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ISSN 2279-9184

ateatro 88.18
9/12/2005 
Julian Beck ieri e oggi
Una riflessione
di Gary Brackett
 

Nota
Per chi non ha familiarità con il Living Theatre e i suoi fondatori Julian Beck e Judith Malina, allora, benvenuti in un nuovo universo! Teatro politico, della gioia, teatro di liberazione, teatro della rivoluzione, il Living nasce dal distacco della mondana Broadway, influenzando generazioni di artisti e attivisti, dai poeti della beat generation degli anni Cinquanta fino a Jim Morrison, presente nei turbolenti e selvaggi anni Sessanta, nelle prigioni del Brasile negli anni Settanta, e ancora oggi in Europa, i componenti del Living continuano ad esplorare, sfidare e definire ciò che significa essere un artista.


I, Thou, Gary Brackett.

Quello che segue è un articolo richiesto per il ventesimo anniversario della morte di Julian Beck che voglio anche condividere su Internet. Un articolo sull’eredità del Living e la storia più recente del gruppo. Ci sono letteralmente, centinaia di siti da controllare su google, per saperne un po’ di più sul Living Theatre legati anche a chi è interessato non solo al teatro ma anche alla poesia, al pacifismo e alla politica.

Bologna, settembre 2005



Julian Beck, Untitled, 1944.

L’eredità di Julian Beck e il Living oggi

Forse il test che misura l’influenza di una persona può essere quello di considerare quanto le sue idee continuino a ispirare, a dare esempio di un sentiero che altri possano percorrere. In modo non dissimile, la vita e il lavoro di quella persona fornisce una misura del nostro proprio lavoro: un punto di riferimento nella sperimentazione, nell’impegno e nelle possibilità di successo. Il 14 settembre 2005 sono vent’anni dalla scomparsa di Julian Beck eppure il Living Theatre continua. Noi del Living, come ogni altro gruppo o artista che lavora oggi in teatro, nella poesia, nel cinema abbiamo sempre un punto di riferimento, che sia un genio o un modello di artista completo.

Non soltanto questa è un grande sfida per la ricchezza e ampiezza del suo lavoro, ma personalmente sento anche una certa responsabilità nel cercare di arrivare al livello della sua passione, della sua competenza, della sua profondità intellettuale, della sua efficacia come artista e anche come essere umano. Non ho dubbi che egli fu uno dei più importanti artisti del secolo passato e se aggiungiamo l’altro straordinario membro del Living, cioè Judith Malina, sono certo che la storia della combinazione di queste due grandi forze sarà studiata a fondo in questo nuovo secolo se non oltre. Fortunatamente per noi ella è in ancora ben in attività (a ottant’anni!) e continua a creare, sempre alla ricerca del prossimo spettacolo, della prossima forma che realizzi “la bella rivoluzione anarchica non-violenta”.

Certamente un elemento chiave in questo teatro meravigliosamente ricco è il lavoro di gruppo. Troppo spesso quando si parla del Living c’è un elemento che manca, e quell’elemento è la dialettica non solo tra Julian e Judith (tempestosa certe volte, così mi hanno detto) ma anche, cosa forse più importante, la dialettica tra quelle due energie dinamiche e la compagnia. Il teatro, più delle altre arti, è uno sforzo collaborativo e con il Living non si può minimizzare l’importanza del gruppo: quegli spettacoli che hanno portato il Living alla sua più grande notorietà non possono che essere stati prodotti dalla presenza stimolante di un ensemble. Stimolante, perché come spiega Judith, c’è una correlazione dinamica tra un movimento sociale e quello di una avanguardia di artisti politici: spesso il movimento segue gli artisti; un’altra volta sono gli artisti che hanno bisogno di raggiungere il movimento.

E questo vale anche per il rapporto tra autorità vera e propria dei registi e il gruppo.
E’ sufficiente dare un’occhiata a uno spettacolo come Paradise Now: dall’incredibile mole di energia e di sperimentazione della generazione degli anni Sessanta Judith e Julian trovarono ispirazione e a loro volta ispirarono quel grande movimento.


Julian Beck, Complete_Diagonal, 1944.

