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Luca Ronconi
 
Memorie di una cameriera

(a. Dacia Maraini)
(sc. Marco Capuana)
(c. Gabriele Mayer)


maschere: Salvatore Placenti
luci: Sergio Rossi

con Giulia De Berardinis, Anna Gualdo, Annamaria Guarnieri, Ciro Masella, Michele Nani, Franca Penone, Francesco Rossetti, Francesco Rossini, Anna Stante

Produzione Teatro Stabile dell'Umbria


Perugia, Teatro della Sapienza
24/10/1997



Leggi una selezione di
rassegna stampa


dal "Patalogo 21" (Ubulibri, Milano, 1998)
per gentile concessione della
Associazione Ubu per Franco Quadri

Luca è un regista che offre agli autori il più terribile dei regali, quello di essere completamente liberi. Non interviene, commenta il meno possibile le soluzioni che proponi e, soprattutto, alla fine lascia il testo tale e quale, non chiede tagli, cambiamenti. A me ha chiesto semplicemente un monologo che non fosse proprio un monologo. Così ho intervallato il flusso dei ricordi di Celestine con l'apparizione di alcuni personaggi del libro. (...) Strutturalmente il Journal, il diario scritto da Celestine giorno per giorno, si è trasformato nel mio Memorie di una cameriera, e dunque in un lungo flashback sui ricordi. Ma anche l'atmosfera, il clima letterario è cambiato. Senza spostamenti geografici o attualizzazioni (tutto è ambientato come nel libro in una provincia dì campagna francese d'inizio secolo), anche d'accordo con Ronconi, abbiamo smorzato certe tirate moralistiche troppo datate, e ammorbidito gli effetti da grandguignol. Bastano dei cambiamenti di stile del racconto, di scrittura, per rinverdire le storie e i personaggi. Credo di non aver tolto nulla alla lucidità e alla cattiveria dello sguardo di Celestine togliendole certe asprezze e furori melodrammatici. Anzi, il candore e l'ironia, una buona dose di umorismo che a Celestine davvero non manca, consentono di affondare meglio il bisturi...
Dacia Maraini (intervista a cura di Nico Garrone, La Repubblica - 8 settembre 1997)

Nella vasta (e pressoché onnicomprensiva) tipologia teatrale di Ronconi, queste Memorie possono forse essere inserite nei 'racconti', quelle messinscene ampie (a prescindere dai metri-quadri) dove il piacere affabulatorio investe i personaggi e le loro parole non meno che le strutture, gli apparati e gli oggetti di scena. Vicine, se è lecito l'esempio, a quel Ruy Blas di Victor Hugo, avvincente come è Hugo e avviluppato in un labirinto di sipari atteggiati in ogni foggia e dimensione. Anche qui i tempi sono quelli della grande narrazione (ma forse si potrebbe in certi tratti serrarli), e c'è un ambiente claustrofobico di 'interni' (come è ovvio dato il tema), che respira e vive, anche quando non lo dà a vedere. Mobili su mobili riempiono la scena di Marco Capuana, su ogni parete compreso il soffitto: la bella intuizione 'da rigattiere' della Serva amorosa goldoniana (sempre in Umbria e con la Guarnieri) diventa qui ravvicinata analisi al microscopio.
Gianfranco Capitta ( Il manifesto - 30 novembre 1997)



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