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ISSN 2279-9184

ateatro 102.7
10/31/2006 
Il Piccolo Teatro
da Il crollo delle aspettative, Garzanti, Milano, 2005
di Luca Doninelli
 

Il Piccolo Teatro è stato il grande pilastro della Milano antifascista, della Milano circondata dalle grandi industrie, sue figlie: Breda, Falk, Marelli, Pirelli e via dicendo. Della Milano operaista ma al tempo stesso borghese, e quindi intimamente anticomunista, dove il comunismo poteva liberamente circolare tra le famiglie ricche, affascinare i giovani benpensanti, interessare il pubblico della sera milanese, ma non imporsi come modello – antiborghese – culturale e di governo della città. Milano tollera infiltrazioni, contaminazioni ideologiche, ma sa porre le barriere al punto giusto. C’è nell’ex comunista milanese, ancora oggi, un che di snob e, insieme, di sgusciante, quasi clandestino.
Il Piccolo segnò il punto di confine tra la preminenza della cultura di sinistra e la limitazione – voluta dalla stessa classe borghese che pure ne blandiva i giovani paladini – della sua affermazione politica. Una situazione, questa, nella quale non poteva che crescere la pianta del partito socialista milanese: un partito fortemente riformista, non comunista; un partito che agitava grandi proclami sociali ma offriva, insieme, molte garanzie di stabilità del sistema vigente.
Il Piccolo sopravvisse perciò, tra Brecht e Arlecchino, tra Cechov e il Nost Milan, fino a che durò quella situazione di tensione politico-ideologica chiamata dopoguerra. Finito il dopoguerra, pure il Piccolo perse la sua funzione, nonostante ’indiscussa grandezza del suo padre-padrone fondatore, Giorgio Strehler, e anche se a dirigerlo restarono gli eredi del vecchio progetto.
Ora che le protezioni politiche non sono forti come un tempo, il problema principale del Piccolo è quello di tenere in piedi tre sale teatrali (di cui una completamente sbagliata nelle dimensioni e destinata perciò a spettacoli stanziali) in anni nei quali la sicurezza e i costi di gestione costituiscono la voce più sgradevole del bilancio. Quindi: poche produzioni, molte ospitalità «allegre», un certo anonimato culturale.


 
 
 
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