Forse io sono in una posizione privilegiata per parlare di questa eredità del Living dopo la sua morte perché incontrai il gruppo mentre egli era in ospedale scrivendo i suoi ultimi meravigliosi testi. Non avendo mai lavorato con lui personalmente, si potrebbe dire che sono parte della generazione “successiva”: se si vuole si può suddividere un periodo “con Julian” e un periodo “dopo Julian” quando si studia il Living, ma c’è il rischio di un eccesso di semplificazione, come molti tendono a fare. Se solo la vita fosse così semplice. Questo perché soprattutto, la storia del Living si sta ancora scrivendo. Molti hanno anche cercato di cancellare il Living come se avesse esaurito il suo contributo al teatro. Eppure quelli che esprimono questa idea sono davvero poco informati e costituiscono quella che io definisco la “generazione cinica”: quelli delusi o critici degli anni Sessanta sebbene ne parlino spesso. Guardando il Living di oggi per esempio, o anche altri artisti politici, quella gente si lamenta: “ma è già stato fatto!”. Questo tema dell’essere una “leggenda vivente” (gioco di parole tra living= vivente e living theatre, ndt) e il problema dello stile (lo stile Living) e del creare un lavoro nuovo e vigoroso è un tema attualmente in corso con cui noi costantemente ci confrontiamo. Certi ‘disobbedienti’, per esempio, commentando una performance in Piazza Verdi (Bologna) criticavano che il nostro stile ‘peace and love’ non era più appropriato- come se le loro tattiche di contestazione e di scontro con la polizia fossero qualcosa di nuovo!

Tuttavia dal nostro pubblico, a New York City e altre parti dell’USA, dall’Europa dell’Est (Belgrado, Sarajevo, Praga) a quella dell’Ovest, dal piccolo villaggio e dalla grande metropoli nel Medio Oriente (Libano), in teatri eleganti, o in Centri sociali dell’Italia e soprattutto nelle strada dove portiamo sempre i nostri spettacoli, il lavoro vecchio e nuovo del Living è stato accolto entusiasticamente. E ancora di più, abbiamo incontrato nei laboratori molte persone che continuano a testimoniare che il Living è ancora un teatro nuovo e vivace che dà loro una valvola di scarico di cui hanno urgentemente bisogno per le loro energie e uno strumento per andare avanti nel loro lavoro. Non c’è dubbio, dal coinvolgimento e dalla partecipazione attiva conseguente di questi partecipanti così come dal nostro pubblico, che l’eredità di Julian Beck e il lavoro attuale del gruppo è ancora vivo e vibrante.

La Creazione collettiva è un esempio di Procedimento di Autogestione Anarchico-comunista che per il popolo ha maggior valore di un lavoro teatrale. Creazione collettiva come una arma segreta del popolo.
Julian Beck, La vita del teatro

Tratterò brevemente di vari periodi successivi alla morte di Julian per sottolineare questo aspetto cruciale del nostro lavoro: il teatro come veicolo per la mobilitazione. Talvolta gli studenti mi chiedono se sia possibile oggi creare nuove forme a teatro. In genere rispondo: No. O, come dice Judith “Solo ogni cent’anni più o meno qualcuno irrompe con una nuova forma. Ma ciò che può accadere in maniera emozionante, e ciò che è più importante per me, è lo sviluppo della sua funzione sociale. Per chi facciamo teatro? Chi viene a vederlo?


Julian Beck, Woman_Reclining_in_Sun, 1944.

