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Luca Ronconi
 
Si diploma al corso di recitazione dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica








In Accademia la figura di riferimento era Orazio Costa Giovangigli, che mi ha seguito fin dall’inizio con molta attenzione. E’ stato anche un grandissimo maestro di recitazione, ma più di tecnica che di procedimenti interpretativi. Ecco, questa è una cosa che mi è rimasta, non perché Orazio Costa la insegnasse, ma la si ricavava dal suo modo di procedere: riuscire a distinguere tra l’iter interpretativo e la restituzione nell’esecuzione. Sia da parte dell’attore sia da parte del regista, c’è un’invenzione che può essere legittima o arbitraria, innovativa o convenzionale, e questo è un processo interpretativo. E’ un momento che accomuna la figura dell’attore e quella del regista, anche se poi quest’ultimo deve estenderlo a tutta una rete di rapporti e di sguardi, mentre l’attore si limita a definire il proprio percorso.
Ma una perfetta esecuzione – nel senso di prestazione – può anche mascherare una pessima interpretazione, e viceversa. E’ possibile mascherare gli errori di interpretazione con un maquillage anche perfetto, attraverso il virtuosismo oppure la personalità dell’interprete, insomma, qualcosa che appartiene esclusivamente all’attore. Ma può accadere il contrario: una mirabile lucidità interpretativa può essere danneggiata dall’esecuzione, da una tecnica inadeguata. Di questo mi sono reso conto più avanti, quando ho cominciato a dover fare i conti anch’io con questi problemi. Ma se tu sai questo, ti aiuta nel lavoro perché sai che si tratta di mettere in equilibrio due cose di cui una tende a divorare l’altra. Come regista puoi barare, come attore un po’ meno. Persino come spettatore puoi barare, ossia puoi decidere di farti piacere una cosa, mettiamo l’interpretazione, ed essere meno esigente sull’altra, l’esecuzione, o viceversa. Insomma, si apre una rete di possibilità in cui è divertente muoversi.



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