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ISSN 2279-9184

ateatro 142.80
2/2/2013 
Robert Lepage moltiplicato per quattro
Le jeux de cartes #1: Pique debutta a Chalons en Champagne
di Anna Maria Monteverdi
 

Robert Lepage, reduce dal successo mondiale dell’Anello dei Nibelunghi al Metropolitan di New York allestito nella versione integrale nell’aprile scorso, con una macchina scenica poderosa che attraversava con luci, movimenti, video mapping le quattro stazioni dell’opera di Wagner, si cimenta in un nuovo progetto anche questo “quadriforme”: Le jeux de cartes.
Lo spettacolo nasce da una curiosa commissione vincolata alla realizzazione di spettacoli da allestire per spazi artistici non convenzionali ma tutti rigorosamente a pianta centrale (non a caso il nome del gruppo progettista è Reseau 360). La committenza internazionale, in particolare il direttore del Teatro Nazionale “La Comète” Philippe Bachman che è il vero promotore dell’iniziativa da una suggestione dello stesso Lepage, ha individuato gli spazi di rappresentazione del progetto: il circo (Circe Price di Madrid, Chalons en Champagne; Cirque Julius Verne, Amiens) ed edifici storici, industriali come un gasometro riconvertito a spazio teatrale già dagli anni Sessanta (Roundhouse di Londra) e una torre rotonda (l’Ostre Gasvaerl a Copenhagen).
Avere il pubblico tutto intorno a 360° è una prerogativa del circo (ma anche delle architetture dell’antichità e delle scenografie delle avanguardie novecentiste). Lo spettacolo circense è uno spettacolo sia circolare che verticale quindi il palcoscenico a terra, a pianta centrale viene raddoppiato da uno eguale che lo sovrasta. Questo il punto di forza del progetto di Reseau 360°: lo spazio che normalmente serve per le acrobazie, per i giocolieri e per i clown dovrebbe diventare un’opportunità inedita di racconto scenico per gli autori e per gli attori, dando unità alle storie immaginate. Il circo (e in particolare il noveau cirque) non è più legato al tendone e le scene diventano talvolta opere di vera e propria architettura e ingegneria meccanica (pensiamo alle scenografie del Cirque du soleil firmati da Franco Dragone come Saltimbanco, Alegrìa, O, La nouba) spinte fino alla tecnologia più avanzata (in Ka del Cirque du Soleil ci sono proiezioni multimedia da telecamere a infrarossi e proiezioni che utilizzano sensori e sistemi interattivi).



Pique (foto di Erick Labbe).

Quattro sono gli spettacoli che comporranno (con la fine prevista nel 2015) questo progetto teatrale di Lepage dedicato al gioco di carte; ogni spettacolo è legato ai rispettivi semi: picche, fiori, quadri e cuori (visti anche nella variante più tradizionale: spada, bastoni, coppe e denari) e ogni seme è vincolato a un tema: per adesso è andato in scena Pique, associato alla spada, dunque il tema è quello della guerra.
La prima “serie”, dopo un primo debutto spagnolo, ha visto la luce francese per la prima volta in un’area poco esposta alla visibilità teatrale come Chalons en Champagne (sicuramente meno visibile di Parigi e Lione, dove lo spettacolo andrà da gennaio in poi); del resto Lepage ci ha abituato a questi debutti eccentrici (era accaduto anche per La Trilogie des Dragons e per Lypsinch).



Pique (foto di Erick Labbe).

Come è noto, il debutto non è esattamente l’occasione migliore per giudicare uno spettacolo di Lepage; infatti seguendo le sue indicazioni, bisognerebbe tornare a vederlo varie volte per assistere alle trasformazioni della scrittura scenica e drammaturgica; al suo inizio, lo spettacolo, come racconta Lepage, è sempre in fase di assestamento, di crescita. Quindi la lettura che darò di questa versione di Jeux de cartes potrebbe essere parziale, alla luce di uno sviluppo anche radicale dell’opera dal suo debutto francese a Chalons dove è stato visto il 20 dicembre 2012.

