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ISSN 2279-9184

ateatro 144.91
8/26/2013 
Per Paolo Rosa, in memoria (1949-2013) [seconda parte]
Con interventi di Castagna, Chiusano, Cigala - Cocuccioni, Cilli, La Spada, Lischi, Quinz, Sambin, Strangis, Vassallo
di Anna Maria Monteverdi
 

Leggi la prima parte di Per Paolo Rosa, in memoria (1949-2013)

Lisa Castagna
(Regista documentarista)


...difficile parlare-scrivere di Paolo in questa occasione perchè tocca gli animi e si resta "frammentati" nelle emotività sensoriali dell'anima, ma prima come studentessa al DAMS di Bologna laureandomi in Cinema poi al politecnico del Cinema di Milano, poi come professionista e amante di set: script/continuity e da pochissimo regista del documentario - Le figlie sono come le madri. Donne lungo la Via della Seta, ho sempre posto un ascolto visivo per le sue opere e i suoi scritti.
Se i miei laboratori con gli studenti nelle Università, iniziano sempre e hanno come perno: "La realtà è lì perchè manipolarla?" citando R. Rossellini e lavorando sul vissuto soggettivo - personale della percezione del Reale attraverso le immagini che ognuno di noi possiede in modo innato-naturale, per arrivare solo secondariamente alla tecnica, alla sublimazione di essa ed intrecciare i due percorsi (sintesi del mio iter professionale a oggi), lo devo anche a Paolo e alla sua lungimiranza, pioniere nel cogliere reale e astratto in un linguaggio univoco e a tratti "perfetto"

Agata Chiusano
(Videoartista, docente)

Paolo Rosa, Studio Azzurro, gli anni ’80, l’arte che diventa ludica, leggera impalpabile, l’arte che si lascia alle spalle la pesantezza sociale e ideologica delle decadi precedenti, per intraprendere un emozionante viaggio verso lo spettatore. Sono anni d’oro in cui l’Italia riesce a essere produttrice di talenti e opere, grazie a centri di ricerca, teatri, gallerie e festival per cui artisti internazionali, ora acclamati, venivano a studiare in Italia. Il nostro panorama era variegato nella proposta e nei generi, tra i molti ci siamo distinti nel video monocanale di matrice letteraria. Studio Azzurro propose alla rassegna SinA/Opsi che organizzai con Alessandro Amaducci la rivisitazione monocanale della videoinstallazione Il Combattimento Ettore e Achille. Le videoinstallazioni di Studio Azzurro si sono evolute, conquistando uno spazio fino allora inesplorato quello della fisicità emotiva dello spettatore. La duttilità del linguaggio elettronico è stata scandagliata da Studio Azzurro, che l’ha indagato e contaminato con arti performative e visuali.
Noi giovani video artisti emozionali osservavamo la lotta estetico-linguistica tra titani, ci si divideva tra i plessiani e gli azzurriani, architettura contro teatro-immagine e tutto ciò era creativo, vitale. Sia Fabrizio Plessi sia Studio Azzurro parteciparono all’innovazione scenica, avendo però due concezioni scenografiche contrapposte: il barocco di Plessi versus la miscellanea tra neo-cubismo e sinestesia della Gesamtkunstwerk di Studio Azzurro. La lezione di questi maestri ha segnato e arricchito il bagaglio che ci ha formato. Ma i tempi mutano, la leggerezza, la maestosità sono state spazzate via dal realismo dalla crisi, il pubblico non ha più occhi per sognare.
L’opera di Paolo Rosa, Fabio Cirifino e Leonardo Sangiorgi, resterà nella storia della video arte e per alcuni sarà il luogo dell’età dell’oro della video arte in Italia.



