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Luca Ronconi
 
La serva amorosa

(a. Carlo Goldoni)
(sc. Margherita Palli)
(c. Giovanna Buzzi)


regista assistente: Angelo Corti

direttore d'orchestra dell'allestimento: Pietro Pagnanelli

luci: Sergio Rossi

con ( in ordine alfabetico ): Paola Bacci, Riccardo Bini, Claudio Carini, Anna Maria Guarnieri, Angelo Jokaris, Daniela Margherita, Franco Mezzera, Giancarlo Prati, Elio Veller, Luciano Virgilio, Virgilio Zernitz

Produzione AUDAC


Gubbio, Teatro Comunale
10/05/1986




Leggi il
contributo di Maria Grazia Gregori dal programma di sala

Leggi una selezione della rassegna stampa


dal "Patalogo 10" (Ubulibri, Milano, 1987)
per gentile concessione della
Associazione Ubu per Franco Quadri

(Mi trovo) alle prese col personaggio di una vedova, di una persona più complessa di una fanciulla, che deve essere anche un po ' uomo, conosce il mondo, vive in rapporto con gli altri con un pizzico di sapienza in più, sta in solitudine, ma la sua solitudine è piena di forza. (...) Ci sarà soltanto qualche suppellettile, un letto, un comò. Ma non sapete cosa riesca a fare Luca con un letto, o con un comò.
Annamaria Guarnieri (Intervista di Osvaldo Guerrieri, La Stampa - 18 settembre 1986)

Una pigra consuetudine ottocentesca, avallata da letture superficiali, ha perpetuato la falsa immagine di un buon papà Goldoni, tutto equilibrato buonsenso e giulebbosi accomodamenti. Senza cadere nell'opposto eccesso del cinismo o della crudeltà, c'è da riconsiderare con un necessario distacco critico quante sotterranee, ma anche esplicite, vibrazioni innervino personaggi e vicende troppo frettolosamente contrassegnati con il marchio della bonomia.
Gastone Geron ( Il Giornale - 7 ottobre 1986)

Sembra a prima vista un Goldoni non convenzionale solo per il fatto che odora di tragedia e di decomposizione, che galleggia nel lividume sociale e nella mediocrità psicologica. Ma sarebbe riconoscere al regista troppo poco, fermandosi a questa prima considerazione che vede comunque Ronconi già nella scelta del testo tendere a obiettivi precisi; e nella sua realizzazione fondere almeno tre elementi di fondamentale importanza. Il primo riguarda la dissezione dello spazio scenico. La serva amorosa ci presenta un mondo stantio, in relazione strettissima con i personaggi che lo hanno prodotto e da cui sono a loro volta negativamente influenzati. È un'accozzaglia di armadi, ottomane, cassettoni, sedie accatastate, specchiere opache. Nel corso dei tre atti le singole scene vengono separate dal tiro di un velario, e succede che la medesima camera ci appaia in prospettive differenti, con i mobili spostati (i cambi tra una scena e l'altra sono laboriosi, se pur abbastanza rapidi) come davanti a un occhio che si muove, che cambia l'angolo visuale. È il regista che fruga negli interni, lo spettatore che assiste ad uno smontaggio. Casa vera, casa di mobili tarlati setacciati dagli antiquari eugubini; scansie su cui appoggiare le pezze di stoffa e poltrone zoppicanti su cui sprofondarsi in smania o disperazione. Armadi da spalancare, per nascondere o nascondersi. Una scena-casa che non è un palcoscenico decorato, un vuoto da riempire, ma un referente dinamico la cui valenza oggettuale in movimento ha per esempio rapporti drammaturgici con la parola, che come sempre in Ronconi viene rappresentata anche in forme visive e auditive, gestuali. E siamo al secondo punto, allo smontaggio metodico della macchina testuale. Operazione come si sa cara a Ronconi, che qui non andrebbe neanche ricordata se la perfetta costruzione naturalistica da destrutturare non contenesse nella Serva amorosa alcune stimolanti contraddizioni. Se è vero che il regista vuole alludere qui al dramma borghese (il personaggio di Corallina fa da perno nell'intersecarsi di ben tre nuclei familiari: tre perché anche Florindo, che vive con la serva, ha messo su pur miseramente casa) accade che l'intreccio psicologico, lentamente concatenato alla partitura parola-movimento (lo spettacolo dura circa quattro ore con gli intervalli) si faccia succhiare dalla centrifuga di un meccanismo sotterraneo e implacabile. Allora capiamo anche il senso di quelle pause, di quel ritmo spezzato dai cambi di scena; la ragione profonda di quella lentezza riflessiva e quasi riluttante. L'attesa non deve esistere, la 'macchina' vince sul testo. Ma non sempre è così, perché La serva amorosa riesce soprattutto a affascinare e mai a irritare, come è avvenuto quando Ronconi si è lasciato prendere troppo dal suo stesso gioco di contrappesi dinamici (o statici). Qui, e siamo al terzo punto, anche l'interpretazione dei personaggi e la recitazione degli attori smitizza la sincronia goldoniana di maniera per divenire invece conseguenza di quanto avviene nell'equilibrio instabile tra scena e vita, nello spazioluce delle passioni smontate, nella lentezza delle emozioni sempre interrotte. All'esatto rapporto tra situazione e carattere si improntano solo alcuni personaggi, ma il più delle volte rafforzano recitando la disordinata, ansiosa tendenza emotivonevrotica alla prevaricazione. Quella che sul piano spazio-temporale li ha già rinchiusi nella scatola scenica delle case ingombre e dell'inedia. Spicca comunque per coerenza, per resa drammatica e per alta sensibilità induttiva l'ammirevole Corallina di Annamaria Guarnieri, il motore femminile di una macchinazione a fin di bene, con agnizioni, lieto fine e matrimoni finali. Nella chiave nera e melanconica di Ronconi questa Corallina potrebbe essere un'eroina del rifiuto, un'Hedda Gabler anticipatamente ipocondriaca.
Sergio Colomba ( Il Resto del Carlino - 7 ottobre 1986)

