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ISSN 2279-9184

ateatro 121.12
5/25/2009 
Stiamo diventando tutti ariani?
L’eredità profetica di Fabio Mauri in un prezioso volume che raccoglie tutta la sua opera
di Andrea Balzola
 

Fabio Mauri (1926-2009), prima di salutarci ed avviarsi nell’Oltre, ha fatto appena in tempo a vedere pubblicata la sua opera omnia in un corposo volume molto curato e prezioso, che va ben aldilà della monografia per diventare piuttosto un libro d’artista. Quasi tutto in un elegante e contrastato bianco e nero, con una sequenza fotografica di tutte le sue installazioni e performance. Il titolo, sigillo provocatorio di mezzo secolo di attività, è Io sono un ariano, l’editore, estimatore e amico di Mauri, è il gallerista Franco Nucci con i tipi delle Edizioni Volume! – Lampi di Stampa.
Un libro inusuale e importante, che grazie alle immagini, a un intenso testo introduttivo di Achille Bonito Oliva, da sempre attento esegeta del lavoro di Mauri, e alle puntuali schede delle singole opere a cura di Dora Aceto, Tullio Catalano, Giorgio Pressburger e Lara Vinca Masini, consente di ripercorrere per brevi ma significative tracce un’avventura artistica unica nel suo genere. Anzi, unica nel suo libero attraversamento dei generi; infatti Mauri, dopo un esordio pittorico gestuale (negli anni Cinquanta) che già però faceva trasparire la sua vocazione concettuale, subito sfociata nella serie degli “schermi”, cerca l’incrocio dei linguaggi: il cinema, la scenografia e la performance teatrale, la fotografia, l’oggetto dadaista, l’installazione. Non a caso nel 1980 ricostruisce una Gran serata futurista con gli allievi e i docenti dell’Accademia di Belle Arti de L’Aquila (dove ha insegnato per vent’anni), una vera e propria summa di tutte le sperimentazioni futuriste dalle origini all’epilogo del movimento.
Mauri si pone dunque come consapevole continuatore dell’utopia avanguardista che cerca l’opera d’arte totale, la sintesi dei linguaggi, ridisegnandola però all’interno di precisi teoremi concettuali. Tutta l’opera di Mauri può dirsi attraversata da un’ossessione: quella del fascismo. Ma il fascismo non solo inteso come nefasto evento storico di cui è indispensabile mantenere lucida memoria, ma come malefica congiunzione di Menzogna e Ordine, di Assolutezza del Potere e Vacuità del Senso. Non stupisce che Mauri sia stato anche amico e precoce compagno di strada di Pasolini (con lui, nel 1942, fonda la rivista “Il Setaccio”), nei primi anni Settanta, gli stessi anni in cui Pasolini progettava un film su San Paolo ambientato in epoca fascista (non fu mai realizzato ma ci rimane una bellissima sceneggiatura) e poi realizzava il suo film più crudo e spietato: Salò e le 120 giornate di Sodoma, Mauri iniziava la sua stagione di opere e performance politiche ispirate alla tragedia della seconda guerra mondiale, dell’olocausto, dell’ideologia nazi-fascista e della sua iconografia. Se Pasolini, con Salò, denunciava la crudele oscenità dell’ideologia fascista, identificandola con l’ottusità di un potere che copriva la sua impotenza (culturale e civile) con il mito di una virilità violenta, Fabio Mauri fin dalla sua performance Che cos’è il fascismo del 1971, che riproduceva le cerimonie dei giochi della gioventù fascista e hitleriana, intrecciando arte e teatro, faceva emergere l’estetica dell’autoritarismo, quella macchina nullificante dell’identità che dietro l’ordine e l’eleganza delle divise, delle scenografie e dei simboli nascondeva la pianificazione industriale del massacro:

“Qui si sperimenta in poco tempo l’ideologia falsa, l’abisso della Superficialità istituzionalizzata, la Tautologia del Potere assoluto, la malignità intima della Bugia nascosta nell’Ordine, la vergogna della confusione culturale, l’irresponsabilità di chi avoca a sé la libertà di giudizio collettivo, l’inganno della giovinezza che porta grazia e fiducia a fare da preludio ad ogni proprio massacro.”