Alessandra Cigala - Enrico Cocuccioni
(Critico d'arte, docente Accademia Belle Arti Roma - Senior Broadcast designer Rai)


È difficile trovare le parole per dare voce al dolore per la perdita di Paolo. Dopo il primo sgomento seguito alla tristissima notizia, il bisogno è stato quello di fare silenzio dentro di sé. Poi, unico lenimento all'irreparabilità della scomparsa, si ritorna poco a poco con il pensiero alla persona, all'artista, alla grande eredità che ci lascia con il suo lavoro, con la sua testimonianza.
Impossibile separare in Paolo Rosa l'uomo dall'artista, proprio per l'intensa umanità e generosità che lo caratterizzavano e che si riverberavano in ogni suo progetto, realizzazione, riflessione teorica. Una visione profondamente umanistica nel suo significato più profondo. E perciò anche politica,  in un rapporto ritrovato con la polis, con il senso più fecondo del fare artistico perché, come scriveva nel suo testamento teorico L'arte fuori di sé, “l'arte deve tornare a circolare nell'organismo-umanità come il sangue circola nell'organismo umano rigenerandolo continuamente”. Arte come dono di sé che esce da sé ed entra nella società, la nutre e se ne nutre. In una visione che trasforma le tecnologie in strumenti “caldi” capaci di attivare risposte, reazioni nel pubblico, che trova la sua ragione più essenziale nella bellezza che nasce dal processo attivato dall'opera e dallo stupore che porta con sé.
Proprio per questa scelta che privilegia la relazione e il confronto, un artista come Paolo Rosa non poteva non scegliere la dimensione plurale della creazione, concretizzandola nel lavoro più che trentennale con Studio Azzurro. Un lungo percorso, fatto di opere emozionanti e coinvolgenti, che approda con gli “ambienti sensibili” a dare forma al gesto, alla voce, ai passi, al respiro.  Un gesto generante, come quello che si può vedere ancora per qualche mese nell'ultima opera che ci ha lasciato, nel Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia, In principio (e poi). Il tema: i primi passi della Genesi, l'inizio della vita, delle cose, la loro nominazione. Gesti in grado di far nascere un organismo, a dispetto dell'afasia dei sordomuti che li compiono, che si materializzano in scie luminose, fasci di energia, mescolandosi al centro del pavimento con le proiezioni di tutte le mani degli spettatori che attivano, toccandoli, questi “portatori di storie”.
Rendendo “attori” e visibili gli invisibili per disagio fisico – i carcerati, i sordomuti – o mentale – i Portatori di storie (da vicino nessuno è normale) dell'ultima installazione creata per il Museo Laboratorio della Mente di Roma – ci ha accompagnato in un percorso emozionante di narrazione.
Proprio in occasione della presentazione al pubblico di quest'ultima opera abbiamo incontrato per l'ultima volta Paolo, come sempre empatico, sensibile, disponibile all'ascolto e a parlare del suo lavoro con una luce speciale negli occhi. Con lo sguardo limpido. Lo stesso sguardo con cui desideriamo continuare a ricordarlo.

Cristina Cilli
(Regista e autrice Rai)


"Lo sai che Walt Disney diceva che la regia si fa con le orecchie e non con gli occhi?"
Sono con Paolo Rosa, fuori dal Laboratorio della Mente, di Santa Maria della Pietà a Roma.
Mi ascolta con quel suo sguardo da vulcano calmo.
"E' che io, quando penso ai vostri lavori mi fulmina sempre l'idea del minimalismo musicale. La fluidità acquatica delle immagini che scorrono sono come intervalli, silenzi e ampiamenti del medesimo tema. Partiture visive che come l'acqua distorcono, rallentano o velocizzano il tempo, trasmutano per contrappunto di oggetti che compaiono casualmente detto una struttura apparentemente ordinata".
"Lo sai che io le chiamo collanine le varie sequenze video?"
"Sì."
"Ma che stai già registrando?"
"Sì."
Sono mille e più le "collanine" che sto intrecciando questi giorni pensando a Paolo. Uomo dai concetti sensibili.
Le sue collanine sono idee concettualmente intramontabili e da sperimentare ancora e ancora. La generatività percettiva dell'interazione, per dirne una, ideata ancor prima che esistesse la diffusione dei mezzi tecnici che permettono l' interattività in tempo reale.
Ha utilizzato telecamere termiche, di sorveglianza e infrarossi per permettere allo spettatore di fare esperienza del godere della materialità dell' immagine facendola "toccare" e "plasmare". Una immersività onirica con l'ambiente fino per svelare la linea sottile che unisce l'inconscio e la visione.
Ha messo così a fondamento l'idea che l'interattività fa rima con esperienza, riflessione su di sè e sul paesaggio delle immagini artificiali dentro le quali siamo immersi.
Entrare fuori Uscire dentro si legge nel bellissimo e emozionante Museo Laboratorio dell'ex Ospedale di Santa Maria della Pietà.
Non ricordo se lo abbia detto lui o Basaglia, ma non importa.
Importa che Entrare fuori Uscire dentro ci rammenti che la facilità di accesso ai mezzi interattivi non garantisce affatto la qualità dell'interazione, dell'immagine, della scrittura e della creatività in generale.
Senza esperienza personale pensiero e emozioni, siamo condannati a essere solo terminali che schiacciano bottoni per fare audience, share e numeri da marketing virale, illudendoci di condividere e partecipare.
L'interattività di Paolo, invece, è l'interattività umana che è fatta di sangue, passioni, contemplazioni e visionarietà. Di respiri e bracciate lunghe.
Ciao. Sarà impossibile dimenticarti ora che stai nuotando nell'Azzurro.