Third Street Community Center

Non ci chiamiamo Il Living Theatre della Terza Strada di Manhattan ma in effetti questo è ciò che è diventato. Neanche quattro anni dopo la morte di Julian abbiamo inaugurato un ‘storefront’(un ex-supermercato) nell’East Village. Un quartiere coinvolto in una lotta tra residenti di lungo periodo, per la maggior parte poveri e “di colore” e il nuovo fenomeno della ‘gentrification’ (l’avanzare della cementificazione per la costruzione di nuovi edifici, ndt. Su questo aspetto della gentrification nell’East Side a Manhattan vedi M.Maffi, Nel mosaico della città. Differenze etniche e nuove culture in un quartiere di New York, Feltrinelli, 1992, ndt) che cercava di rimuovere queste famiglie e i molti artisti poveri che avevano fatto per decenni la loro casa qua. Gettati nella mischia molte persone senza tetto, attivisti del movimento per gli alloggi e vari altri attivisti politici dai comunisti dalla linea dura agli Anarchici e molti gruppi sociali che appoggiavano la causa, tutto questo con uno sfondo di club di Rock’n’Roll, bar, locali after-hours illegali, tossicomani e spacciatori e la polizia che dava la caccia a entrambi, squatters, gruppi dell’Anonima Narcotici, poeti, musicisti di strada, gang e varo elementi criminali, Hare Krishna, Cristiani fondamentalisti, studenti, punk, yuppies: questo era l’East Village e questo era il nostro pubblico. La maggior parte della ‘gente che va a teatro’ era troppo spaventata per avventurarsi fino nell’Est e nel Sud, dove noi eravamo, e venire a vedere il nostro lavoro. Più di una notte c’erano più attori sul palco che tra il pubblico!

Dopo aver tirato giù mura e alzato il soffitto, con molta eccitazione, lanciammo il nuovo Living Theatre. L’idea fu di mettere nuovi lavori in un repertorio a rotazione. Per quasi quattro anni creammo quattro nuovi spettacoli l’anno, molti testi adattati da poeti in diretta collaborazione con noi. In più, una volta alla settimana avevamo la nostra serata di poesia dove venivano presentati persone come Allen Ginsberg, Herbert Hunkie e Taylor Mead, tra gli altri nomi famosi, e anche molti poeti meno conosciuti e ‘Open mic’, notti in cui ognuno poteva presentare il proprio lavoro. C’erano anche Festival jazz, letture di nuovi testi, rassegna di danza, gruppi esterni con nuove produzioni, e molti gruppi dal quartiere con i loro eventi, party, o meeting. Non c’è bisogno di dire che c’era sempre attività fino a tarda notte con persone che bevevano, si drogavano, dormivano, facevano l’amore, organizzando, facendo prove, parlando, litigavano. Molto simile ai centri sociali qui in Italia, lo spazio della Terza Strada aveva qualcosa per tutti; tuttavia la sua attenzione era rivolta al teatro politico e ogni cosa che era presentata là aveva quel sapore di evento politico.


Julian Beck, White_Cracklings, 1945.

Non c’è spazio qui per elaborare la linea di sviluppo della forma del Living Theatre. Eppure forse le prime radici di un agire senza finzione trovano posto nel suo primo attivismo politico nelle strade di New York negli anni Cinquanta contro la bomba atomica, dove era presente in un senso elevato e si presentava nella strada come nella vita di tutti i giorni ma nella modalità teatrale della protesta. Così è stato nella Terza Strada, quando insieme con un gruppo di senza tetto da un ricovero locale creammo lo spettacolo, The Body of God. Ancora una volta queste erano persone, non attori- “sul palco” ma senza recitare- all’interno di una cornice di una presentazione teatrale. E di fatto quello non era una finzione, non più, forse, di una narrazione onesta e sincera; la vita si mescolava al teatro e il teatro diventava un evento.

Questo aspetto della vita come teatro, teatro come vita c’era in The Connection (1959) con i musicisti jazz che suonavano dal vivo sfidando gli attori bianchi a non “fingere”; o The Brig (1962) con una messa in scena così reale e crudele che era impossibile “recitare”; o Mysteries and Smaller Pieces, (1964), puro rituale, senza personaggi o trama; o Paradise Now (1968) dove con il confronto, attraverso la partecipazione, con il pubblico distruggeva ogni separazione tra arte e vita; questo iper-realismo dell’evento fu la grande scoperta del Living. Quelli che oggi fanno ‘Performance’ or ‘Performance Art’ forse non si rendono conto del contributo del Living a quella stessa forme. Eppure ciò che si mantiene della forma del Living (ed è ciò che manca alla maggior parte delle performance) è una ricchezza di stili e forme con radici profonde: il teatro epico-politico di Piscator, l’espressionismo, Artaud, la biomeccanica da Meyerchol'd, il teatro brechtiano, il teatro di parola e di poesia, specialmente i poeti Beat, e anche la grande influenza del jazz e persino della danza moderna.

