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Luca Ronconi
 
Inventato di sana pianta ovvero Gli affari del barone Laborde

(a. Hermann Broch)
(sc. Marco Rossi)
(c. Jacques Reynaud)


traduzione: Roberto Rizzo
luci: Gerardo Modica
musiche a cura di Paolo Terni

Personaggi - interpreti: (in ordine alfabetico)
Baronessa Stasi - Anna Bonaiuto
Due funzionari di polizia giudiziaria - Marco Brinzi, Gabriele Ciavarra
Due valletti - Andrea Coppone, Paolo Garghentino
Walter Ruthart, direttore della banca Seidler - Giovanni Crippa
Seidler, presidente del gruppo bancario - Massimo De Francovich
Il portiere - Pasquale Di Filippo
Un cameriere - Andrea Germani
Agnes - Pia Lanciotti
Il Direttore dell'hotel - Giacinto Palmarini
Barone André Laborde - Massimo Popolizio

Produzione Piccolo Teatro di Milano


Milano, Piccolo Teatro Grassi
05/03/2007



dal "Patalogo 30" (Ubulibri, Milano, 2007)
per gentile concessione della Associazione Ubu per Franco Quadri

Inventato di sana pianta è stato rappresentato solo dopo la sua morte. Penso che questo sia successo proprio perché è un testo che utilizza dei codici senza rispettarli. Certi testi che in quegli anni si reggono sugli stessi codici sono notevolmente più semplici. Inventato di sana pianta è una commedia spiritosa, ma di uno spirito meno esplicito, meno diretto... Broch, infatti, ha scelto quel modello per dare la rappresentazione di un vuoto, dell'aria, del nulla. Quella di Broch non è una commedia di costume, ma quasi un trattatello sul vuoto che assume la forma della commedia di costume come emblema del vuoto stesso. Così, quel tanto di sconclusionato che il testo ha ci sconcerta di meno e quello che settantanni fa poteva colpire come un'imperizia drammaturgica per noi va a costituire una parte del suo fascino. (...) I quattro quinti di Inventato di sana pianta sono costruiti su battute che finiscono con i puntini di sospensione: quasi tutte le cose che i personaggi dicono non sono complete. C'è una frantumazione del dialogo che, già dal punto di vista grafico, sconsiglia qualsiasi approccio dialettico. È una conversazione fondata sull'imbroglio, non sulla consequenzialità, cioè non sul passaggio diretto da un argomento a un altro, bensì sull'uso dei termini proposti in un'accezione da chi parla e recepiti in altro modo da chi ascolta: a ben pensarci, la giusta modalità in una commedia in cui tutti si truffano. Noi siamo abituati a un teatro in cui il carattere dei personaggi è una specie di bussola per capire l'autenticità del discorso. Qui i personaggi non hanno carattere, sono fondamentalmente vuoti, come girano a vuoto negli ingranaggi della macchina economica ed erotica in cui siamo invischiati. Prendiamo Laborde: mantiene il desiderio allo stato puro, non lo realizza. È un seduttore non per possedere ma per mettere in atto una dinamica del desiderio che non prende in considerazione l'appagamento. Esattamente come mette in moto una macchina finanziaria, dove la merce non è detto che debba essere venduta, dal momento che non serve al consumo, ma ad avviare il processo finanziario. All'attivazione del desiderio senza appagamento corrisponde, dunque, la circolazione virtuale di un valore inesistente, l'uno e l'altra in funzione di una possibile sopravvivenza.
Luca Ronconi (da una conversazione con Maria Grazia Gregori, programma di sala)

La sua commedia, letta oggi, vanta un testo esplosivo: parla di finanza, anzi degli avventurieri che, scopertamente o meno, sulla finanza lucrano e imbrogliano. Già alle prime scene escono fuori particolari che riguardano il ruolo di certi investitori di Shanghai, di certe operazioni con la Oil Teheran Syndicate, e addirittura di certi fondi argentini destinati al crack. Può essere di magra consolazione, per il piccolo risparmiatore di oggi, sapere di avere solide radici storiche nel venire truffato, ma quello che colpisce di più è la spericolatezza di certi truffatori d'alto bordo, che mettono tutto l'impegno di cui sono capaci per lucrare su ingenuità e risparmi altrui.
Gianfranco Capitta ( Il manifesto - 11 marzo 2007)

Ma accanto al frenetico gioco delle finanze non sfigura quello delle grandi dame impegnate in un girotondo di seduzioni fini a se stesse, a cominciare dalla figlia del grande banchiere in crisi di Massimo De Francovich, la altera Pia Lanciotti, in preda a pose klimtiane di finto ghiaccio, che attira in un gioco ovviamente gratuito il barone in rotta con la consorte, una Anna Bonaiuto in vena di spassose gag pronta pure a sposare un maitre d'hotel. Ora, in questo clima da film di Lubitsch colto con distacco, la regia di Luca Ronconi punta ovviamente sui ritmi e sul protagonismo dell'apparenza, tema della serata, che permette alle bellissime scene firmate da Marco Rossi di giocare con le simmetrie dei due piani dell'albergo elegantemente laccato, con mobili alla Loos che ripetono identiche geometrie nelle tre camere da letto adiacenti con possibili fughe dalle finestre di fondo, dove subito sorprenderemo tre personaggi intenti a tre contemporanei suicidi mancati, tipici di una sagra di circoli viziosi dove si rappresentano solo insuccessi fortemente voluti, con splendidi abiti da collezione di Jacques Reynaud in un contesto intento a cavare apparenti verità dall'irrealtà, a cominciare dai colori della scena, in cui l'iride si diverte a inventare combinazioni nella giostra visiva dove il rosa insegue il viola, con imprevista mediazione del verde.
Franco Quadri ( La Repubblica - 12 marzo 2007)

Resta da chiedersi se questo intarsio di miraggi perennemente sul punto di dissolversi, inventati di sana pianta, come il titolo suggerisce, sia proprio così futile quanto Broch vorrebbe far pensare, o non inviti invece a cercarvi qualche indizio più inquietante: il testo è del '34, esattamente a metà tra la Grande Crisi del '29 e l'annessione dell'Austria al Reich, un'epoca che sicuramente non verrebbe da definire rassicurante. E allora quei personaggi che all'inizio vediamo quasi tutti sul punto di suicidarsi, quelle figure dall'incerta identità, legate da sentimenti inconsistenti come i soldi che non hanno, ma che manovrano in spericolate speculazioni, esprimono forse una precarietà che trascende la loro condizione personale. E quel banchiere e quell'artista della truffa che prima cercano di raggirarsi a vicenda, poi si riconoscono come simili, al punto che l'uno vede addirittura nell'altro il proprio successore, fanno sorridere, ma di un sorriso gelido, perché ci parlano di un'Europa in corsa verso il baratro.
Renato Palazzi ( Il Sole 24 Ore - 11 marzo 2007)

Qui, sull'onda di una musica che non nasconde il vuoto totale di gente che tenta simultaneamente, senza riuscirci, il suicidio nella propria stanza, si truffa e ci si ama, ci si desidera ma senza realizzare il desiderio, ci si cambia di abito, si fa colazione. Soprattutto si parla di economia, di operazioni e vendite fasulle, di trattori che non ci saranno mai, di petrolio che non si troverà, di azioni argentine che danno solo dispiaceri, di un processo finanziario vizioso, drogato, costruito sull'imbroglio, ovviamente alle spalle dei governi e degl'ignari acquirenti.
Maria Grazia Gregori ( L'Unità - 7 marzo 2007)



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