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Luca Ronconi
 
Capriccio

(a. Richard Strauss)
(sc. Margherita Palli)
(c. Carlo Diappi)

libretto: Clemens Krauss e Richard Strauss
maestro concertatore e direttore: Ralf Weikert
movimenti coreografici: Federico Amato

Orchestra del Teatro Comunale di Bologna

Personaggi e interpreti:
La contessa - Raina Kabaivanska
Conte, suo fratello - Nelson Portella
Flamand, compositore - William Matteuzzi
Olivier, poeta - Armando Ariostini
La Roche, il direttore del teatro - James Johnson
L'attrice Clairon - Glenys Linos
Monsieur Taupe - Florindo Andreolli
Una cantante italiana - Adelina Scarabelli
Un tenore italiano - Piertro Ballo
Una ballerinetta - Maria Grazia Garofoli
Il maggiordomo - Giuseppe Riva
I servitori - Bruno Bulgarelli, Tito Turtura, Giuseppe Botta, Giuseppe Zecchillo, Giovanni Antonini, Walter Brighi, Alfonso Marchica, Giandomenico Bisi

Orchestra del Teatro Comunale di Bologna


Bologna, Teatro Comunale
15/02/1987


Regia geniale […] questa di Luca Ronconi, per rendere la felice ambiguità di Capriccio, una regia che (con i bellissimi bozzetti di Margherita Palli e gli eleganti costumi di Carlo Diappi) ci trasporta in un interno signorile, trasformato di volta in volta in teatro aprendo e chiudendo gli scorci con la mobilità di grandi specchi settecenteschi, di arazzi colorati e di neri velari. Tutto si moltiplica si divide, si riflette – secondo la tipica cifra ronconiana – scivolando dal mondo salottiero a quello illusorio, non senza funerei richiami (quei sipari come drappeggi tombali) alla morte nel sogno. Che tuttavia rinasce nella figura della Contessa, deliziosa e impertinente sognatrice, centuplicata dai quattro specchi che la proiettano nel mondo della fantasia, l'unico a cui può credere. Arricchito da giochi di luce, mosso con abilità pari alla leggerezza, lo spettacolo rende alla perfezione il senso dell'ambiguo mondo straussiano dove la musica è l'unica realtà.
Rubens Tedeschi, La vita? E' meglio con Capriccio , in «L'Unità», 17 febbraio 1987.

In questo, che è forse il suo spettacolo più splendido, Ronconi sembra aver mirato addirittura a Las Meninas, il famosissimo quadro per pittori di Velàzquez, che è una riflessione autobiografica sul proprio mestiere, molto mentale e realizzata con arte superba, mettendoci le mitologie, le teorizzazioni o teologie, le citazioni necessarie per farsi capire, le abbreviazioni dei processi psicologici per gli intenditori, in una struttura a prospettive multifocali con i soggetti, i modelli, le opere, gli specchi, l'autoritratto, il rovescio del quadro, il pubblico ecc. […] Ma eseguendo intanto le proprie Meninas, fa capire assai bene che Capriccio è Las Meninas di Strauss. C' è nel cuore dell'opera la spropositata perorazione di un vecchio teatrante che crede ancora al suo mestiere custode della tradizione e innovatore, tragico e comico, innamorato degli effetti e nobilmente pompier modellato evidentemente su Max Reinhardt, ma alle prese con gli stessi sarcasmi mondani della corte di Teseo sulla recita degli artigiani nel Sogno d'una notte di mezza estate. E forse è soprattutto una deliziosa invenzione prelevata dal Canto del cigno di Cechov: si direbbe che derivino di lì, in Capriccio, sia l'illustre gigione che celebra folgori e cataratte e procelle sulla scena vuota, sia il suggeritore che si è addormentato nella buca, come del resto il vecchio servitore alla fine del Giardino dei ciliegi. […] Sontuosi, allucinatori, sipari e specchi assecondano e ripartiscono il sapere elegantissimo di questa conversazione-analisi sulle chances dell'opera, con strumenti di critica culturale ben consapevoli che l' opera è affatto finita.
Alberto Arbasino, Un capriccio s'aggira per l'Europa , in «La Repubblica», 26 febbraio 1987.

Ronconi […] ha realizzato uno spettacolo di grande fascino figurativo e spaziale, radicato in un Settecento malinconico e autunnale: la realtà diventa scenica e la scena si anima al trascolorare dei personaggi, delle loro conversazioni, monologhi, riflessioni consegnate all'orchestra; lo specchio, grande protagonista, e minacciosi tendaggi che frusciano definiscono un'ambiente sospeso come in un sogno.
Giorgio Pestelli, Strauss, «lite» sulle parole e alla fine trionfa la musica , in «La Stampa», 17 febbraio 1987.

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