Forse a causa del nostro profondo coinvolgimento nelle lotte locali all’East Village, l’amministrazione cittadina trovò la scusa necessaria (e facile) per costringerci a chiudere quello spazio. Bisogna capire che c’era poco pubblico per finanziare le produzioni in quel periodo (e in tutto quel periodo!), e per gli attori; nella Terza Strada nessuno aveva un salario tranne il sottoscritto (come tecnico e organizzatore generale) e uno o due amministratori. Così di fronte all’impossibilità di far fronte ai conti (licenze, messa a norma dell’edificio, ecc), insieme agli alti costi delle spese di organizzazione, abbiamo dovuto chiudere il teatro.


Julian Beck, Untitled, 1945.

Ancora nomadi

A questo punto il Living conta circa 30 membri attivi. Abbiamo ancora contatti con l’Europa e l’Italia, facendo tournée e laboratori intensivi, in questo periodo. Ancora una volta senza una casa, il Living fa affidamento agli amici che hanno teatri e spazi di prova a New York, e produttori in Italia che possano organizzare il lavoro. Eppure, con le molte difficoltà per la compagnia e i suoi singoli membri che hanno lottato per stare a galla, questo periodo ha prodotto spettacoli notevoli come Utopia, Capital Changes, Anarchia, il revival di Mysteries and Smaller Pieces (1964), e il nostro importante lavoro contro la pena capitale, Non In Mio Nome.


Julian Beck, Untitled, 1948.

Forse si potrebbe parlare di un processo particolare del Living: la creazione collettiva. La maggior parte dei capolavori del Living durante gli anni Sessanta e Settanta sono stati tutti creati collettivamente e questo processo continua ancora oggi. L’equilibrio dinamico tra regia, scrittura del testo, creazione della messa in scena, design e musica può essere descritta al meglio come un fluido, che dipende dalle necessità della rappresentazione. (Hanon Reznikov per esempio ha scritto quattro delle nostre recenti produzioni, e la sua ispirazione spesso è il risultato delle discussioni del gruppo). Senza dubbio nessuno, osservando una delle nostre prove comprenderebbe immediatamente il processo poiché apparentemente cinque o sei o più voci dirigono come un comitato. Nel Living ciascuno può dare una nota critica a un altro attore: un processo difficile e talvolta frustrante eppure uno si sente parte del processo di gruppo e qui il Living porta a termine una certa prassi della sua filosofia anarchico-pacifista. Questa processo conta anche quando uno si chiede: come si entra nel Living? Senza audizioni formali, per lavorare con il Living si deve semplicemente stare con il Living. Come ogni comunità il processo è organico, dipende dal luogo e dal tempo, dalle circostanze e dalle necessità di una produzione. Uno deve solo venire a trovarci.

Spesso i membri del Living sono disseminati qua e là. Sopravvivere come artisti a New York o in Europa è un’impresa tremenda e lavorare con il Living implica contemporaneamente molto sacrificio. Però questa difficoltà produce un lavoro fertile: sono molti i gruppi teatrali nati dal Living, o membri che hanno compagnie parallele. Siamo tutti registi, scrittori, poeti, musicisti, coreografi, produttori e attivisti impegnati in lavori anche fuori dal Living, che è così alimentato e reso più ricco da questo lavoro e a loro volta loro prendono sostentamento dal Living. Qui in Italia ci sono poche città o centri sociali che non hanno ospitato un laboratorio del Living Theatre o uno spettacolo. Talvolta si sente dire- “Quale Living Theatre?”- perché da Napoli, a Roma e Bologna c’è stata una presenza continua dei membri del Living che creavano e mantenevano ‘cells groups’. E questi stessi gruppi hanno più volte rotto il ramo che li legava al Living per rimanere autonomi e proseguire per la propria strada.


Julian Beck, Untitled, 1950.

