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ISSN 2279-9184

ateatro 145.60
10/29/2013 
Catarsi e rivoluzione, teatro o terapia?
Il convegno "Catarsi" all’Olimpico di Vicenza (ma c'è anche Rete Critica)
di Vincenza Di Vita
 



La catarsi e il teatro che cambia i corpi, la Poetica di Aristotele e la Repubblica di Platone, testi più che mai attuali, vengono evocati per trattare di argomenti urgenti come il teatro e le neuroscienze, in occasione del Convegno Internazionale sul teatro-che-cura. L’Odeo del Teatro Olimpico, ospitato in un edificio che si erge quale solenne celebrazione di un tempo sempre attuale ma nel contempo passato, accoglie l’incipitario intervento del giovane studioso Gabriele Sofia, che ripercorre questioni dibattute nel corso del Novecento su etologia dello spettatore e filosofia dell’azione. La platea è eterogenea: artisti, operatori culturali, docenti universitari, critici intervenuti per il Premio Rete Critica 2013 – assegnato per questa terza edizione ad Alessandro Sciarroni - , studenti, ma anche curiosi e turisti giunti a Vicenza per ammirare il capolavoro di Palladio-Scamozzi.
L’VIII Edizione del “Laboratorio Olimpico” dal 25 al 27 ottobre è occasione di un’indagine che coinvolge abitudine, natura, senso comune e sinergia dei corpi; ricerche scaturite dagli studi di James e Mejerchol’d per avviare alla teoria dei neuroni specchio e agli schemi di apprendimento, al rapporto tra azioni coscienti e reazioni neuromuscolari. Ciò che è modificabile attraverso l’esperienza costituisce campo di analisi per riconoscimento di atti ed emozioni da parte dello spettatore: vantaggiosi appaiono tali studi per l’attore.
Franco Perrelli ritorna sul concetto di mimesi, chiamato in giudizio nel libro X della già citata opera platonica: una dichiarazione sulla potenza di contagio del piacere mimetico, contemporaneamente cognitivo e sensuale. Ritmo, melodia e danza in Aristotele sono sinonimo di spinta dionisiaca, ma l’imitazione passa anche attraverso i sensi – attraverso l’aisthesis. Pertanto ogni strumento comunicativo del potere politico genera effetti sugli astanti, come o forse ancora più del teatro. Bisogna quindi interessarsi a una “storia delle eccezioni e non delle regole”, sottolinea lo studioso.



Il tavolo di Rete Critica.

In collegamento da Parigi Jean Marie Pradier affronta la questione del teatro, non solo volto a curare ma anche patologico ibrido, in grado di generare una corruzione emozionale. Antonio Attisani, citato da molti dei relatori che lo seguiranno, contribuisce ai lavori con un appassionato intervento: “Il teatro non deve servire, è ricerca. Scopo del teatro è la felicità, non è la salute. Bisogna quindi fare azione, fare storie, fare una rivoluzione”. L’attore Jonathan Hart Makwaia, in collegamento da New York, racconta del processo vocale rivelando come ricerca creativa e terapia vadano sempre di pari passo per l’artista che esegue l’opera. Le affermazioni di Makwaia suscitano l’interesse di Maurizio Lupinelli, regista della Compagnia Nerval. Lupinelli insiste sulla necessità di “occupare”, “dare e non dare risposte”, “accompagnare”, cadere al modo di Hölderlin, “stare in fragilità, trovare un modo di fare emergere la ferita che prende luce, il mancamento” intriso nel lavoro con attori con disabilità o disagi di vario genere. È necessario “creare un ponte tra fragilità per un’opera che non c’è”, conclude Lupinelli, con toccante vigore.
La terapia attraverso la performance teatrale passa anche attraverso un'occupazione non solo formale ma anche fisica, costituita dai luoghi che vengono rivaleggiati come nel caso del Teatro Valle, Fondazione romana; recente oggetto di fervide polemiche. Il collegamento in videoconferenza con due rappresentanti di questa nuova realtà e modalità di fare teatro è introdotta da una comunicazione di Andrea Porcheddu, che analizza le molteplici occasioni prendendo spunto dalle communitas di Roberto Esposito, mediante un esercizio critico e intellettuale di natura filosofica e umana.
La ricerca di una verità sembra essere la spinta decisiva per coloro che sono chiamati a intervenire in questo convegno su teatro e terapia. Ma nessuno di loro rivendica l'obiettivo di fare teatro terapia: vuole svolgere un’azione di ricerca e niente di più, è un teatro che può essere anche terapia ma vuole essere prima di tutto teatro. Paolo De Vita racconta quanto sia necessario “scomparire in scena” per i malati di Parkinson, o “creare una struttura narrativa che renda personaggio”, simulare per risvegliare le capacità motorie e “dimenticare la terapia clinica”. Marco De Marinis, in linea con il pensiero degli altri relatori, richiama il “training du souffle” in Antonin Artaud; “quella parte di noi che vive in esilio” reclamata da Eugenio Barba; dà infine ampio spazio all'esperienza del “teatro stabile” di Armando Punzo nel carcere di Volterra.



Roberto Rinaldi, partendo dalla propria esperienza professionale di psicologo e di critico teatrale, richiama l’esigenza di “un teatro che esca dal teatro e entri nel mondo”; “un teatro della normalità” finalmente, che operi mediante la trasformazione e la liberazione delle energie negative. Philippe Goudard, artista, creatore, produttore, medico e studioso delle arti del circo, affascina la platea con un intervento sul disequilibrio di stabili sistemi dinamici, ben esemplificato da video che ritraggono lui stesso e altri artisti in azione al centro del tendone circolare e “sacro”, che pone gli acrobati al centro di un metaforico altare sacrificale per scongiurare la morte.
Mario Biagini e il Workcenter di Grotowski e Richards con l’epifanico e surreale Not History’s Bones, evento-concerto ispirato ad Allen Ginsberg, occupa il maestoso palco del Teatro Olimpico: coloratissimi performer, pastorelli folk, che paiono riemersi dagli anni Settanta, evocano ballate, trascinando in un’attesa febbrile quasi natalizia, chi accorre per condividere le “eternità quotidiane” del teatro.



La squadra di Rete Critica.


 

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