella Bemporad
luci: Sergio Rossi

con ( in ordine alfabetico ): Mauro Avogadro, Paola Bacci, Paola Bigatto, Riccardo Bini, Massimo De Francovich, Nicola Donalisio, Marisa Fabbri, Annamaria Guarnieri, Enrico Longo Doria, Franco Mezzera, Carlo Montagna, Umberto Orsini, Massimo Popolizio, Galatea Ranzi, Alvia Reale, Luca Ronconi*, Luciano Virgilio, Gabriella Zamparini
*Dopo le prime recite Luca Ronconi lascia il ruolo del cameriere Lukas a Pino Patti

Produzione Teatro Stabile di Torino


Torino, Teatro Carignano
23/05/1990



dal "Patalogo 13" (Ubulibri, Milano, 1990)
per gentile concessione della Associazione Ubu per Franco Quadri

'Com'è bello avere un programma, allora tutte le cose ingranano', dice nel secondo atto dell'Uomo difficile la sorella fiduciosa del protagonista. Vorrei riferire la battuta alla creativa stagione de Teatro Stabile di Torino ora che, giungendo a conclusione, più nitidamente rivela le concatenazioni di una progressiva indagine nella drammaturgia di un secolo a caccia d'identità: a ritroso, toccando problemi del comunicare e della realizzazione indi viduale, da una Berlino ancora divisa dal Muro, a sogno americano tormentato dai complessi di col pa di O'Neill, alla Vienna dell'impero in crisi, oggetto di questa puntata.
Franco Quadri ( La Repubblica - 25 maggio 1990)

A dar voce e modi al vecchio servitore di Buhl, 'l'uomo difficile', è niente meno che Luca Ronconi, regista della commedia di Hugo von Hofmannsthal. Ride Ronconi un po' divertito e impacciato, all'idea che qualcuno rivedendolo in scena dopo tanti anni (ne sono passati ventitre, dal giorno in cui sostituì per qualche sera un attor giovane nella Torre, sempre di Hofmannsthal) dirà inevtabilmente: 'Anche lui, come Strehler!'. Si schernisce ('Solo qualche battuta, nel primo atto'), quasi scusandosi di aver ceduto alla tentazione per amore della commedia: 'È Lukas a presentare 'L'uomo difficile': e in una così bella distribuzione del cast, non si trovava disponibile un interprete all'altezza della parte e della compagnia’.
Silvia Del Pozzo ( Panorama - 20 maggio 1990)

La prima scena fra i due camerieri, con Mauro Avogadro che recita 'alla Ronconi' con lenti movimenti stilizzati e Ronconi stesso (nel ruolo di Lukas), che recita in maniera tradizionale, è una meraviglia (a proposito, quanto è più bravo Ronconi come attore dell'altro grande regista del teatro italiano!).
Guido Almansi ( Panorama - 10 giugno 1990)

Tra le partecipazioni straordinarie non va dimenticato il suggello affettuoso di Ronconi, che nella parte del servo Luca, custode dell'antico cerimoniale, è forse un po' troppo ronconiano, più regista che maggiordomo.
Franco Quadri ( La Repubblica - 25 maggio 1990)

Questo suo incontro con L'uomo difficile, se non sbaglio, ha avuto lunghe premesse.

Da anni Ronconi me lo proponeva, dicendo che mi trovava ideale per la parte. Ho accettato soltanto ora perché è capitata la fortunatissima occasione di una compagnia così importante dove attori dì grido si prestano a far partì non da protagonisti: requisito indispensabile per un testo in cui anche i piccoli ruoli vanno distribuiti in maniera degna. Compagnia cui lei appartiene? No: io sono affettivamente, emotivamente, ideologicamente legato alla compagnia, ma non ne faccio parte integrante: mi considero in prestito, per gentile concessione del Teatro Eliseo. E stato un incontro quasi inevitabile: in Italia, dove queste cose capitano così di rado, è giusto che quelle poche forze che fanno un discorso di qualità, di impegno e dignità professionale operino insieme.
Umberto Orsini (Intervista di Donata Gianeri, Stampa Sera - 7 maggio 1990)