La storia
Lepage ritorna a una scrittura collettiva, una modalità sperimentata con successo ai suoi esordi con la compagnia Théatre Répere a Québec negli anni Ottanta in cui gli attori diventavano creatori.
Gli autori del testo in Jeux de cartes, in effetti, sono gli stessi attori, insieme a Lepage: Sylvio Arriola, Carole Faisant, Nuria Garcia, Tony Guilfoyle, Martin Haberstoh, Sophie Martin, Roberto Mori. La drammaturgia è stata raccolta da Peder Bjurman. Lepage racconta come le trame siano venute alla luce offrendo a ciascuno degli attori delle carte e chiedendo loro di immaginarsi una storia collegata.
Si tratta di quattro vicende intrecciate che vedono sullo stesso piano narrativo due luoghi geograficamente distanti ma uniti dalle vicissitudini dei personaggi e dal fatto di essere entrambi collocati nel deserto: Las Vegas e Bagdad all’epoca dell’invasione da parte degli States durante il governo Bush.


Pique (foto di Erick Labbe).

In un albergo di Las Vegas di cui si evidenziano solo tre ambienti interni: il casino, una camera d’albergo e il bar, ci sono diversi avventori. In questa città dorata in pieno deserto, dove tutto è finto e i matrimoni vengono celebrati da un sosia di Elvis Presley, una coppia trascorre lì la sua prima notte di nozze, salvo poi fare incursioni nell’inferno delle sale da gioco e finire prigionieri di intriganti giochi sessuali, la qual cosa li destabilizzerà. La seconda storia vede protagonista un uomo, creatore di format televisivi di successo, vittima dell’ossessione da gioco. E’ a Las Vegas per giocare la sua ultima chance con la vita, dopo aver perso tutto: il suo incontro con l’amante che lo ha dissuaso a perdere il vizio dell’alcool e con cui cerca di ricominciare. La storia finisce con una separazione non si sa se definitiva, e con una presa di coscienza della necessità per l’uomo, di purificarsi. Sceglie così la strada del deserto dove incontra uno sciamano il cui rito lo solleverà dal male terreno. La terza storia parla di una cameriera messicana addetta alle pulizie in camera che, dopo diversi malori decide di farsi curare; essendo clandestina non può rivolgersi a un ospedale, va a pagamento da un dottore che dopo varie e costose radiografie, le rivela che è in menopausa. L’ultima storia ha a che fare con il fronte di guerra aperto da Bush in Iraq: qua soldati americani e della coalizione internazionale, vengono addestrati a fare incursioni notturne e a perquisire i nemici. Due giovani miliari omosessuali fanno addestramenti violenti e poi si allontanano, arrivano sino a Las Vegas, regno dello show business e luogo di “perdizione”, dove uno dei due decide di non tornare più sul teatro di guerra; passa la notte con una prostituta e dopo un gioco sessuale pericoloso con la pistola, si allontana. Intorno alle quattro storie, i personaggi equivoci che gravitano tra casinò, bar e hotel nella speranza che la fortuna in forma di roulette o uomo facoltoso, cambi la loro vita: ballerine di strip tease, prostitute, cameriere. Qui da un momento all’altro si può entrare nel regno della povertà o in quello della ricchezza. La partita a carte che ciascuno di loro gioca è: sconfitta o redenzione?
Lo spettacolo finisce così, con un evidente to be continued.

La scena
Se l’aspetto drammaturgico lascia a desiderare, almeno nella forma attuale, la scena già pre-impostata sulla circolarità, offre una felice soluzione metamorfica che unisce tutte le trame. Una piattaforma circolare in movimento, alta un metro da terra, ha una buca sotto cui si nascondono -seduti in tecnologici sedili motorizzati- tecnici che si spostano da una parte all’altra al buio, poi svelati al momento degli applausi. Il palcoscenico è tutto un trionfo di buche, varchi che si aprono, si squadernano come un libro pop up che si apre e si chiude. Entrate e uscite sono appunto, porte o cornici vuote che si sollevano dal palcoscenico per poi ridiscendere, una volta che il personaggio li attraversa. Così anche la fossa centrale è alternativamente piscina, o camera da letto o casino o bar con minima aggiunta di oggetti di arredamento. Una soluzione particolarmente efficace è quella che vede gli avventori del bar seduti ai banconi, letteralmente incastrati a metà tra sotto e sopra, dentro e fuori, visibili solo con il busto che fuoriesce dal palco, in una staticità che ricorda l’atmosfera di un quadro di Hopper, mentre la pedana tutto intorno a loro, continua a roteare. Ovviamente questa rotazione implica un problema di ascolto che ancora non è stato risolto se non in parte con la soluzione del display (ma solo per la traduzione dei personaggi che parlano lingue straniere per il luogo di rappresentazione: lo spagnolo e l’inglese).



