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ISSN 2279-9184

ateatro 144.33
6/14/2013 
Lo spettacolo della città: Mirabilia International Circus & Performing Arts Festival
Una intervista a Fabrizio Gavosto
di Redazione ateatro
 



Da dove è nata l'idea di un festival di teatro di strada? Come è cambiata la formula in questi anni?

Mirabilia non è più solo teatro di strada, ma ne mantiene lo spirito perché legata a un'idea ben precisa dell'uso degli spazi urbani. Abbiamo infatti nell'edizione 2013 ben sette teatri, tre cortili allestiti a teatro con ring, palchi, scenografie, un tendone da circo e un teatro/tenda con black box e gradinate frontali. Ma il festival mantiene la sua dimensione "urbana" in quanto nasce dalle riflessioni che hanno portato Michel Crespin e l'allora Ministro della Cultura francese Jack Lang a rinnovare il teatro e la danza in Francia e a creare il grande esperimento socioeconomico/culturale che si chiama Aurillac.
Il concetto europeo di "teatro di strada" si è evoluto proprio allora, portando a considerare la città come un' agorà teatrale, e la rappresentazione al suo interno come un "teatro totale". Un teatro insomma che contiene tutte le discipline e tutti i linguaggi, spesso utilizzate nelle loro forme più estreme, e che tramite i suoi valori di innovazione, contaminazione e incontro, porti l'arte teatrale (in cui si include la danza, il circo, la videoart) ad evolversi lungo sentieri nuovi tramite l'interazione con lo spazio pubblico e con la gente.
Anche Avignone, Edimburgo e i grandi eventi europei hanno seguito questa strada, e vediamo proprio nell'IN di questi festival un'evoluzione impressionante verso l'utilizzo di nuovi spazi e la contaminazione tra i linguaggi per creazioni spesso site-specific, ossia legate indissolubilmente allo spazio, che ogni anno portano avanti il settore ed esplorano nuove frontiere.



Claudio Stelluto.

Ma questi cambiamento riflette anche l'evoluzione del genere? In Quale modo?

L'Italia soffre purtroppo di un'enorme gap rispetto all'Europa in questo settore, che stiamo cercando di colmare. Le grandi compagnie di teatro di strada o non frequentano l'Italia, o, come la Fura dels Baus, vengono spesso decontestualizzate. Ma le nuove direttive della Comunità Europea e le nuove tendenze teatrali europee vanno in questa direzione: la conquista di nuovi pubblici, l'interazione con lo spazio pubblico, la contaminazione dei linguaggi, la creazione site-specific. Mentre Marsiglia, cosi come tutte le future Città della Cultura (siamo in partenariato con due di esse), pensano a utilizzi degli spazi assolutamente non convenzionali (la gigantesca Transumanza creata dal Théâtre de l'Equinoxe per Marsiglia che ha creato disegni territoriali, veri e propri "glifi" visibili dai satelliti, eccetera), in Italia restiamo ancora legati a un immaginario arcaico e assolutamente anacronistico del teatro di strada.
Purtroppo, il teatro totale degli spazi pubblici ha costi elevatissimi, che in Italia difficilmente vengono capiti, e spesso si scontra con vincoli e i veti delle Belle Arti, che non hanno chiaro il potenziale di valorizzazione, che invece è stato ampliamene sviluppato in altri paesi (in Inghilterra si sta sperimentando la danza sulle cattedrali!) e le altissime capacità professionali specifiche di chi opera all'estero in questo ambito. L'assurdo poi è che uno spettacolo o una produzione non vengono riconosciute in quanto tali se non producono il famoso borderò, legato allo sbigliettamento, e questo taglia definitivamente le gambe a qualunque realtà. I giovani artisti italiani che operano in questo settore emigrano in massa verso Marsiglia, Tolosa, Parigi, Bruxelles, Barcellona, Lisbona, mentre gli operatori italiani sono costretti a chiamare compagnie straniere, con un'enorme perdita di idee e progettualità nazionali e un'ingente esborso di valuta che finisce all'estero. In Francia il teatro di strada e il circo contemporaneo rappresentano oltre al 33% della programmazione teatrale, oltre che il maggior bene culturale d'esportazione (statistiche ONDA), con un significativo impatto economico e fiscale per le casse francesi.
Noi nel frattempo investiamo per formare e crescere artisti e poi quando cominciano a maturare li regaliamo all'estero, per mancanza di specifiche politiche ministeriali e nazionali. Inaccettabile. Dobbiamo cambiare noi dal basso questa situazione e forzare le istituzioni a comprendere lo spreco di risorse umane ed economiche e le mancate ricadute in atto, avviando un'evoluzione del genere che è già in atto da alcuni anni, ma che trova difficoltà a svilupparsi.



Envol Distratto.

A che tipo di pubblico vi rivolgete? E quale è il ruolo dello spettatore? È cambiato in questi anni?