Le maschere ormai sottratte alla Commedia dell'Arte richiedevano l'invenzione di uno stile aldifuori di arbitrari e scontati clichés: ed ecco, sui diversi gradini che conducono dalle parti fisse alla trasformazione in personaggio, l'impeccabile Pantalone del misuratissimo Virgilio Zernitz, ormai conquistato all'imborghesimento, il Brighella dell'ottimo Elio Veller galleggiare in una sorta di realismo rarefatto, l'Arlecchino di Giancarlo Prati, vivere tra lo stupore e l'attesa la sua emarginazione in una creazione indimenticabile dagli effetti comici irresistibili e inquietanti: un comportamento trasognato rotto dalle improvvise accelerazioni psicomotorie di una nevrosi che sostituisce il lazzo, con momenti di immersione poetica nello sfascio decadente della città dei suoi padroni, come quando raccoglie dall'immondizia le pezze con cui colorare il proprio vestito ormai integrato.
Franco Quadri ( Panorama - 26 ottobre 1986)

Non a caso una delle invenzioni più felici è quel controcampo fra le case delle due famiglie, finché non si scorge la spazzatura nei suoi contenitori metallici dove razzola e fruga lo straordinario Arlecchino di Giancarlo Prati. Energico senz'ombra di maniera, beckettiano, più che comico dell'arte, senza leziosità di linguaggio ma con durezze alla Abatantuono prima maniera, commovente quando dal suo rovistare nell'immondizia trae uno straccio da cui ricavare la sua connotazione multicolore. Si ride molto, in questo testo così ben costruito, ma si resta molto inquieti per le direttrici che ogni momento minaccia di intraprendere, controllato da motivazioni inconfessabili e che Goldoni ha scelto evidentemente di non esplicitare. Ronconi ne restituisce la suggestione e ne fa pesare il pericolo, in una commedia di umor nero dove lo spettatore può acidamente rispecchiarsi, nonostante la carica funerea di un Titanic che brulica mentre scende a fondo.
Gianfranco Capitta ( Il manifesto - 7 ottobre 1986)



dal "Patalogo 11" (Ubulibri, Milano, 1988)
per gentile concessione della Associazione Ubu per Franco Quadri

Tredici piazze europee, una puntata a New York, e 18 teatri ospitanti in Italia. Non c'è male, per i complessivi nove mesi di tournée che quest'anno attendono La serva amorosa di Goldoni diretta da Luca Ronconi, prima esperienza produttiva dell'Audac, l'Associazione umbra per il decentramento artistico e culturale.
Io abito da quelle parti, in Umbria - ha puntualizzato il regista - e quando mi libero dagli impegni non mi dispiace concentrarmi lì, operare in condizioni ideali, anche se con pochi mezzi. Mi interessano le nuove forme di collaudo produttivo. Le significative, tante tappe che La serva amorosa compirà, lo trovano smaliziato. Rìschi? E perché? L'estero è Parigi, Berlino, New York. Un buon nostro spettacolo è cugino di un buon allestimento in programma da loro. L'aspettativa, qui, verte su un confronto, non su una rivelazione.

Rodolfo Di Giammarco ( La Repubblica - 7 settembre 1987)


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