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Luca Ronconi
 
Santacristina. Laboratorio per Un altro gabbiano

(a. Anton Cechov)

Il laboratorio, che si svolge negli spazi del Centro Teatrale Santacristina tra maggio e giugno, coinvolge dieci attori e porta alla messa in scena dello spettacolo Un altro gabbiano da Anton Cechov, che debutta il 27 giugno 2009 nella Chiesa di San Simone nell'ambito di Spoleto 52 Festival dei 2 Mondi.
Partecipano al laboratorio e allo spettacolo Elena Ghiaurov, Gabriele Falsetta, Andrea Luini, Riccardo Bini, Clio Cipolletta, Marco Grossi, Pilar Perez Aspa, Francesca Ciocchetti, Paolo Pierobon, Stefano Moretti.
Oltra a dirigere il lavoro, Luca Ronconi è in scena nel ruolo del medico Dorn.

Personaggi - interpreti:
Arkadina - Elena Ghiaurov
Konstantin - Gabriele Falsetta, Andrea Luini
Sorin - Riccardo Bini
Nina - Clio Cipolletta
Šamraev - Marco Grossi
Polina - Pilar Perez Aspa
Maša - Francesca Ciocchetti
Trigorin - Paolo Pierobon
Dorn - Luca Ronconi
Medvedenko - Stefano Moretti

Produzione Centro Teatrale Santacristina in collaborazione con Spoleto 52 Festival dei 2 Mondi


Gubbio (Pg), Centro Teatrale Santacristina
27/06/2009


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Guarda la scheda dello spettacolo sul sito del Centro Teatrale Santacristina

Il successo più caldo – dieci minuti di applausi, tutto il pubblico in piedi – è toccato comunque a un’esperienza che non rientra nella categoria dello spettacolo in senso stretto: il laboratorio che Ronconi ha diretto sul Gabbiano di Cechov, lavorando con alcuni suoi attori abituali e altri che si sono uniti all’insolito percorso. Cosa si intende qui per laboratorio? Una strana creazione a metà strada fra un esito compiuto e una prova aperta: una ricerca sul testo, una serie di ipotesi da seguire a ruota libera, che forse non approderà mai davvero alla ribalta, ma che proprio per questo risulta più affascinante di una produzione definitiva. Il regista, che vi incarna anche con pungente ironia il ruolo di Dorn – il medico che osserva e chiosa gli avvenimenti – scompone e ricompone la vicenda, cambia l’ordine di certe scene, le ripete talora più volte, ricavandone ora toni beffardi, ora un approccio più sofferto e dolente. L’azione è frammentaria, discontinua: non ci sono costumi, non ci sono entrate o uscite che scandiscano una trama narrativa: i personaggi semplicemente si presentano quando arriva il loro turno, poi tornano in silenzio al proprio posto. All’origine c’è la constatazione che l’intero dramma ruota attorno allo scrivere o al recitare, che tutte le passioni dei personaggi sono mediate da ideali artistici artistici, il che imprime loro un che di istrionico, di parodistico. Ma al terzo e quarto atto la vita – o l’arte – reclama il dovuto: l’infelicità, prima solo esibita, diventa davvero soffocante, con fatali conseguenze.
Renato Palazzi ( Il Sole 24 ore - 5 luglio 2009)



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