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ISSN 2279-9184

ateatro 108.6
4/26/2007 
Dossier Ivrea 1967 Come è nato il manifesto "Per un nuovo teatro"
Con il testo del medesimo
di Francesco Bono
 

Sul numero 247 del novembre 1966 della rivista Sipario fu pubblicato il manifesto di convocazione per il Convegno sul Nuovo Teatro di Ivrea.
I firmatari del manifesto non erano solo registi, attori, critici e tecnici di teatro, ma appartenevano anche ad altre discipline artistiche: musicisti, come Sylvano Bussotti, e cineasti, come Marco Bellocchio e Liliana Cavani. Alcuni di loro poi non furono realmente presenti nelle giornate di giugno: Corrado Augias, ad esempio, trovandosi a New York in quei giorni, fece pervenire una lettera che fu letta pubblicamente da Franco Quadri in sostituzione del suo intervento. Altri ancora, pur essendo presenti, non parteciparono attivamente al dibattito: è il caso di Luca Ronconi, di cui mancano registrazioni e interventi, nonostante fosse seduto tra le circa ottanta persone che assistevano alle conferenze. Altri infine, come Dario Fo, non firmarono la dichiarazione ma furono presenti, partecipando anche molto attivamente, all’incontro.
Ettore Capriolo racconta così, in un intervista ad Alfredo Tradardi e Roberto Pellerey del 1987, la genesi del Manifesto e del Convegno: “Tutto questo nacque un giorno a Venezia: mi incontrai con Augias in un bar e parlammo della nostra comune insoddisfazione per il teatro che vedevamo. Di questi temi avevamo parlato altre volte con Quadri e con Bartolucci; l’idea era quella di fare qualcosa, magari un Manifesto. Tornai a Milano e ne riparlai con Bartolucci e Quadri, rimanendo sempre in contatto con Augias. A poco a poco la cosa si mosse. Coinvolgemmo Fadini e gli altri, soprattutto Lerici e Scabia. Il gruppo promotore di Ivrea furono queste sei o sette persone.
Ci fu una serie di incontri e redigemmo quel Manifesto. Invitammo a firmarlo i rappresentanti dei vari gruppi che c’erano allora, e che agivano soprattutto nelle cantine romane: c’era Quartucci, c’era Carmelo Bene, c’era Calenda, e altre persone che agivano a Milano, tipo De Vita e Ambrosino, più alcuni personaggi del teatro italiano professionale che ci sembrava avessero un discorso alternativo da fare. […] Infatti erano stati invitati a entrare anche Ronconi, che aveva fatto un paio di spettacoli di cui il più importante era stato I lunatici, Trionfo, che faceva uno spettacolo ogni tanto negli stabili decentrati come quello di Trieste, e Luzzati, che faceva molte scenografie, era scontento, faceva ancora cose con materiale povero. Il progetto non coinvolgeva personalmente né Trionfo che Ronconi che Luzzati, e la loro risposta era: ‹‹Ma io cosa ci vengo a fare?››. I firmatari sono stati scelti in modo da comprendere anche presenze come Bellocchio, che era il Bellocchio de I pugni in tasca, e la Cavani, che aveva fatto Francesco d’Assisi. Inoltre, uno dei punti qualificanti di Ivrea era la rimessa in rapporto del Teatro con le altre arti, e l’invito rivolto a Cathy Barberian e a Bussotti fu proprio per quello. Ma una parte significativa della gente che lo aveva firmato non venne, e se venne stette zitta. Per esempio Ronconi venne, assistette a una giornata ma rimase a margine, più da turista curioso che da partecipe.
Si arrivò alla stesura con infinite correzioni, riunioni ecc. La preparazione durò due mesi, se ne cominciò a parlare nell’autunno del ’66, e si arrivò al Manifesto più o meno intorno a gennaio. L’idea era già quella di fare un Convegno. Fadini parlò con Zorzi e Zorzi, che allora si occupava dei servizi culturali dell’Olivetti, propose di fare il Convegno a Ivrea.”

Al riguardo, Franco Quadri, nel suo primo intervento a Ivrea, ricorda: ‹‹Quando ci riunimmo nell’ottobre scorso con Augias, Bartolucci, Capriolo, poi Calenda, Bene, Guicciardini, Quartucci, Scabia, Lerici, Fadini naturalmente e gli altri per firmare quella dichiarazione che poi fu pubblicata su Sipario e lanciò questo convegno per un “Nuovo Teatro”, non potevamo immaginarci quello che sarebbe poi successo. Non immaginavamo che quel termine di “Nuovo Teatro”, non molto originale e coniato occasionalmente, perché desiderio del nuovo, o meglio del rifiuto di vecchi artifici dominanti sia nelle strutture che nelle tecniche, era il solo motivo che ci univa veramente tutti. Quel termine di “Nuovo Teatro” dico, sarebbe diventato di lì a poco così di moda da soppiantare, nella fantasia dei teatranti di questo Paese – dove si fanno molti più Convegni, come si sa, che spettacoli – il termine, ormai già rimuginato da qualche tempo, di “Teatro della Crudeltà” ››.