Il progetto del festival, su base decennale, mira non tanto a rivolgersi a un pubblico specifico, ma a crearlo, portando con sé in questo viaggio centinaia di migliaia di persone. Per questo il festival è nato come un piccolo evento provinciale di teatro di strada all'italiana, per poi trascinare un pubblico ignaro in un'avventura legata all'evoluzione di linguaggi più contemporanei.
I risultati sono impressionanti. Le prove aperte e le residenze del festival sono frequentate da utenti che in altre aree presentano un isolamento culturale dovuto alla lontananza dalle grandi città. Gli agricoltori o gli allevatori, che per i loro gravosi lavori sono poco propensi a frequentare i teatri di Torino, Milano o Roma, hanno sviluppato in pochi anni una coscienza critica e culturale elevatissima, confrontandosi progressivamente con artisti europei sempre più innovativi e contemporanei. Il teatro, e l'amore per il teatro, sono solo legati alla fruibilità e conoscenza: In Italia purtroppo negli ultimi trent'anni il teatro si è sempre più allontanato dalle grandi aree rurali, escludendole dai propri percorsi. Nella “Provincia Granda” una parte dei lavori dei campi si ferma per tre-quattro giorni, e porta al festival un pubblico ormai estremamente affezionato e preparato, che si gusta compagnie e artisti che poi saranno visti nella programmazione ufficiale di Avignone, di Tarrega, del Grec, delle scene nazionali francesi o inglesi, e che spesso non saranno mai visti in altri luoghi in Italia, Francia, Spagna, Svezia: questi paesi hanno compreso anni fa il potenziale di coesione sociale e di diffusione culturale del teatro, realizzando festival e grandi scene in aree fortemente decentrate. La nostra vuole essere una rivoluzione silenziosa del modo di proporre il teatro in Italia, per riportare il grande teatro europeo nelle aree rurali e per riconnettere l'Italia all'Europa.



Nuua.

Quali sono le proposte di punta di questa edizione?

Sicuramente alcuni spettacoli di strada, come quelli degli spagnoli Hortzmuga Teatroa, che propongono un grande evento nello stile della Fura dels Baus: in mezzo a grandi macchine sceniche, schermi e stazioni televisive, esplorano la pericolosa capacità dei media di alterare la realtà in tempo reale piegandola al volere di politiche estremiste. La danza urbana è moto presente: da non perdere Dis le moi delle francesi Mastoc Productions, definito proprio ieri da Mirco Repetto, il direttore artistico della Venaria Reale, come uno dei più bei lavori urbani creati in Europa. Spettacoli di circo/danza urbani del livello del Collective de la Bascule sono estremamente rari, e il Rien c'est moin sure che presentano è una vera bomba urbana, un lavoro non-lineare sul rapporto tra i personaggi condito da lanci e acrobazie con la banchina ungherese. I Finlandesi Nuua, coprodotti da strutture svedesi e francesi, hanno scelto Mirabilia per presentare alle centinaia di direttori teatrali che qui accorrono da tutto il mondo il loro Leento, un raffinato viaggio concettuale tra la freddezza delle coreografie nordiche e le influenze drammaturgiche francesi basato su danza, circo e nouvelle magie teatrali. I Room100 raccontano la schizofrenia con il loro C8H11NO2 (la formula della dopamina, la cui mancanza è alla base della malattia) in un folle percorso visuale a cavallo tra danza contemporanea, butoh, breakdance e contorsione. Dal Canada i Tete d'Enfant (i creatori di PSY dei Les 7 Doigts de la Main) sono usciti con la prima assoluta a Bruxelles da pochi giorni: prima di proseguire per la sezione ufficiale del Midi Pyrenées a Avignone e per il Tuhu a Montreal, portano a Mirabilia Me, Myself and Us, un lavoro che entra in profondità nella nuova solitudine giovanile, portandoci in un universo oscuro e strano, dominato dalla danza e dal circo più contemporaneo. Il percorso di Circus Next, piattaforma europea di sostegno ai nuovi autori (formata da 9 co-organizzatori e 31 partner su 16 nazioni) che tanti gioielli ha donato al teatro e alla danza negli ultimi anni (molti programmati come spettacoli di punta all'Auditorium di Roma, a Teatro a Corte, a Torino Danza), ci porta a esplorare le nuove produzioni con Iona Kewney (ballerina pupilla di Alain Platel), i Sisters (vincitori del Cirque de Demain) e tanto altro. Ondadurto Teatro di Roma presenta in anteprima la nuova produzione, coprodotta tra Mirabilia, FiraTarrega e Ute Klassen, che esplora le favole in un grande spettacolo urbano, capovolgendone i significati e esplorandone i lati oscuri.
E ci sono altre cinquanta compagnie che presentano i loro lavori in prima nazionale o assoluta, in tre città in contemporanea: in realtà sono tre festival con tre tematiche che vanno a creare un unico enorme evento del territorio, un "festival diffuso" sulle bellissime Terre dei Savoia.



