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Luca Ronconi
 
Accademia Silvio d'Amico. La morte innamorata

(a. Fabio Glisenti)
(sc. Luciano Damiani)
(c. Luciano Damiani)

con Maria Luisa Bigai, Alessandra Colarich, Ester Crea, Tosca D'aquino, Luca De Carmine, Gianluca Enria, Anna Gualdo, Antonio Manzini, Stefano Messina, Gabriele Parrillo, Ivan Polidoro, Silvana Rebellato, Stefano Ricci, Carolina Rosi, Tullio Sorrentino, Alessandro Stefanelli, Hossein Taheri, Giuliano Tenisci, Paolo Zuccari

Esercitazione con gli allievi del II anno dei corsi di recitazione e regia dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio d'Amico dell'Anno Accademico 1986/1987

Produzione Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio d'Amico.


Roma, Teatro dei Documenti
06/09/1987


Leggi una selezione della rassegna stampa

Dal "Patalogo 11" (Ubulibri, Milano, 1988)
per gentile concessione della Associazione Ubu per Franco Quadri


I saggi di recitazione degli allievi dei corsi di Luca Ronconi, all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica, costituiscono spesso un avvenimento a sé. Questa volta, oltre a salutare una nuova leva di attori fra i quali già si intravvedono promesse sicure, il motivo di interesse è duplice: la scoperta da una parte di due testi assolutamente misconosciuti (e il regista meriterebbe in questo campo un premio a parte per la carriera), e la scoperta di uno spazio inedito come l'incredibile teatrino che Luciano Damiani, scenografo e regista emerito, ha ricavato dalla propria casa al Testaccio.
Gianfranco Capitta ( Il manifesto - 13 giugno 1987)

Ronconi ha costruito un andamento di spettacolo, un moto e un recitare di straordinaria grazia, per cui l'incongruenza era fiaba, e il vero lo spandersi dell'ardore sensuale. Mi pare di aver colto una intenzione pedagogica nell'ottimo maestro di quegli allievi che, sia pure al secondo anno, erano già professionalmente maturi. Sappiamo del disagio in cui il nostro teatro versa in questi tempi. Calato il prestigio del regista, sbadatamente discussa la presenza di una drammaturgia, si trova sempre qualcuno pronto a solleticare la velleità di quegli attori che vogliono farsi a tutti i costi 'comici dell'arte', riducendo il teatro all'effimero di uno spettacolo che al massimo potrà guadagnare i galloni del cabaret. Ronconi ha legato l'esercitazione degli allievi, il loro cimentarsi, a un preciso momento della drammaturgia italiana, il primo Seicento, là dove la lingua teatrale si fa testo indipendentemente dalle parallele improvvisazioni degli attori: e diventa gesto, situazione scenica, viluppo psicologico, conflitto spettacolare. Ronconi ha sottoposto gli allievi a una disciplina espressiva che ha la parola come dominante, una parola usata sul versante simbolico con Glissenti, sul versante del parlar quotidiano con Andreini. In questo, la sua astuzia e il suo equilibrio di docente: con un felice risultato.
Enzo Siciliano ( Corriere della Sera - 10 giugno 1987)

La cosa più sorprendente di questi giovani attori è che nessuno di loro recita con i vezzi del 'ronconese', al contrario dei professionisti fedeli al Maestro. Molti sono alla ricerca di una loro sigla personale, tranne una copia non proprio indispensabile di Lavia. Ne basta uno.
Rita Cirio ( L'Espresso - giugno 1987)



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