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ISSN 2279-9184

ateatro 92.20
11/26/2005 
Andersen Project per Robert Lepage
Il nuovo "solo show" del regista canadese a Parigi e Londra
di Anna Maria Monteverdi
 



Il nuovo spettacolo di Robert Lepage Project Andersen è in scena fino al 27 novembre alla Maison des Arts de Creteil, a Parigi, e sarà a Londra il 26 gennaio, al Barbican Centre.
Andersen Project, commissionato dalla Fondazione Andersen per il bicentenario della nascita dello scrittore e poeta danese, ha debuttato il 22 maggio 2005 a Copenhagen.



La genesi: Robert = Hans Christian

La commissione da parte di Lars Sieberg della Fondazione Andersen inizialmente non ebbe buon esito. Robert Lepage rifiutò perché - come spiega al giornale del Québec “Le soleil” - “non ho mai avuto grande affinità con i racconti per l'infanzia”.



Sieberg torna alla carica portando al regista e attore canadese il diario di Andersen. A quel punto Lepage si lascia sedurre dalla prolifica attività dello scrittore danese (autore di 156 fiabe), scorgendo tra gli anedotti quotidiani narrati alcuni motivi inattesi della sua omosessualità e rintracciando alcune affinità, riducibili in sostanza all'amore di entrambi per il viaggio, come dichiara a “Le devoir”:

“Il diario di Andersen mi ha illuminato, mi sono riconosciuto nella sua vita, non tanto quella personale ma nel fatto che anche lui era un grande viaggiatore, una persona che credeva che la miglior maniera di ritrovare se stessi era di andare a conoscere l'altro, e molta parte della sua opera è stata ispirata ai viaggi. In questo mi sono riconosciuto”.



Leonardo, Cocteau, Miles Davis: queste alcune delle figure del mondo dell'arte che ricorrono nel suo teatro. Artisti che si rivelano nel corso della trama drammatica, per la loro complessa personalità ma anche per le loro debolezze, “specchio” per il personaggio solo in scena, in cui si identifica Lepage stesso: “Spesso nei miei spettacoli solo, il personaggio mi assomiglia un po'”. Lo spettacolo, dunque si fa. Come solo show, il quinto interpretato e diretto da Lepage (dopo Vinci, Les aiguilles et l'opium, Elsineure, La face cachée de la lune), che si avvale per la drammaturgia, della collaboratrice di un tempo, Marie Gignac, già sua complice di scrittura per La trilogie des Dragons.

La trama

Lo spettacolo si ispira al viaggio dello scrittore danese a Parigi nel 1867 in occasione dell'Esposizione Universale e ai due racconti L'ombra e La driade. Nella finzione teatrale un autore di testi per canzoni rock del Québec, Frédéric Lapointe, va a Parigi per creare su commissione del Théâtre de l'Opéra il libretto di un'opera lirica per l'infanzia tratta da un testo di Andersen, La driade, storia di una ninfa che rinuncia all'immortalità per visitare Parigi. Lapointe ripercorre inconsapevolmente il viaggio di Andersen e trova tracce del suo antico soggiorno. Incontra chi gli ha commissionato l'opera, un amministratore dai gusti insospettabili, un giovane maghrebino appassionato di graffiti, e un cane che diventa la guida dell'intero spettacolo. Alcuni video fondali ricreano le diverse ambientazioni delle due storie parallele a cent'anni di distanza l'una dall'altra.

La Dryade è una prigione. La Danimarca è una prigione. Ma anche il Québec è una prigione?



Dice Lepage del racconto La Driade:

«E' una parola di origine greca che designa lo spirito di un albero. Nella mitologia, gli alberi sono animati da uno spirito che prende le sembianze di una giovane fanciulla. Quando un albero muore, si dice che è perché la sua driade se ne è andata. [...] Un albero è stato piantato in una piazza di Parigi all'epoca della visita di Andersen [...] L'anno dopo, ci sarebbe stata l'Esposizione Universale del 1867. Si dice che il pretesto per portare l'albero a Parigi era il desiderio della driade di andare a vedere l'Expo”. La prigionia della ninfa è quella di Andersen rispetto alla rurale e conservatrice Danimarca (e forse di Lepage dentro l'enclave del protezionismo linguistico e culturale del Québec).

Il modernismo

1867: La stagione del Modernismo e la morte del Romanticismo. Ovvero l'Expo, il Canada, la fotografia, Baudelaire e il motore a scoppio.

Il 1867 è un anno cruciale per il passaggio a una società moderna, per le invenzioni tecniche e per il perfezionamento di quelle già esistenti, dalla stampa alla fotografia alla pila. Il 1867 è infatti la data della Grande Esposizione Universale di Parigi, allestita nata in pieno Secondo Impero napoleonico, sotto gli auspici di un grande slancio tecnico: Léon e Lévy sono autori di ottantaquattro viste stereoscopiche per l’Esposizione di Parigi, dove la fotografia è decisamente protagonista; in quella stessa occasione Otto e Langen presentano il motore con il quale si è avviato il percorso che ha portato all’attuale motore a scoppio. Quattro anni dopo Meucci inventerà il telefono. Stava intanto nascendo la nuova arte pittorica, l'impressionismo, che si basava sul colore e sulla luce.
Il 1867, anno della seconda rivoluzione industriale (e del Canada diventato dominio del Commonwelth britannico), è anche la data di morte di Baudelaire, che aveva dedicato proprio alla modernità il saggio Il pittore della vita moderna (1863), definendola “il transitorio, il fuggitivo, contingente, la metà dell'arte, di cui l'altra metà è l'eterno e immutabile”.



Il “modernista e romantico” Lepage rappresenta così con Le project Andersen un'epoca di passaggio, che per certi aspetti richiama la nostra, che segna l'avvento di una trasformazione della società e dell'individuo dovuta a scienza e tecnologia in atto:

L’Esposizione Universale del 1867 è la fine del romanticismo parigino e l’inizio del modernismo. E nel modernismo Andersen vede raconti di fate, macchine incredibili, un mondo maschile di machos, un universo realista, matematico, fondato su cose molto concrete (...) Il romanticismo, sia nella mia vita privata sia in quella professionale, me lo rimproverano. (...) Ma questi sono temi che tornano spesso nei miei spettacoli, il fatto che individui romantici si trovino in un mondo molto concreto dove c’è poco spazio per la poesia, per l’eccesso, per le passioni.


 
 
 
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