In questo ciclo di “affreschi” multilinguistici sugli orrori del Novecento, dove si sovrappongono eventi pubblici e memoria personale, c’è la presentazione del corpo nudo e vivo di una donna Ebrea a confronto con oggetti confezionati con la pelle degli ebrei uccisi nei campi, "una profezia" fortunatamente mancata di un mondo in cui i nazisti vincitori hanno trasformato gli ebrei in materia prima, in categoria di consumo (1971); c’è un roseto dedicato al gruppo di studenti cattolici tedeschi della Rosa Bianca (2000), precoci oppositori al nazismo barbaramente trucidati; un doppio rito religioso (cristiano ed ebreo) officiato nel famigerato palazzo delle torture nazifasciste in via Tasso (1993); ma ci sono anche le foto e i filmati degli oppositori del regime cinese (1992), gli studenti di Tien Amen giustiziati dai loro coetanei soldati, perché il fascismo non ha un unico colore e un unico simbolo, è una retorica armata del Nulla Universale, un’ideologia dell’annientamento del diverso, del molteplice, del particolare. E in questo il linguaggio svolge un ruolo primario, perché è dalla sua manipolazione che inizia lo sterminio del Senso, allora Mauri rimanipola creativamente e criticamente, tramite il collage, il fotomontaggio, eccetera, la manipolazione propagandistica del linguaggio autoritario e bellico:

"L'aderenza tra linguaggio ed uomo è così stretta, in condizione di guerra, che sul tavolo analitico se ne ricava una nozione antropologica maligna: il linguaggio è cattivo, o il suo uomo lo è, o l'uno e l'altro lo sono.” (sul libro d’arte Linguaggio è guerra, del 1975)

L'unico antidoto a tale perversione del linguaggio è l'esercizio della critica, ma una critica messa in scena dall’arte, laboratorio ri-generativo dei linguaggi, spazio dove la realtà diventa metafora e dove la metafora può prospettare nuovi orizzonti di realtà. Questo è lo “strabismo” di cui parla Bonito Oliva a proposito di Mauri, il suo essere un intellettuale “obliquo” manipolatore creativo di materie per elaborare concetti e manipolatore critico di concetti per elaborare forme e ambienti espressivi. Artista rigoroso all’estremo, ha avuto come scopo “un accrescimento etico dell’estetica , la conquista di un tempo presente che coniuga la memoria del passato attualizzato dal movimento attivo dello spettatore” (A.B. Oliva). Uno scopo perseguito e raggiunto attraverso una elaborazione concettuale delle innovazioni delle avanguardie artistiche, e in particolare mediante quell’operazione di sintesi che è la teatralizzazione dei linguaggi delle arti, materialmente rimescolati (ad esempio proiettando le sequenze cinematografiche su corpi e oggetti), e riconcepiti per ristabilire una centralità dell’uomo (come osservatore attivo e critico, come regista di azioni ed eventi) rispetto a un modello di sviluppo ideologico, tecnologico ed economico che ha messo al centro il sistema con la sua logica di efficienza e di omologazione, che ha sostituito il dialogo e la riflessione con la propaganda mediatica, che ha sostituito il lavoro con la speculazione finanziaria.
Questa è la vittoria del fascismo, tanto temuta da Mauri e profetizzata da Pasolini, un nuovo fascismo apparentemente meno facinoroso e violento di quello storico, ma molto più penetrante, capace non solo di vestirci di nero e di farci fare il saluto romano (anche se in Italia esso tenta di riprodurre e rivalutare persino gli aspetti esteriori del passato), ma di operare dall’interno quella trasformazione antropologica che ci fa diventare tutti “ariani” (vedi l’installazione Ariano, del 1995, che da il titolo al libro), e paradossalmente più le etnie si rimescolano, i bisogni e la cultura diventano globali, più il fascismo cerca di distinguere e separare le categorie dell’avere da quelle dell’essere, essere ariano oggi è appartenere non a una razza antropologica (sarebbe impossibile, perché le razze non esistono più) ma a una razza sociale, eventualmente a una razza mentale. Ben prima che il Signore delle televisioni divenisse il nostro nuovo monarca, Pasolini scriveva:

“Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza (… ) pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane (…) È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, buttata per sempre.”

Al contrario, Mauri si è ostinatamente cimentato in una originale ricerca identitaria provocando traumatici eventi di consapevolezza con la fulminea intuizione dell’artista e un arsenale linguistico di metafore anti-omologanti. Grazie Fabio, noi non dimenticheremo.


 
 
 
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