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Luca Ronconi
 
Il Trovatore

(a. Giuseppe Verdi)
(sc. Pierluigi Pizzi)
(c. Pierluigi Pizzi)

Libretto Salvatore Cammarano
Direttore Riccardo Muti
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Direttore dell'allestimento scenica Raoul Farolfi
Orchestra e coro del Teatro Comunale di Firenze
Personaggi e interpreti.
Il Conte di Luna Matteo Manuguerra
Leonora Gilda Cruiz Romo
Azucena Fiorenza Cossotto
Manrico Carlo Cossutta
Ferrando Agostino Ferrin
Ines Giuliana Matteini
Ruiz Aronne Ceroni
Un vecchio zingaro Giorgio Giorgetti
Un messo Ottavio Taddei
Allestimento Teatro Comunale di Firenze


Firenze Teatro Comunale 18/12/1977

Ronconi ha mirato […] a ricercare un ambiente idealizzato più che storicamente definito: strutture geometriche che salde come scheletri di archi di trionfo, allusivi ad ambienti principeschi senza tempi, fondali di volta in volta illuminati da luci variamente colorate e oblique, ombre più che personaggi, stagliate, nel vasto spazio tapezzato di specchi e ideato da Pier Luigi Pizzi. Per sottolineare il «casto amore» di Leonora per Manrico, al termine dell'aria «ah sì ben mio», un velo cala davanti ai due protagonisti che si osservano. Stupenda scena che ci ha fatto venire in mente per un attimo l'innafferrabile purezza di Euridice nell'Orfeo di Gluck. Oppure lo stupore estatico del Miserere con la lenta processione delle religiose. Lo stesso personaggio di Azucena, visto più come madre che come donna assetata di vendetta, acquistava toni di dolcezza assolutamente fuori della normale prassi drammaturgica.
Marcello De Angelis, Il canto casto del «Trovatore» , in «L'Unità», 20 dicembre 1977

Il fuoco è l'elemento che rischiara precariamente e che salda i patti che avvengono e si intravvedono in questo racconto fantastico, l'elemento vitalizzante, distruggente e fondente delle cose. L'intuizione visiva del fuoco come forza primaria dell'opera coglie la capacità di infuocarsi delle situazioni e l'analogia profonda con la verità della musica, che brucia i fatti librettistici, toglie al libretto ogni possibilità di sopravvivenza autonoma, per diventare supporto ad una storia notturna. Il Trovatore nella versione Muti-Ronconi non è tanto una storia di rivalità tremende, di zingari, di vendette, un'arroventata storia quattrocentesca e spagnolesca, ma una struttura romantica, colma di misteriosità e di esasperazione poeticissima, assimilabile al territorio culturale del Primo romanticismo tedesco, alla dimensione fantastica del Principe di Homburg di von Kleist, una situazione alla quale basta una predisposizione di semplici materiali scenotecnici per rivelarne l'intima composizione. Ronconi ha cancellato il più possibile le allusioni narrative, per realizzare l'opera come evento di sogni.
Duilio Courir, «Trovatore» di fuoco a Firenze , in «Corriere della Sera», 20 dicembre 1977

L'idea del fuoco ha condotto a situzioni bellissime: Leonora che entra nel primo atto recando in mano una fiammella esprime chiaramente il suo amore; così quando appare nell'ultimo atto ancora con una fiamma mostra evidente l'ardore che la porta al sacrificio. Così la camera nuziale è piena di candele accese, e tra queste il talamo appare, dietro un velo di illusioni come catafalco in una camera ardente.
Michelangelo Zurletti, Tanto fuoco ma non riscalda , in «La Repubblica», 20 dicembre 1977

Luca Ronconi e Pier Luigi Pizzi si sono posti nella dimensione di una grandiosa, epica affabulazione: collocando i personaggi in uno spazio enorme (che si dilatava ulteriormente per i riverberi delle pareti metalliche) occupato da tre monumentali archi-pilastri, e “inventando” come idea portante l'immagine del fuoco(dai lumi tenuti in mano da Leonora […] ai ceri delle nozze, alle fiamme del rogo ricorrenti). […] Momenti di indimenticabile presa teatrale: le nozze di Menrico e Leonora, rischiarata dai candidi ceri, mentre i due amanti apparivano separati da un'invisibile barriera; il coro “Squilli, eccheggi”, contrappuntato dall'alzarsi di due siparietti scarlatti; la scena di introduzione, con la massa assonnata distesa per terra; l'aprirsi del secondo atto con il coro “Chi del gitano” intonato dai cantori in candidi abiti di raso. Riferimenti realistici pressochè assenti: e i costumi erano appunto quelli di una storia favolosa e atemporale, ricchi, emblematici.
Cesare Orselli, Il Trovatore , in «Sipario», an. XXXIII, fabbraio-aprile 1978, n.381-382

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