per un convegno sul nuovo teatro

La lotta per il teatro è qualcosa di molto più importante di una questione estetica.
In una situazione di progressiva involuzione, estesa a molti settori chiave della vita nazionale, in questi anni si è assistito all’inaridimento della vita teatrale, resa ancora più grave e subdola dall’attuale stato di apparente floridezza. Appartenenza pericolosa in quanto nasconde l’invecchiamento e il mancato adeguamento delle strutture; la crescente ingerenza della burocrazia politica e amministrativa nei teatri pubblici; il monopolio dei gruppi di potere; la sordità di fronte al più significativo repertorio internazionale; la complice disattenzione nella quale sono state spente le iniziative sperimentali a cui si è tentato di dare vita nel corso di questi anni.
Come conseguenza le realtà italiana e i mutamenti intervenuti nella nostra società così come le nuove tecniche drammatiche e i modi espressivi elaborati in altri paesi non hanno trovato che isolati e sporadici riferimenti nella nostra produzione teatrale. Sono mancati d’altra parte il ricambio e l’aggiornamento delle tecniche di recitazione, l’analisi e l’applicazione di rinnovati materiali di linguaggio, gestici e plastici, mentre lo stesso innegabile affinamento della regia ha finito per risolversi in un estenuato perfezionismo di sterile applicazione, contro ogni possibilità di rinnovamento dei quadri.
La critica drammatica istituzionale, dal suo canto, invece di svolgere una funzione di provocazione e di stimolo su questa situazione generale, ha contribuito al mantenimento dello stato di fatto e si è troppo facilmente allineata alle posizioni ufficiali, ancorando linguaggio e metodi a modalità ormai superate con una rinuncia di fatto al suo compito primo di ricerca e di interpretazione.
Con poche consapevoli eccezioni il nostro teatro, oltre a dimostrarsi incapace di svolgere un discorso proprio, si è così venuto a trovare in una posizione di completo isolamento, sistematicamente impermeabile cioè ad ogni innovazione culturale, alle ricerche e agli esiti della scrittura poetica e del romanzo, alla sperimentazione cinematografica, ai discorsi aperti dalla nuova musica e dalle molteplici esperienze pittoriche e plastiche.
La nostra attività di scrittori, critici, registi, scenografi, musicisti, attori, tecnici del teatro, anche se di diverse ideologie, attestati su differenti posizioni di lavoro, ci fa sentire estranei ai modi, alle mentalità e alle esperienze del teatro cosiddetto ufficiale e alla politica ufficiale nei riguardi del teatro.
Per la diversità dei metodi e dell’ispirazione che improntano l’attività in cui siamo impegnati, noi non ci poniamo come gruppo almeno nel senso in cui questa parola ha caratterizzato passate esperienze nella vita letteraria e teatrale. Al di sopra di ogni diversità pensiamo però di poter individuare una sufficiente forza di coesione nel trovarci comunque di fronte a problemi di lavoro fondamentalmente analoghi.
L’attività finora svolta da ciascuno di noi può costituire perciò la basa di un comune senso di lavoro che si proponga come fine di suscitare, raccoglier, valorizzare, difendere nuove forze e tendenze del teatro, in un continuo rapporto di scambio con tutte le altre manifestazioni artistiche, sulla linea delle esigenze delle nuove generazioni teatrali. Non crediamo infatti utile né necessario partire da zero, convinti come siamo che sia possibile essere tanto più precisi quanto più si è coscienti delle esperienze che sono già state iniziate e portate avanti da noi altrove.
Oggi si impone la necessità di adeguare gli strumenti critici agli elementi tecnico formali dello spettacolo, di affrontare l’impegno drammaturgico senza alcuna soggezione agli schemi prestabiliti, con un recupero di tecniche e una proposta di altre tecniche con l’uso di attori fuori della linea accademica e quotidiana, con la scelta di ambientazioni che ricreino lo spazio scenico.
Non c’è nuova strada nel teatro come in ogni altra attività della scienza e dell’arte che non implichi di necessità estesi margini di errore. Noi li rivendichiamo. Non vogliamo dar vita a un teatro clandestino per pochi iniziati, né rimanere esclusi dalle possibilità offerte dalle organizzazioni di pubblico alle quali riteniamo di avere diritto; rifiutiamo però un’attività ufficialmente definita come sperimentale, ma costretta ad allinearsi alle posizioni dominanti.
Il teatro deve poter arrivare alla contestazione assoluta e totale.
Di tutto questo e dei problemi connessi all’aspetto organizzativo, è nostra intenzione discutere in un convegno di apertura e di verifica che indiciamo per la fine della presente stagione teatrale e al quale invitiamo tutti quanti, in base alle esperienze raggiunte, si sentano di condividere con noi gli obiettivi contro cui operare e questo appello di urgente lavoro.
Non crediamo infatti alle contestazioni puramente grammaticali. Crediamo invece che ci si possa servire del teatro per insinuare dubbi, per rompere delle prospettive, per togliere delle maschere, mettere in moto qualche pensiero. Crediamo in un teatro pieno di interrogativi, di dimostrazioni giuste o sbagliate, di gesti contemporanei.


Corrado Augias Giuseppe Bartolucci Marco Bellocchio Carmelo Bene Cathy Berberian Sylvano Bussotti Antonio Calenda e Virginio Gazzolo Ettore Capriolo Liliana Cavani Leo De Berardinis Massimo De Vita e Nuccio Ambrosino Edoardo Fadini Roberto Guicciardini Roberto Lerici Sergio Liberovici Emanuele Luzzati Franco Nonnis Franco Quadri Carlo Quartucci e il Teatrogruppo Luca Ronconi Giuliano Scabia Aldo Trionfo


 
 
 
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