Ondadurto Teatro.

Che rapporto hanno i creatori e gli attori del teatro di strada? Che rapporto hanno con il teatro al chiuso?

Il teatro nasce all'aperto. Insieme alla magia e alla musica, appartiene alla ritualità primordiale dell'uomo. Si è sviluppato poi nella Grecia antica e fino a poche centinaia di anni fa in spazi spesso aperti, adatti o no allo scopo, nelle città. Lo stesso Shakespeare creò i suoi capolavori nei teatri elisabettiani, che con la loro “O di legno” e il pubblico disposto spesso a 360 gradi, è quanto di più vicino vi sia alla piazza. Non credo che Simon McBurney o Romeo Castellucci si siano posti questa domanda durante l'ultima edizione di Avignone, né che se la pongano i maggiori coreografi o drammaturghi internazionali. Il teatro è conseguente allo spazio e la creazione e la progettualità si basano su questo, e i nuovi spazi non sono altro che sfide sempre più interessanti che portano a nuove creazioni.
Questo però non vuol dire che un attore di teatro si possa adattare alla creazione nello spazio urbano o aperto, o che un attore di strada possa fare il contrario con facilità. Ogni percorso richiede una formazione spesso lunga e complessa, una professionalità e una coscienza e una consapevolezza dei propri limiti.
Il teatro è unico, e non ha distinzioni. Ma sta a chi crea per specifici spazi, siano essi chiusi o aperti, la scelta dei mezzi con cui farlo. Anche qui torna il nostro gap europeo. Mentre in Spagna e Francia vi sono moltissime compagnie capaci di creare per qualunque spazio, da noi troviamo una forte distinzione, e pochissimi conoscono entrambe le realtà mentre quasi nessuno è stato capace di avere successo in entrambe le situazioni, a parte forse il Teatro Nucleo di Ferrara. Lo spazio urbano richiede un approccio diverso, sia dal punto di vista dei linguaggi, prediligendo quelli fisici (danza, teatro gestuale, circo contemporaneo, videoart, installazioni) sia dal punto di vista drammaturgico.

Come artisti di strada, in genere, avete difficoltà con autorità locali eccetera? La burocrazia?...

In Italia tutti, dal piccolo busker che fa cappello per strada alla grande compagnia di teatro urbano, incontrano enormi difficoltà. Nel resto d'Europa le normative sull'uso degli spazi e sugli allestimenti sono molto più elastiche, ma a chi opera negli spazi alternativi vengono richieste un'alta professionalità, conoscenze e formazione specifica. Invece in Italia non vi è nemmeno l'idea di formazioni specifiche e si punta invece su normative che spesso impediscono l'allestimento di spettacoli che girano normalmente all'estero. Ci si trova in una curiosa situazione: un eccesso di norme e la mancanza di riconoscimento di personale qualificato. Se consideriamo la fascia iniziale del teatro di strada, quella che gira nelle piazze in modo semiautonomo con piccoli spettacoli, la burocrazia è quasi inesistente o minima e comunque affrontabile. Ma quando ci apprestiamo a programmare spettacoli di altra portata, allora ci si va a confrontare con normative e sopratutto con autorità che non hanno la minima idea di ciò di cui si sta parlando: così tutto diventa mostruosamente lungo e difficile per la mancanza di normative specifiche e l'abbondanza di norme generiche o relative ad altri settori che di volta in volta possono essere considerate pertinenti. Nel comune di Mondovì per esempio vige l'abitudine di accomunare il teatro di strada alla giostre. Discutere con il funzionario locale sulla necessità o meno del corretto montaggio e delle certificazioni statiche di una seggiola pieghevole e di un tavolino per un modestissimo un truccabimbi, o della licenza di spettacolo viaggiante con palchi e strutture necessaria a un povero mimo di strada rasenta la follia e ci immerge in un ambiente da commedia dell'arte. Figuriamoci se si presentasse l'ipotesi di avvolgere una torre cittadina in una gabbia metallica e appendervi danzatori ed acrobati, condendo il tutto con un'orchestra sinfonica su piattaforme aeree!
Ma la stessa mancanza di una crescita del teatro di strada dovuta all'assenza di specifiche politiche porta inevitabilmente alla mancanza di norme nazionali che prevedano queste attività. E' un gatto che si morde la coda, un circolo vizioso da spezzare. Per ora ne fanno le spese gli artisti, le compagnie, i direttori tecnici, i direttori di produzione e logistici dei festival. Ma sopratutto ne fa le spese il pubblico, che viene deprivato di una delle forme teatrali più esplosive e innovative degli ultimi decenni: così è spesso costretto a recarsi all'estero per fruirne, riversando ancora una volta valuta e risorse all'estero, anziché in una nazione già fortemente in crisi, e limitando lo sviluppo del turismo culturale.

 

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