Vorrei che le prove non finissero mai, con un regista come Luca sono il momento più esaltante. Ho compreso il disagio in cui vive il mio personaggio, che in realtà non è un sopravvissuto, ma un già morto, che vive nella confusione e non riesce ad avere il controllo delle sue azioni come delle sue parole. La battuta chiave del dramma è 'le parole sopiù un piccolo gruppo di attori coccolato da una regione, ma un folto gruppo di attori che diventerà parte del tessuto teatrale di una grande città europea. Tutto ciò rappresenta un momento molto importante sia per Torino che per noi.
Annamaria Guarnieri (dichiarazioni raccolte da Donata Gianeri, Stampa Sera - 21 maggio 1990)

Il lavoro di Ronconi, qui giunto a un grande traguardo di lucidità ironica e comica festosità, è il pegno di una scommessa vinta. Ma quel lavoro non non può non farci riflettere ancora, settant’anni dopo la prima di quest'opera.
Ugo Volli ( Grazia - 3 giugno 1990)

Nel mettere in scena questo capolavoro del teatro novecentesco per lo Stabile di Torino, Ronconi ha compiuto una serie di 'mosse tonali' che vanno dall'ambiente al gesto, dalla postura dell'attore al ritmo delle battute. Era importante non solo delineare il carattere del protagonista e del suo mondo, ma rendere percepibile la sua trasformazione nell'arco della commedia. Cosi si passa dalla compiutezza perfetta del primo atto alla sovraeccitazione del secondo e alla concitazione comica del terzo atto.
Maurizio Grande ( Rinascita - 10 giugno 1990)

Ma proprio il meccanismo della commedia 'di conversazione' viene scardinato dall'insistito ritornare del protagonista sull'impotenza della parola, che si manifesta già nell'orrore per una comunicazione telefonica o nel rifiuto di tenere un discorso in parlamento: fino a proclamare apertamente l'indecenza' della parola. E a far risaltare questo suo punto di vista c'è, beninteso, il coro di chi al potere della parola ci crede fin troppo, a cominciare dalla sorella petulante e intrigona (Marisa Fabbri), indiscreta per metodo, tutta entusiasmi e palpiti nel bisogno di programmare la vita altrui.
Gianni Manzella ( Il manifesto - 25 maggio 1990)

È un virtuosistico esercizio di stile quello messo in scena da Ronconi: un esercizio di stile che, pebuffo e inquietante andamento verticale) la stupenda 'chiacchera', la conversazione implacabilmente e, se così si può dire, eroicamente frivola in cui il senso della commedia si manifesta e al tempo stesso si nega, si nasconde, hanno una continuità e una fluidità ammirevoli.
Giovanni Raboni ( Corriere della Sera - 25 maggio 1990)

Umberto Orsini, folgorato da uno di quegli incontri che segnano la carriera di un attore, tanto coinvolto nel profondo da recitare con le spalle, spesso rivolte al pubblico, col silenzio, coll'immobilità, pronto peraltro a ogni minimale mutamento di espressione, trascorrendo dal balbettio all'affannata accelerazione delle frasi, rivelando d'un tratto negli occhi una disponibilità infantile, lineare nel suo dire senza dire come nel suo non dire dicendo, anche quando l'obliquità insistita di una posa o uno scarto della voce secca lo conducono fuori dalla sua stilizzata naturalezza, per esempio su un piedistallo da monumento. Forse la suggestione del testo contribuisce a rendere così ardua la ricerca delle parole per dar conto di un'interpretazione, ma la perfezione dello spettacolo è verificata dalla necessità di ricorrere per descriverlo alle battute a cui ogni suo dettaglio viene riferito, a partire dalla figuratività.
Franco Quadri (cit.)



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