Giuseppe La Spada, Omaggio a Paolo Rosa (1).

Sandra Lischi
(Studiosa di videoarte, docente all'Università di Pisa, dirige Ondavideo e Invideo)


In questi giorni abitati dalla tristezza, dall'incredulità e dallo stordimento per la perdita di Paolo Rosa ho ripensato alle tante stazioni di un viaggio collettivo. Almeno trent'anni di condivisione di idee, immagini, suoni, anni di impegno, di battaglie, di discussioni ma anche di meraviglie, di scoperte, di costruzione. Paolo e Studio Azzurro sono al cuore della storia della videoarte e hanno saputo creare una videoarte “fuori di sé” (per riprendere il titolo del libro recente di Paolo Rosa e Andrea Balzola) e dentro lo spettatore. Espansa anche nella musica, nel teatro, nella letteratura e nella poesia: arti a loro volta modificate da questo incontro, e che modificavano il video.
Ripenso all'impressionante qualità e quantità dei doni di Paolo: le sue folgoranti, problematiche sintesi teoriche; i suoi film, con quella particolare libertà di sguardo; la sua infaticabile attività di insegnante; i suoi innumerevoli testi; la sua disponibilità e curiosità umana; il suo modo di pensare, progettare e accompagnare la creazione artistica; la sua idea di impegno; la sua serietà; il suo sorriso; la grazia che metteva in tutto; e anche la garbata fermezza, la lucidità critica, lo scontento per un paese e per un sistema dell'arte sordo e cieco; la rivendicazione di spazio alla poesia e alla bellezza mai disgiunte dal senso del vivere civile, della memoria, del potere rivoluzionario del linguaggio.
Sono ormai un patrimonio inciso a fondo nel nostro percorso le sue riflessioni sulla tecnologia, il suo pensiero critico sull'interattività non come dispositivo tecnico ma come possibile attivazione di sensibilità, di intelligenza coniugata con la meraviglia; la sua teoria di una ricerca che può e deve essere donata anche in una dimensione di “spettacolo” (togliendo a questa parola la pesantezza volgare che l'ha avvolta in quest'epoca); la sua consapevolezza culturale e la sua capacità visionaria. La sua teoria si incarnava nella vita stessa di Paolo: l'importanza e la responsabilità del comportamento, l'etica, l'idea del “dono” che emergono dai suoi scritti sull'arte erano anche nel suo modo di essere.
Ricordo gli anni intensi della disseminazione del video, i festival, gli innumerevoli incontri anche recenti, le tante iniziative pisane a cui ha partecipato o che ha ispirato (universitarie e non), giurie in cui con passione abbiamo discusso decine di opere, mostre e dibattiti a cui lo incontravo per caso, curioso e attento, col suo zainetto in spalla; e la disponibilità con cui rispondeva a sollecitazioni e inviti, anche di miei studenti, laureati, dottorandi. Quanti giovani sono stati ispirati dagli incontri con Paolo e dall'opera di Studio Azzurro! E quanto pubblico, grande pubblico, è stato conquistato alla intelligente poesia di un'arte che sa meravigliare e far pensare.
Dovremo saper ripensare i tanti doni di Paolo, interrogare la sua arte e il suo pensiero, dialogare ancora con le sue idee, farci ispirare dal suo sguardo.

