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Luca Ronconi
 
Don Carlo

(a. Giuseppe Verdi)
(sc. Luciano Damiani)
(c. Luciano Damiani)

Libretto di François Joseph Méry e Camille Du Locle
Direttore d'orchestra Claudio Abbado
Direttore del coro Romano Gandolfi
Direttore dell'allestimento scenico Tito Varisco
Orchestra e coro del Teatro alla Scala di Milano
Personaggi e interpreti:
Filippo II Nicolai Ghiaurov
Il grande Inquisitore Evghenij Nesterenko
Rodrigo Piero Cappuccilli
Un frate Luigi Roni
Don Carlo Josè Carreras
Elisabetta di Valois Mirella Frini
La principessa Eboli Elena Obrastzova
Tebaldo Stefania Malagù
Voce dal cielo Francesca Caldara
Il Conte di Lerma Gianfranco Manganotti
Un araldo reale Antonio Savastano
Corifeo Luigi De Corato
Otto deputati fiamminghi Leonida Bergamonti, Bruno Grella, Mario Mattiotti, Giuseppe Morresi, Alfredo Pistone, Aldo Reggioli, Saverio Safina, Domenico Versaci
Allestimento Teatro alla Scala


Milano Teatro alla Scala 07/12/1977

In quell'ambiente si dipana, da sinistra verso destra, come in una lettura involuta, la vicenda politico-coniugale di Filippo II, di sua moglie Elisabetta e dell'infante Carlo. Finiranno tutti schiacciati dalle macchine controriformistiche: Carlo cacciato da un enorme crocifisso portato a braccio verso il sacello di Carlo V che provvidenzialmente si apre, Elisabetta tra due carri allegorici ricchi di mortifere insegne, Filippo tra le braccia stritolatrici dell'Inquisitore. Inutile dire che l'idea di Luca Ronconi e Luciano Damiani è articolatissima e conosce momenti di fascinosi lutti: come quando appare una barca carica di morti, o quando carlo, incatenato alla statua funebre di Carlo V, assiste impotente all'agonia di Rodrigo, o quando il colpo fatale per Rodrigo viene sparato non da un archibugere ma da un carro allegorico pieno di cattolicissime insiegne.
Michelangelo Zurletti, Sopra (troppe) tombe un grandissimo Verdi , in «La Repubblica», 9 dicembre 1977

In Don Carlo non è l'opera che vive nelle temperie del primo amore e Ronconi con un meccanismo di sottrazione affascianante ha sciolto l'incanto di quella malinconia amorosa che pervade il primo atto e di quella Francia ammaliante di neve riuscendo anche in questo caso a trovare la pertinenza dell'immagine al fatto musicale. La resa dello spettacolo ha avuto però un'impennata mirabile quando si sono sentiti gli accenti del Don Carlo con la situazione propria del Don Carlo. Scomparsa la suggestione amorosa del primo atto è venuta in primo piano la vera dominante di tutta l'opera: l'ombreggiatura intensa oppressiva e sconfinata di questi personaggi che l'esecuzione ha scolpito con un segno indimenticabile. Tutto diventa vero con questa direzione e regia: il senso della vanità e l'annullamento delle ambizioni. Tutti qui restano alla fine senza ambizioni, desideri, speranze, senza orgogli. […] In ogni momento si è sentito il grande regista che suona la tastiera dei fatti visivi, riesce a sviluppare l'azione secondo una condotta degli eventi totalmente interpretante.
Duilio Courir, Don Carlo nel gioco delle vanità , in «Corriere della Sera», 9 dicembre 1977

Questo fosco Don Carlo costruito da Luciano Damiani e Luca Ronconi, tenendo d'occhio le pitture di Goya e l'atmosfera dell'Escuriale, vive tra i teschi che, come una decorazione macabra e mondana bordano carri e baldacchini. Al centro stà l'auto da fé, col suo bravo rogo degli eretici incappucciati: una festa, uno spettacolo “istruttivo” per i dissenzienti di tutti i tempi. […] E' tutto da vedere e da ascolatare: spagnolesco e verdiano. C'è il fato della “grande opera” di marca francese, l'anticlericalismo di Verdi e di tutti gli uomini del Risorgimento, la violenza del dramma romantico.
Rubens Tedeschi, «Don Carlo» da vedere e ascoltare , in «L'Unità», 8 dicembre 1977

Ronconi e Damiani risolvono il problema della realizzazione scenica esaltando assieme l'aspetto spettacolare e quello drammatico-politico. Dopo il prologo tra le nevi della foresta di Fontainebleau, essi fissano il dramma nell'Escurial, tra i bronzi delle tombe dei re che campeggiano al lati e al centro della scena. Tra i bronzi funerari si stende così un grande spazio vuoto da riempire […] con la processionedel carnevale di morte. […] Questa Spagna tragica e barocca è esattamente quella che esigevano Verdi e l'Opéra di Parigi.
Rubens Tedeschi, Un «Don Carlo» che scatena le passioni , in «L'Unità», 9 dicembre 1977

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