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ISSN 2279-9184

ateatro 98.15
4/22/2006 
Speciale Torino 2006: Caro Nevio
Una risposta alla mail di Nevio Gambula
di Oliviero Ponte di Pino
 

Caro Nevio,
è davvero difficile rispondere a una lettera (vedi ateatro97) dove mescoli davvero di tutto, dal tuo disagio esistenzial-relazionale alle grandi questioni geopolitiche (a volte in maniera facilona e un po’ ricattatoria), dal povero Ascanio Celestini (tra parentesi, le cose più dure contro i narratori le ho sentite dire proprio da Ronconi...) alla perversione economicista del nostro tempo, dalla politica degli scambi (tra parentesi, il Progetto Domani non aveva tra i suoi obiettivi quello di far girare gli spettacoli) alla mercificazione dello sport. Dove ti offendi se ti danno della verginella e poi rivendichi con orgoglio la tua verginità.
E’ anche molto difficile rispondere a chi come te vuol vedere tutto bianco o tutto nero. Sulla situazione del Medio Oriente, per quanto mi riguarda, ritengo che una cultura politica in cui i genitori sono orgogliosi e felici perché i loro figli adolescenti si sono fatti imbottire di esplosivo e chiodi e poi si sono fatti saltare in aria in mezzo ai civili, mi ripugna (fermo restando che quei ragazzi e i loro genitori sono vittime anche loro, le prime vittime). Perciò, ragionando al tuo livello, io dovrei stare sempre e comunque tutto dalla parte degli israeliani.
Dopo di che sull’argomento io e te dovremmo smettere di discutere e fare a botte. Civilmente?
Insomma, discutere in bianco e nero e con un groppo di sollecitazioni così intricato, mi è impossibile. Però posso provare ad approfondire qualche punto.

Scrivi: “Ronconi non rientra nell’idea di teatro che mi sono fatto e quindi non posso amarlo”. Liberissimo, come sei libero di addormentarti ai suoi spettacoli e di decidere tu (possibilmente a priori, senza vedere gli spettacoli) qual è l’idea giusta di teatro, e che tutte le altre sono sbagliate. Per me - anche se seguo Danio Manfredini fin dagli esordi, amo moltissimo il suo lavoro e l’ho sempre sostenuto - molti degli allestimenti ronconiani sono stati una festa dell’intelligenza, della cultura e del cuore. Hanno formato la mia sensibilità di spettatore (e non solo). Ho cercato in varie occasioni di spiegare perché (vedi di recente su ateatro quel lungo mappazzo in 3 puntate che è Semplicemente complicato) e di dimostrare che Ronconi rientra a pieno titolo nella “tradizione del nuovo” e la innova (scusa il gioco di parole).
Se ti può interessare, se c’è un teatro anti-televisivo, non naturalista, tendenzialmente anti-narrativo e attento all’“evento”, è proprio quello di Ronconi: se bastasse questo a rientrare nel tuo canone teatrale, il Progetto Domani meriterebbe un posto d’onore...
(Una questione di metodo. Io non ho una linea politica da imporre. Non ho un’estetica da promuovere e altre estetiche da censurare. In teatro, e fuori dal teatro, ci sono tante cose che amo, e che imparo ad amare - cose che a volte mi sorprendono perché sanno andare oltre le mie misere categorie e addirittura le mettono in discusione. Insomma, cerco di restare intellettualmente libero.)

Su un punto sono perfettamente d’accordo che te: non basta avere contenuti di sinistra per essere di sinistra, come sapeva già Lukács. Nello Specchio del diavolo, non credo che il punto sia il messaggio europeista di Ruffolo, ma il modo in cui un pamphlet sulla finanza ha trovato la sua forma teatrale. Quello che mi interessa in questa fase del lavoro di Ronconi è un’altra cosa: utilizzare il teatro come strumento razionale di conoscenza, usare il lavoro teatrale sul testo e con gli attori come metodo di confronto con la realtà e con se stessi. Non so se questo porti necessariamente a contenuti di destra o di sinistra, ma mi sembra una bella sfida (e in qualche modo una forma di “resistenza teatrale”).
Non voglio fare il difensore d’ufficio di Ronconi, che non ne ha bisogno. Posso solo riproporre un mio breve testo scritto per “Hystrio” sulle ragioni della mia curiosità per il Progetto Domani:

Rispetto alle polemiche scatenate da precedenti "follie" ronconiane, dal Laboratorio di Prato agli Ultimi giorni dell'umanità, accusati di sprechi e inutilità, il Progetto Domani è stato accolto da elogi pressoché unanimi. E forse i primi a dispiacersene sono stati proprio organizzatori e regista, che magari speravano nelle ricadute pubblicitarie dello scandalo...
Invece questa "gran fondo teatrale" ha brillantemente superato l'esame, come le lodatissime Olimpiadi torinesi. Gli spettacoli, con decine di ore di rappresentazione su palcoscenici giganteschi, utilizzando centinaia tra attori, tecnici, organizzatori, sono andati regolarmente in scena (salvo il forfait di Massimo Popolizio, in un curioso parallelo con le rovinose cadute di Rocca e Kostner).
Man mano che debuttavano gli spettacoli è emersa la natura unitaria e organica del progetto: verificare sperimentalmente la possibilità del teatro di misurarsi oggi con i grandi temi del pensiero, della politica, della modernità, senza perdere il rapporto con la tradizione. Dunque una lettura "contropelo" della guerra di Troia (impossibile non collegare questo Troilo e Cressida al Bond, agli Ultimi giorni, ai Soldati di Lenz poco dopo in scena a Milano, in una riflessione di ampio respiro sulla guerra) per arrivare fino alle biotecnologie e all'economia della globalizzazione.
Non è solo e tanto un problema di contenuti, quanto di metodo. Si trattava di verificare laboratorialmente la scommessa dell'ultimo Ronconi, dal Pasticciaccio a Infinities: usare come strumento di conoscenza il teatro - il lavoro di palcoscenico, l'interpretazione di un testo (non necessariamente drammatico) attraverso il corpo e la voce degli attori, l'esplorazione dello spazio e del tempo, la creazione di luoghi, immagini e figure (più che personaggi) che danno fisicità alle metafore, l’incontro con il pubblico.
Aldilà dei singoli spettacoli (e quelli che ho visto mi sono piaciuti), l'esperimento mi ha incuriosito per questo. Quello di Ronconi è un teatro che non si accontenta di essere un museo (o una vetrina dell’Io), che non si chiude su se stesso e sulla tradizione, che non ha un messaggio da trasmettere, ma si propone come luogo di esperienza e di conoscenza.
La "naturalezza" con cui sono state accolte le invenzioni linguistiche e l'intreccio di registri dello Specchio del diavolo dimostrano che la sua scommessa l'ha vinta e che al teatro si possono annettere altri territori, lontani dalla drammaturgia tradizionale ma anche dal documentario televisivo o da una spettacolarità puramente visivo-gestuale dalla narrazione, dalla classica conferenza o dalla narrazione. Una creazione di senso, non banalmente illustrativa, dove la pratica scenica diventa uno strumento per interrogare la realtà e noi stessi: mi pare una bella e ambiziosa idea di teatro.


Con questo non voglio dire che questa sia l’unica idea di teatro oggi praticabile, o l’unica idea di teatro giusta e necessaria. E’ una strada, e mi sembra che abbia una sua dignità e un suo interesse. E spesso i risultati sono affascinanti e utili.

Per quanto riguarda la progettazione del Progetto Domani, si sarebbero potute imboccare altre strade. La scelta di affidarsi a Ronconi, vista la sua statura artistica e l’ampio respiro del progetto, non era del tutto insensata. Per quanto mi riguarda, avrebbero potuto essere fatte altre scelte: avevamo provato, con Mimma Gallina, a porre il problema, senza alcuna fortuna. La nostra lettera aperta è caduta in un silenzio pressoché assoluto. Evidentemente al teatro italiano (e non solo) andava bene così. Su questo - lo ammetto - c’è senz’altro da parte mia un elemento di irritazione e insofferenza: discutere oggi di questo punto mi sembra tardivo e inutile, per ottenere qualcosa bisognava uscire allo scoperto allora. Se non l’ha fatto nessuno, è perché in quel momento l’obiettivo della polemica non sarebbero stati Ronconi e i suoi spettacoli, ma i veri signori del teatro italiano e i suoi assetti di potere: ovviamente nessuno ha avuto il coraggio di metterli in discussione.
(Il tuo parallelo con le posizioni sulla guerra nella ex-Jugoslavia non mi sembra pertinente. Personalmente non penso che fare begli spettacoli per le Olimpiadi, e investire denaro in spettacoli teatrali sia un errore politico-culturale, anzi. Nel tuo esempio invece l’intervento italiano nei Balcani è stato e resta un errore politico; di più. Se prendere soldi pubblici per il proprio spettacolo significa perdere la verginità e compromettersi con il potere, anche l’ultimo spettacolo di Danio Manfredini è stato prodotto da un grosso teatro stabile e ospitato da teatri che vivono solo grazie alle sovvenzioni dello Stato italiano.)

Un’ultima annotazione. La decisione di affidare il Progetto Domani a Ronconi non è stata una scelta del mercato (e neppure di un mercato inefficiente e distorto come quello del teatro italiano: un tema sul quale ateatro ha speso pagine e pagine, e continuerà a farlo). Quella per le Olimpiadi torinesi è stata una scelta prettamente politica, al di fuori di ogni criterio di mercato. Era insomma un “progetto speciale” irripetibile, un unicum. La vicenda, più che il normale meccanismo della domanda e dell’offerta, ricorda piuttosto i rapporti “antichi” di un artista con il suo mecenate. Se questo dia spazi di agibilità politica più ampi del mercato - e del mercato attuale - può essere un interessante tema di discussione. Anche perché viviamo nell’era degli sponsor...


 
 
 
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