Emanuele Quinz
(New media curator, Maître de conference Università di Parigi)


In L’arte fuori di sé, Paolo Rosa e Andrea Balzola hanno scritto: “L’artista plurale attiva una dimensione rituale partecipativa, senza gerarchie e senza chiusure, dove l’azione artistica ritorna ad essere “pratica del dono” e ricerca di una bellezza generativa di rinnovate sensibilità” (p.153).
In una lettera aperta che ho inviato loro nel settembre 2011, esprimevo il mio scetticismo rispetto a questa affermazione.
Mossa dal rifiuto della monetizzazione dell’arte, di un sistema parassitario diretto dalle speculazioni di mercanti e collezionisti, in cui l’opera diventa definitivamente “moneta”, materia di scambio, la proposizione, espressa in modo netto “l’arte deve tornare ad essere dono” – mi ha fatto sussultare! Tale proposizione mi sembrava far sprofondare tutta la riflessione espressa nel libro – che nonostante alcune impennate, si manteneva sul crinale del realismo – in un’utopia sfrontata. Nella lettera, ho cercato di esprimere il mio imbarazzo, partendo da motivi congiunturali – l’esempio di Studio Azzurro che nasce come studio “privato” di produzione e che ha fatto della co-presenza sul mercato dell’arte e quello dell’impresa la sua specificità, costituendo uno dei primi modelli virtuosi, di “economia-mista”-, ma anche “ideologici”.
Prima di tutto, dove trova l’artista le risorse per poter disporre di materiali, situazioni, luoghi, tecnologie per costruire “il dono”?
Da mecenati privati – da fondazioni illuminate? O da fondi pubblici – gestiti da amministratori e politici illuminati, motivati da veri impulsi culturali e non dai sussulti del “teatrino” mediatico? Nei laboratori delle scuole? O si tratterebbe di risorse proprie?
Ma al di là di queste considerazioni pratiche, mi chiedo, chi é l’artista per poter “donare”? Qui, avevo la sensazione che l’umanismo si tingesse di idealismo, riprendendo il mito dell’artista-profeta – certo “pluralizzato”, dissolto nel team multimediale, certo, attualizzato all’estetica e all’etica relazionale, ma ancora capace di indicare la direzione alla società per un impulso superiore.
Più modestamente, rispetto al ruolo dell’artista nella società contemporanea, proponevo di parlare di una posizione “critica”, piuttosto che di una “missione etica”. Riconoscendogli una professionalità – regolata, come tutte, da un mercato, da una legislazione, da un sistema di diffusione e comunicazione, etc. Tutti questi aspetti non trasformano – tranne in certe degenerazioni, ne siamo ben coscienti - la qualità in quantità, non riducono l’effetto dell’arte in puri valori finanziari. Al contrario garantiscono che lo spettatore possa accedere liberamente all’arte, senza essere costretto ad accettare (dall’alto, nonostante tutto) un “dono” di cui forse non sente il bisogno. Queste le mie riflessioni, due anni fa.
Ma ora, nel momento in cui Paolo lascia un grande vuoto, sento che il “dono” non era un elemento retorico, non erano semplicemente delle “belle parole”. Perché il dono, Paolo l’ha fatto a tanti di noi, anche a me, indicando la strada, non come profeta ma come amico (il che é più difficile perché alla parola si aggiunge l’ascolto).
Ora, davanti a questo vuoto, è il momento di riconsiderare le cose.
Parigi, 31.08.2013



Giuseppe La Spada, Omaggio a Paolo Rosa (2).

Michele Sambin
(Tam Teatromusica)


Di Paolo ho sempre apprezzato la capacità di aprire nuove strade, di creare opere che abbattono i confini delle arti esplorando inedite possibilità comunicative.
Il suo è un percorso di vera ricerca che nella dimensione artigianale ha trovato il giusto modo di esprimersi.
Ogni volta che l'ho incontrato ho capito con quanta passione e al tempo stesso con quanta mite generosità viveva il suo essere artista.

Lino Strangis
(Artista intermediale, teorico e docente presso il laboratorio di Arti Digitali del DAMS dell'Università Roma 3)


