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ISSN 2279-9184

ateatro 135.60
7/25/2011 
Ma in fondo cosa è cambiato? I modi di produzione dominanti, ieri e oggi
In anteprima dal dossier Produrre teatro ieri, oggi e domani ("Hystrio" 3_2011)
di Mimma Gallina
 

Qui di seguito, la versione integrale del saggi di Mimma Gallina per il dossier Produrre teatro ieri, ogi e domani", pubblicato su ìl "Hystrio" 3_2011.

Tragedia Engodonidia
della Societas Raffaello Sanzio). In altri capitoli di questo dossier si analizzano queste forme.
Ma cosa succede intanto nel teatro dominante? Cioè in quello maggioritario, cui è destinata la quasi totalità dei finanziamenti statali, degli spazi nelle programmazioni, del pubblico? Con una produzione in bilico fra tradizione e convenzione, vocazione culturale e pragmatismo commerciale, in questo teatro punte espressive alte convivono con una diffusa mediocrità, e vere e proprie rivelazioni interpretative con appiattimenti commerciali-televisivi.
Cosa è cambiato in questo teatro negli ultimi quarant'anni? Le catene di montaggio fordiste non esitono più: ma come si è trasformata la "filiera" teatrale, ovvero tutti i passaggi dalla "materia prima" al "consumatore"?

Impresa
Senza "impresa" non si produce teatro a livello professionistico. La mappa del sistema ha visto innovazioni significative fino agli anni '80 e possiamo ripercorrerle attraverso le politiche ministeriali, studiando il riconoscimento e le oscillazioni nei confronti dei diversi settori: ricerca e ragazzi, cooperative e circuiti negli anni '70, stabili privati, poi di innovazione fra '80 e '90, etc. Le indicazioni dei tempi Prodi/Veltroni poi Melandri - fra il '96 e il 2000 - hanno avuto invece vita più dura: la parola d'ordine delle residenze non è mai stata davvero recepita (ma le residenze si sono affermate nei fatti come pratica alternativa), come non è andata a sistema l'indicazione di progettare almeno con prospettive triennali e l'intenzione di pianificare la rete della stabilità (uno stabile per tipologia in ciascuna regione): queste innovazioni avrebbero potuto portare a trasformazioni davvero incisive nel sistema. L'ultima vera riforma è precedente, e riguarda gli stabili pubblici: è il "decreto Tognoli" (applicato dal '92 in avanti), cui si deve un relativo consolidamento del settore, che tuttora regge (sul piano economico-organizzativo).
Non va infine dimenticata l'affermazione di nuovi modelli di imprese dedite alla produzione di teatro ad alta densità commerciale: dalle agenzie di distribuzione che diventano anche produttori di comici, o attori di grande popolarità già dai primi anni Novanta (con modalità più simili all'organizzazione musicale che alla tradizione della prosa), all'insediamento anche in Italia delle multinazionali del musical.

Spazi
Con pochissime significative eccezioni, la nostra edilizia teatrale è ottocentesca, non solo perchè la forma del teatro "all'italiana" costituisce - purtroppo e per fortuna - la spina dorsale del sistema (dal punto di vista dell'hardware), ma perchè i teatri realizzati negli ultimi decenni ripropongono punti di vista frontali e rapporti spaziali sostanzialmente simili e gli spazi "alternativi" sono pochissimi. Dunque è all'interno di e per questi spazi all'italiana che si produce. Qualcosa di nuovo si è verificato su questo fronte: per esempio, le frequenti "seconde sale" degli stabili (che riflettono la consapevolezza di dover differenziare almeno un po' la produzione e la necessità di una maggiore presenza in sede), qualche centro-multisala nuovissimo (Franco Parenti e Puccini a Milano, per esempio), e qualche recupero di strutture industriali, ma si sta verificando anche un accanimento nell'applicazione delle normative di sicurezza che blocca questo processo quando le disponibilità economiche sono minori. Su questo terreno restiamo insomma incredibilmente arretrati, come arretrata resta la gestione, anzi la concezione degli "esercizi".

