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Luca Ronconi
 
Fedra

(a. Jean Racine)
(sc. Margherita Palli)
(c. Carlo Diappi)


traduzione: Giovanni Raboni

con ( in ordine alfabetico ) Raffaella Azim, Liana Casartelli, Claudio Cassinelli, Annamaria Guarnieri, Paola Mannoni, Laura Panti, Roberto Trifirò, Luciano Virgilio

Produzione Teatro Stabile di Torino


Prato, Teatro Metastasio
26/04/1984



Leggi la selezione della
rassegna stampa


dal "Patalogo 7" (Ubulibri, Milano, 1984)
per gentile concessione della
Associazione Ubu per Franco Quadri

Considerato intraducibile per la preziosità ritmica dei suoi versi e praticamente mai rappresentato in Italia in edizioni di alto livello, Racine non è nostro contemporaneo. Si consuma a distanza di anni luce la vivisezione dei sentimenti messa in atto dai suoi personaggi, gingillandosi, come con un alimento, con le ricercatezze di un linguaggio remoto, sulla scia di altre irripetibili tragedie. Forse proprio per questo un regista come Luca Ronconi, da sempre preoccupato di far rivivere nei suoi allestimenti di classici l'irrecuperabile rapporto instaurato al momento della creazione, con la sua Fedra lavora prima di tutto su una contaminazione temporale. Piazza questi personaggi già bifronti di fatto appartenenti a una corte secentesca per quanto situati in una mitica Grecia in un'epoca intermedia rispetto a noi, avvolti in sontuosi e stupendi funebri costumi ottocenteschi, a mimare con cura ossessiva movenze manieristiche del Grand Siècle, quasi si trattasse di restituire non l'opera, quanto una sua messinscena.
Franco Quadri ( Panorama - 21 maggio 1984)

Il regista ha intrapreso a leggere il testo tra e sotto le righe, in quella 'partitura seconda' che ogni grande opera cela sotto quella letterale. Ne ha cavato tre tragedie almeno: quella del destino, che impone, senza alcuna ragione, agli individui di essere ciò che non vorrebbero (Teseo un errabondo uccisore di mostri, Fedra una regina sola, arsa da un fuoco incestuoso, Ippolito un misogino e cauto ginnasta); quella del potere, che li assoggetta alle sue torbide leggi, alle sue sfiancanti altalene (chi sarà re, se Teseo è morto, Ippolito, o il figlio di Fedra, oppure Aricia, la prigioniera ateniese di sangue reale?); e, infine, quella dell'identità personale, il contrasto in questi esseri tra l'intima 'natura' e l'esteriore 'persona' tra la loro condizione psicologica e il loro comportamento sociale, impersonato genialmente da Racine in quelle tre ombre o specchi di nutrici-precettori-confidenti che sono, per Fedra, Ippolito, Aricia rispettivamente Enone, Teramene, Ismene, vere e proprie proiezioni, nel male e nel bene, della loro insanabile dissociazione. E, infine, Ronconi ha trasposto queste tre tragedie interne alla tragedia 'prima' in qualche modo canonica, in un progetto scenico che assai finemente le fonde e le rispecchia: in quello spazio uno e trino ideato da Margherita Palli in cui l'idea di osservatorio celeste (dunque di specola del destino), di reggia con archi e colonne (recinto dunque del potere) e di sala di conversazione-confessione, dai divani severi, dalle ampie poltrone, mirabilmente convivono.
Guido Davico Bonino ( La Stampa - 11 maggio 1984)

Lo spettacolo di Ronconi, su questa strada della ricerca di una misura diversa da quella dello splendore poetico e della verosimiglianza psicologica, paga qualche prezzo. Rinuncia al ritmo garantito del verso per tentarne uno più rischioso e sotterraneo, e talvolta soffre di rallentamenti e spaesamenti. Ma nell'insieme riesce, senza dichiarare tesi esplicite o attualizzazioni frettolose, a accendere sospetti e curiosità, a illuminare zone di mistero senza peraltro schiarirle fino in fondo, insomma a portarci dentro al mondo di Racine come stanza chiusa, sì, ma nella quale è possibile entrare con chiavi diverse da quelle abituali.
Renzo Tian ( Il Messaggero - 30 aprile 1984)



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