Con Paolo Rosa abbiamo perso un punto di riferimento fondamentale; non solo dal punto di vista storico-artistico, ma anche e forse ancor più rilevante, per l'interpretazione del ruolo dell'arte e dell'artista in questa società. Da quando l'ho incontrato la prima volta ci ho scambiato poche parole eppure l'ho sempre tenuto a mente come uno a cui rivolgermi in un momento di eventuale difficoltà, uno di cui potersi fidare, un vero maestro, uno che fino in fondo credeva in ciò che faceva e sentiva forte la responsabilità di trasmettere idee, di tramandare e diffondere una certa visione delle cose, dell'arte e del mondo... Pensavo che prima o poi avremmo avuto modo di incontrarci "meglio", magari di collaborare in qualche modo, ma ora imparo ancora una volta che rinviare è spesso un atto ingenuo e perfino sciocco, che per certe cose il momento non può che essere ora... Anche questo lo apprendo da lui, ora e definitivamente... Non sono in molti ad avere il suo coraggio e ancor meno sono quelli che hanno la sua autorevolezza (tutta guadagnata) oggi, in questo paese ora ancor più orfano. E' certo che lo spirito che contraddistinguerà per sempre Paolo Rosa è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno per darci una speranza di futuro, una prospettiva entro la quale l'arte possa riconquistare la propria dignità, la sua posizione strategica nella storia dell'uomo. Paolo Rosa sapeva bene che un vero artista non è un mero fattore d'immagini (o suoni) ma qualcosa di molto di più, come era lui, un battitore libero del pensiero e del vivere , un artista di quelli che cambiano il mondo, un esempio da seguire per chiunque. Ma in un frangente tanto triste un solo pensiero mi rincuora: Paolo Rosa ha lasciato molto con le sue opere (insieme a Studio Azzurro) e i suoi pensieri, questo lascito sarà patrimonio di tutti noi, che proseguiremo, prendendolo a modello, la strada che con lui abbiamo condiviso, quel percorso di arte e vita che accomuna tutti noi che oggi lo piangiamo. Ora tocca a noi, a tutti noi, proseguire, con una passione ancora maggiore di quanto non sia mai stata, e passata la tristezza per la sua mancanza da questo mondo, rimarrà quel suo spirito e sarà capace di darci la forza di immaginare ancora infinite alternative di mondo.

Silvana Vassallo
(Studiosa di New Media Art e curator)


Ho appreso la notizia che Paolo non era più tra noi mentre ero all'estero e per lo stesso motivo non potro' essere presente ai suoi funerali. Mi dispiace molto, sarebbe stato un modo di salutarlo assieme a tanti altri amici con cui abbiamo condiviso esperienze importanti e formative, progetti, scambi di idee, riflessioni sul ruolo dell'arte e della cultura. In questi giorni mi tornamo in mente tanti ricordi, l'elenco sarebbe lungo, ma uno in particolare ha sempre rivestito per me un significato speciale, l'inizio di un'amicizia e di un'avventura creativa che mi ha segnato profondamente. Era la metà degli anni Movanta, e mi recai a Milano per proporre a Studio Azzurro la realizzazione di un'installazione interattiva da realizzara con il contributo di un'associazione culturale da poco fondata a Pisa (di cui facevo parte), il comune e l'Università. Il progetto era ancora molto vago, i finanziamenti incerti e io ero un'organizzatrice di eventi culturali alle prime armi, mossa dall'entusiasmo e il coraggio un po' incosciente che spesso caratterizza i neofiti. L'incontro fu ovviamente interlocutorio; in particolare l'atteggiamento di Paolo, al di là di ogni ragionevole previsione, fu possibilista e icoraggiante. Senza negare le difficoltà riuscì ad infondere un certo ottimismo sulle possibilità di realizzazione del progetto. La calma riflessiva e la positivita' che emanava dal suo atteggiamento mi è rimasta impressa.Quel primo icontro ha portato poi alle realizzazione dell'installazione interattiva Il soffio sull'angelo, realizzata a Pisa all'interno dell'Università, un'esperienza produttiva e creativa da cui ho imparato tantissimo. E' tramite Paolo che ho incominciato ad interrogarmi sull'arte interattiva e partecipativa. Di lui ho sempre apprezzato oltre alla sua sensibilita artistica, l'onestà di fondo e la sua profonda coerenza intellettuale. Mi piace ricordarlo così positvo, critico, generoso, stimolante, curioso e aperto verso gli altri. Lo avevo incontrato recentemente alla Biennale di Venezia dove mi aveva mostrato il bel lavoro realizzato per il padiglione del Vaticano, non pensavo che non lo avrei rivisto più, il vuoto è incolmabile, ma tante sono le cose preziose che ci ha lasciato.

Leggi la terza parte di Per Paolo Rosa, in memoria (1949-2013)

 

 
 
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