Pique (foto di Erick Labbe).

Alcune vicende non sembrano ancora risolte sul piano drammaturgico: la vicenda della guerra in Iraq mette i soldati in una similitudine (anche quanto a costumi) con il Saladino alle crociate per liberare i luoghi santi. Similitudine alquanto azzardata ma su cui la regia punta per una scena abbastanza lunga e ricca di suggestione all’inizio dello spettacolo, come se stessimo assistendo a un film in costume con armature medioevali. La tecnologia è limitata ai monitor che riproducono i semi di carte e ogni tanto il volto di George W. Bush nel discorso ai media del 19 marzo 2003 che annuncia l’invasione dell’Iraq di Saddam Hussein da parte di una coalizione guidata dagli Stati Uniti.
I monitor definiscono luminosamente i quattro invisibili angoli (della terra? di un ring?) su cui inscrivere il cerchio del palcoscenico. In un solo momento la parte superiore scende per collocare in basso delle sedie per poi riposizionarsi in alto. Criptica la scena finale che vede protagonista l’uomo caduto nel vizio del gioco che si spoglia nel deserto e incontra lo sciamano: una macchina scenica spettacolare fa risucchiare del fumo da terra verso un foro in alto, come se qualcuno stesse aspirando via tutto il male dall’uomo. Difficile capire a quale rituale si siano ispirati.
I momenti più forti dello spettacolo sono quelli del passaggio da una storia all’altra, quelli delle soluzioni sceniche per le transizioni che implicano un gioco di precisione di uscite, di discese dei personaggi, di smantellamento veloce della scena.

Verticalità e circolarità: la scena di Lepage dai concerti al circo
Se la scena ovviamente ha un più che vago ricordo della struttura circolare e verticale insieme, realizzata da Lepage per i concerti di Peter Gabriel, in particolare per Growing up Tour (simile anche per la soluzione dei tecnici nascosti nelle botole), meno lo è per le soluzioni tecnologiche e sceniche qua semplificate al massimo. Lo stage designer in questo caso, non è lo storico collaboratore Carl Fillon, ma Jean Hazel che sembra essersi ispirato a molte scene teatrali trasformiste a cui Fillon ci ha abituato (una fra tutte: il dispositivo mobile di Elsinore) ma con un minore respiro di genialità.
A proposito di circolarità e verticalità impossibile poi non citare l’esperienza di Lepage con il Cirque du Soleil in particolare il lavoro straordinario fatto per il megashow KA in cui a Las Vegas un teatro è stato costruito tutto intorno alla architettura creata dall’architetto Mark Fisher per questo spettacolo stabile dal 2004 all’ MGM Theatre di Las vegas. Una piattaforma può ruotare a 360° e disporsi in verticale rispetto alla scena: dal naufragio alla battaglia con la scalata della montagna seguendo le acrobazie dei ballerini-atleti che si lanciano nel vuoto, volano su macchine fantascientifiche tra i giochi di luce del lighting designer Luc Lafortune.
Certamente se lo spettacolo non risulta straordinariamente convincente almeno in questa primissima fase di debutto (ma sicuramente non mancherà di stupirci con soluzioni migliorative o arricchenti), Lepage non delude certo nel raccontare quella che è la sua idea dello spettacolo il giorno dopo di fronte a una ristrettissima cerchia di persone, critici, giornalisti che lo seguono da anni. E si permette di accettare la critica rivolta dai giornalisti proprio di una certa debolezza dello show:

Sono d’accordo, ma siamo all’inizio. Noi attori siamo sportivi, si comincia, ma non sappiamo come andrà a finire

 

 
 
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