Drammaturgia
Passando ai processi di produzione veri e propri, in principio era il verbo (e l'autore), e tuttora è così (nei modi di produzione dominanti). La prima tappa del processo di produzione è la scelta del testo. L'innovazione qui si misura nella capacità di stimolare o trovare nuovi autori (italiani e stranieri), di accogliere linguaggi diversi, tematiche corrispondenti all'evoluzione della società. Ovviamente molti lavorano in questa direzione, ma in questo campo la situazione è probabilmente arretrata negli ultimi vent'anni: sul piano promozionale nazionale, a parte qualche premio più o meno illustre, il nostro paese non fa assolutamente niente (l'Istituto del Dramma Italiano - che pure era non poco corporativo - ha chiuso diversi anni fa e l'ETI, che pure non faceva un gran che, l'anno scorso, la SIAE non svolge il ruolo promozionale, un compito che pure avrebbe per statuto, per non parlare di istituti italiani di cultura, agenti o centri privati: basta aprire qualche sito estero per farsi prendere dallo sconforto). E per quanto riguarda la metodologia delle singole organizzazioni, quanti uffici drammaturgia, dramaturg o comitati di lettura esistono in giro per l'Italia? il sistema si regge anche qui sulla curiosità e la buona volontà dei singoli, o sul caso.

Regia
Come si usava fare, si fa: si sceglie il regista per quel testo (modello impresariale), o è il regista a proporlo (ma è la regola solo se regista e direttore artistico si identificano). Se supponiamo che dalla regia soprattutto dipenda la capacità di dare spessore critico, coerenza, stile alle singole scelte e all'attività di un'organizzazione teatrale, bisognerebbe domandarsi se è questo che chiede il teatro dominante al regista. E’più frequente che l’impresa (anche pubblica) veda nel regista un onesto artigiano, capace di rispettare le condizioni e i tempi concordati per la consegna del prodotto. Si crea all'interno di precise condizioni, e rispondere a questa aspettative forse non è poco. Ma di certo non è quello che "noi credevamo".

Collaboratori artistici e allestimento
Che siano fra i fattori dati di una produzione (se interni), oppure che siano scelti dal regista o suggeriti dall'impresa, scenografi, costumisti, datori luce etc.sono elementi chiave per la qualità di un risultato. Erano - e qualche volta ancora sono - la continuità dei rapporti, l'affiatamento, l'affinità, oppure la novità e la curiosità reciproci e il desiderio di trovare assieme chiavi interpretative, i presupposti per creare quelle speciali alchimie che ci fanno ricordare a distanza di decenni gli spettacoli per la sintesi delle componenti. Succede molto spesso però - nel nostro teatro dominante e da sempre - che questi professionisti si riducano a confezionare pacchi dono, con fiocchi più o meno appariscenti e funzionali a giustificare il prezzo del biglietto: scene inutili, o francamente brutte, o del tipo "vorrei ma non posso" che, nel sistema impresariale, corrispondono alla convinzione che lo spettatore voglia un po' di scena (più che una scena giusta) e, nella logica del teatro pubblico, alla difesa di una certa grandeur intesa come fattore identitario. Sono questi a mio parere gli sprechi (e le cadute di gusto) più gravi, più delle sperimentazioni visive, che pure il nostro teatro non si può permettere ai livelli di una volta. E' inevitabile che l'allestimento scenotecnico sia il settore più colpito dalle minori disponibilità economiche: eppure è proprio quando i mezzi sono minori che creatività e affiatamento sono determinanti. Invece di essere penalizzata, quest'area potrebbe e dovrebbe essere rinnovata. E segni di rinnovamento qua e là si notano, sul piano generazionale e nel quadro di percorsi (rari) attenti al rapporto con le arti visive o alle nuove tecnologie.

Compagnia e cast
Rimando al documento del convegno di Prato dedicato alla "stabilità della compagnia": considerata cosa buona e giusta da tutti o quasi, ma che pochi praticano, preferendo la composizione caso per caso (la formazione del cast). In questo, e nel privilegiare lo star system e le sue evoluzioni, la logica privata ha contaminato il teatro pubblico fin dalle origini: non è un fenomeno recente ma (in una logica di filiera), si potrebbe discutere caso per caso se si privilegi materia prima di qualità per il bene del consumatore (e sarebbe stupido nella tradizione italiana sottovalutare la funzione del "grande" attore) e/o si preferisca immettere nel prodotto un colore più accattivante. Restano inoltre empirici i criteri di valutazione della "chiamata" e la conseguente stima dei cachet degli attori (che però stanno calando). Le politiche di compagnia, la continuità, il ricambio generazionale: la centralità del lavoro è tra i nodi principali di una riforma tutta da fare.

