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Luca Ronconi
 
Santa Giovanna

(a. George Bernard Shaw)
(sc. Cosma Emmanuel)
(c. Jost Jakob)


traduzione: Ugo Tessitore
adattamento di Luca Ronconi con gli allievi dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio d'Amico
musiche: Paolo Terni

con ( in ordine alfabetico ) Adriana Asti, Marco Bellocchi, Franco Castellano, Roberto Cavosi, Giancarlo Cosentino, Antonello Dose, Salvatore Loriga, Daniele Melani, Danilo Nigrelli, Marco Nocca, Totò Onnis, Massimo Popolizio, Marco Presta, Marcello Scuderi, Nuccio Siano, Luca Zingaretti

Produzione Compagnia di prosa Adriana Asti


Pistoia, Teatro Manzoni
01/03/1984



dal "Patalogo 7" (Ubulibri, Milano, 1984)
per gentile concessione della
Associazione Ubu per Franco Quadri

Io non ho scelto Santa Giovanna perché è scritta per una primadonna che se ne sta pure seduta nel titolo. Questo personaggio mi ha attratta perché è curioso da interpretare, fuori dalla norma, un po' misterioso, sente le voci. Insomma, mi piace proprio essere Giovanna d'Arco anche se non sarò certo una Falconetti o una Bergman. Non mi interessa fare la Santa.
Adriana Asti ( Corriere della Sera - 17 ottobre 1983)

Luca Ronconi, che a teatro ama le scommesse, stavolta ne ha varate due in una, col mettere in scena la Santa Giovanna di Shaw. La prima scommessa era di fare una distribuzione dove, a eccezione della protagonista Adriana Asti, tutti gli altri fossero giovani e sconosciuti allievi dell'Accademia Nazionale di Arte Drammatica. La seconda scommessa o sfida stava nell'aver scelto, proprio lui, Ronconi che col teatro di parola ha ancora vecchi conti da regolare, una 'commedia di conversazione', dove tutto è detto, parlato, argomentato. A conti fatti le scommesse, come tali, possono considerarsi vinte. Se c'è un perdente, è semmai l'immagine di Ronconi regista, che sembra come dileguata, mutata e mimetizzata, al punto da poterla riconoscere soltanto a sprazzi.
Renzo Tian ( Il Messaggero - 5 gennaio 1984)

È piaciuto a Luca Ronconi mettere in scena quest'opera tenera e struggente, in cui l'irrazionale è una ragione superiore, ma con spirito non completamente shawiano, e quasi con una specie di riserva sulla tragica misura interiore sulla stessa consistenza fenomenica di Giovanna, se, oltre a vestirla da signora borghese al momento di recitare, dopo il primo atto, un brano della famosa Prefazione, in tale abito affettato la rifà comparire nell'Epilogo, per nulla avvalorando una immagine che fu pur fissata da un martirio dato e subito non per un gioco di società.
Odoardo Bertani ( Avvenire - 5 gennaio 1984)

Non mi pare che Luca Ronconi abbia molto creduto nel testo. Ci si è divertito, forse, ma non ci si è appassionato. Un dramma di parola come questo esige che la prima cura di un regista sia dedicata alla qualità della recitazione. E soltanto dalla qualità della recitazione che prendono rilievo e splendore le idee. Ora, può darsi che, lavorando su giovani inevitabilmente inesperti, Ronconi si sia reso conto che sarebbe stato impossibile ottenere quei fulgori e quelle sfumature, quelle puntualizzazioni stilistiche e caratteriali di cui ognuno di questi personaggi necessita. Si è dunque rifugiato nella visualità e nella gestualità, che sono d'altronde gli elementi del teatro che gli risultano più congeniali. Allora noi ci chiediamo è possibile e utile mettere in scena Santa Giovanna senza disporre di quei cinque, sei attori di vaglia da collocare intorno alla protagonista? A che serve mandare allo sbaraglio in ruoli che per loro sono ancora inaccessibili dei giovani entusiasti?
Roberto De Monticelli ( Corriere della Sera - 5 gennaio 1984)

Ma un senso, anzi un doppio senso, l'operazione ce l'ha: sul piano dei contenuti si esaspera così il contrasto tra il mondo fantastico della protagonista e il piatto buonsenso di chi la contorna; sul piano delle strutture a venire esaltato è invece il livello espressivo che esiste ormai usualmente nelle maggiori compagnie italiane. Sugli allievi Ronconi ha svolto un approfondito lavoro maieutico, sottolineando una lettura critica del testo, estrapolandone le intenzioni dichiarate o riposte, a costo di sacrificarne la brillante immediatezza con un rallentamento dell'azione, nel gioco un po' brechtiano di una scenografia povera per la qualità dei materiali usati. Ma a quasi due mesi dalla prima, è difficile dire quanto pesi la routine micidiale di un teatro costretto come il nostro a massacranti trasferte e a continui debutti rimediati, sui ragazzi spinti dall'inesperienza a rifugiarsi con qualche eccezione in inadeguati stereotipi.
Franco Quadri ( Panorama - 12 marzo 1984)



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