Sede in Europa

Dal 1999 al 2004 il Living ha trovato una casa qua in Italia, al Centro Living Europa, a Rocchetta Ligure (AL). I successi e i problemi di questo periodo sono documentati nel film Resist dell’attore del Livng Dirk Szuszies e si può fa riferimento per questo periodo a un link con numerosi articoli (see: http://garyliving.blogspot.com/). In breve, abbiamo creato Resistenza, sulla lotta partigiana contro il fascismo Resist Now, presentato in occasione del G8 in Genova, ‘Love and Politics’, con J. Malina and H. Reznikov and Enigmas, basato su uno degli ultimi testi di Julian Beck. Anche il lavoro a New York è continuato con The Water Play, Resist Now (versione Americana), Quality of Life Crimes, and The Code Orange Cantata, per (contro) la Convention Nazionale Repubblicana(2004). Continuiamo a fare tournée per L’Europa e anche in Libano. Io ho anche ri-creato le Seven Meditations on Political Sadomasochism (1972) del Living e ho scritto e prodotto altre nuove produzioni Siddhartha, il sorriso del Fiume (da. Hesse), and Giovanna la Mariposita (basata sulla vita di Giovanna D’Arco) e tutti sotto gli auspici del Living.


Julian Beck, Untitled, 1954.

Ricominciando sempre

Oggi ancora una volta il Living sta ricreando se stesso. Perduta la sede di Rocchetta in Italia e invischiati in difficoltà legali, burocratiche e finanziarie per l’apertura di un nuovo teatro a Manhattan, il Living, in questa ricorrenza per il 20° anniversario della morte di Julian Beck sembra stia ricominciando di nuovo! Così, dove siamo adesso? Tornando alle parole di Julian, la domanda rimane sempre: perché vai a teatro? E se poi la nostra risposta è affermativa, che si, dobbiamo andare a teatro, allora quale teatro, e dove?


Julian Beck, Romeo_and_Juliette, 1957.

L’unico teatro possibile è il teatro di emergenza

Il libro di Julian Life of the Theatre si lascia leggere in maniera più efficace come manuale personale per il suo teatro di emergenza. Là troviamo, come nel suo ultimo libro e testamento artistico Theandric, due forzieri essenziali e assoluti ricchi di testi, idee, proposte e consigli per artisti e per la gente in lotta: per un teatro politico. Come può un artista di oggi non dirigere le proprie energie alla creazione di lavori che parlino della crisi fondamentale che ci troviamo di fronte in questo tempo di emergenza? Della continua guerra, dell’imminente disastro ecologico, delle economie fatte di ricchezze enormi e privilegi contrapposte a povertà insopportabili e carestie, di una cultura il cui cuore è interamente corrotto e che alimenta solo la sua stessa corruzione. Anche dalla voce di Julian, che fa ancora eco, facciamo esperienza dell’unico possibile antidoto a questa fine: la speranza. La funzione del teatro oggi, il suo ruolo nella vita, può solo essere realizzato se è impegnato a minare quella cultura antiteticamente opposta alla speranza. ‘Come possiamo fare un teatro che valga la vita dei suoi spettatori’, chiedeva Julian. Noi ci mostriamo e come dice Judith, cerchiamo di unificare gli aspetti divisi della vita, che sembra impossibile unificare: familiari, politici, sociali, religiosi, spirituali, sessuali, psicologici, artistici e economici- dentro e lungo tutta la vita quotidiana. Se nel teatro tradizionale l’attore che attende nelle quinte è una persona, e solo come scende nel palco diventa ‘consapevole della sua grande arte’, cioè diventa un’ altra persona, quello che desideriamo noi invece, e lo troviamo specialmente in Julian Beck, è questa possibilità del teatro totale che incontra una vita totale. L’una è inseparabile dall’altra Una è sempre accesa- non ci sono quinte in cui nascondersi dietro nella vita. Living: la vita è l’evento e l’evento è Living (vivente).

Sito del Living Theatre: www.livingtheatre.org

Sito (blog) del Gary Brackett: http://videoweekly.blogspot.com/
e-mail: garyliving@yahoo.com


 
 
 
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