Tempi e durata delle prove
Esistono precise consuetudini sui tempi di prove nei modi di produzione dominanti: un gruppo di professionisti, con un testo di media durata e un regista buon artigiano, con le idee chiare e senza grilli per la testa, va in scena in 30/35 giorni. Sono tempi collaudati e proabilmente consoni a produzioni "mainstream": ho visto spettacoli rovinarsi per eccesso di prove (almeno a mio parere).
Certo, questi tempi e modi escludono la ricerca o pratiche pedagogiche nel corso della preparazione di uno spettacolo, e con il tempo hanno sostituito i modi propri della continuità e dei sistemi a repertorio che caratterizzavano le compagnie fino al primo Novecento (e anche i primi anni del teatro pubblico): l'intersecarsi di prove e recite (e la razionalizzazione dei costi che comporta), e l'alternarsi di tempi di lavoro e tempi di decantazione e riflessione.
Ma oggi anche la durata standard delle prove è penalizzata, e si tende a provare perfino meno. Oppure, anche nel teatro dominante - che sia per selezionare elementi giovani o per risparmiare o tutti e due le cose - si è diffusa la tendenza a finalizzare percorsi formativi a esiti spettacolari.

Formulazione dell'offerta
Cosa è cambiato nel modo di comporre e prospettare i cartelloni dei teatri, ovvero il "contenitore" che per tradizione compone l'offerta al pubblico? E nella logica dell'abbonamento? Poco, a mio parere: certo, è entrato in gioco il marketing, qua e là si sperimentano forme più aperte, ma sono piccoli assestamenti.
Anche gli stabili che operano preferibilmente in sede e con continuità non osano per esempio alternare gli spettacoli secondo il modello dei teatri di repertorio centro europei. Le modalità organizzative che pongono a contatto l'offerta con la domanda si sono appena un po' modernizzate.

Distribuzione
E' il maggior paradosso: il mercato è sempre più inconsistente (e sarebbe lungo dire qui perchè), fatta eccezione per alcune tipologie di spettacolo market oriented (il musical, per esempio), che attraversano però a loro volta alti e bassi, con rischi non indifferenti per i produttori.
Eppure il sistema è iperproduttivo e frammentato, e la maggior parte delle imprese produce tuttora anche o soprattutto per il giro. Le maggior o minori chances di salvarsi per un'impresa, malgrado i costi che la gestione di uno spazio comporta, stanno nel disporre o meno di una propria sede: per le prove, per i propri spettacoli e come leva per la distribuzione (secondo il sistema degli scambi: che è una necessità, qualche volta gestita con equilibrio e coerenza, qualche volta no).
Non per tutti, certo, ma per molti uno spazio proprio è l'ancora di salvezza, e non da ora: stupisce la lentezza con cui il sistema si sta adeguando. Ma sarebbero praticabili altre strade: una migliore gestione della distribuzione pubblica (circuiti e teatri comunali), un generalizzato sforzo promozionale, politiche statali e locali adeguate a sostegno della qualificazione degli esercizi e della domanda.

Se questo excursus è corretto, i modi di produzione sono mutati molto poco, a volte sono visibilmente peggiorati, e solo negli ultimi anni in collegamento con la crisi politico-economica. La progressiva riduzione di disponibilità economiche (con riferimento alla contrazione dei contributi pubblici e ai problemi del circuito distributivo ufficiale, soprattutto pubblico), porta a contenere i budget per le produzioni. Ma la "crisi" potrebbe essere un motore di cambiamento nel teatro dominante?
Un primo effetto da valutare è l'accentuazione della stabilizzazione (nuovi insediamenti) e della stabilità (permanenze più consistenti in sede).
Questo porterà a trasformazioni consistenti nella mappa del teatro italiano. La stabilità dovrebbe spingere a sforzi più intensi e articolati rivolti alla crescita quantitativa, all'articolazione, alla formazione del pubblico (l'ambito dove è più statisticamente possibile prevedere significativi risultati economici).
Quanto ad altre trasformazioni di fondo, dipenderanno dalle capacità di ciascuna organizzazione, e del teatro "ufficiale" nel suo complesso, di trarre riflessioni strutturali e di sistema, quelle che più potrebbero influire sui modi di produzione dominanti e determinare cambiamenti poetici e estetici. E di premere sulla classe politica e incidere per l'affermazione di nuovi assetti e quadri normativi.
Nel frattempo, anche se ciascuna esperienza è unica, si notano segni di trasformazione, a volte risposte strategiche. Le piccole o grandi innovazioni suggerite dalle aree periferiche o esterne stanno penetrando nel cuore del sistema, anche solo per il fatto che rappresentano altrettanti potenziali mercati (la formazione, il teatro sociale, le reti...). Qualcuno tenta di ridare un senso non solo economico alle pratiche di coproduzione, altri cercano all'estero sbocchi di mercato e momenti di confronto.
Ma ai più forse basta che il taglio del FUS sia rientrato, purchè tutto resti così, e che ciascuno abbia la propria fettina di contributo pubblico, per i secoli dei secoli

 

 
 
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