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ISSN 2279-9184

ateatro 144.17
9/5/2013 
Teatro e filosofia Quando il teatro incontra la filosofia
Una intervista (e una videointervista) a Roberta De Monticelli
di Margherita Sanna
 

Si abbassano le luci sul Festival di Filosofia, la scenografia del Peer Gynt, progettata dagli Studenti della Facoltà di Ingegneria e Architettura dell'Università di Cagliari, viene smantellata. Il teatro, affollatissimo per quattro interne giornate, è semivuoto: solo polvere e un silenzio stanco ma quieto. Anche la seconda edizione del festival è stata un successo: lezioni affollate, generazioni diverse a confronto su questioni essenziali, un bisogno di senso che – come dice Roberta De Monticelli – “è un bisogno in funzione del quale ci sono gli altri. L’uomo mangia per vivere, non vive per mangiare”.



Foto di Daniela Zedda.

E il festival?

E' il teatro l’elemento propulsore.

Durante la sua lezione, lei ha detto: “Il teatro racconta quello che la fantasia spiega”. È forse questa una delle idee cardine da cui nasce questo Festival di Filosofia?

Sì, ho sempre pensato che la ragione per la quale la maggior parte delle persone trovano la filosofia astrusa o troppo semplice o troppo complicata, comunque astratta, non rispondente ai problemi reali, è perché le questioni filosofiche spesso hanno un senso implicito. È quello della vita e del mondo che conosciamo attraverso la nostra esperienza, ma anche attraverso la fantasia, cioè i mondi possibili creati dall’arte, e in particolare il teatro. Questa congiunzione di filosofia e teatro permette, rispettando le specificità, senza confondere l’una e l’altra cosa, di rendere più chiare le questioni filosofiche. Perché la parte implicita del loro senso il teatro la rende visibile, la rende immagine, intuitiva, concreta. Questo è quello che abbiamo sperimentato: i dibattiti filosofici del festival, nutriti dalle immagini dello spettacolo, davano maggior senso alle questioni in campo, centrate sull’avventura del sé. Così anche le questioni filosofiche diventano più chiare.

Durante la lezione dei professori Ferraris e Varzi, qualcuno dal pubblico ha citato una frase di Brecht: “Prima viene lo stomaco, poi viene la morale”.

E' indubbiamente una parte della verità. E' difficile che un uomo possa sentire come acuto un bisogno etico se sta morendo di fame: in quel caso il suo bisogno di essere nutrito impone già il fondamentale dovere etico di chi lo circonda. Però siamo forse troppo abituati a distinguere la pancia dalla morale: in realtà i bisogni sono bisogni del corpo, ma anche bisogni di senso di tutta la persona. La giustizia è soddisfare i bisogni veri, non soltanto quelli del corpo, che sono vitto, alloggio, eccetera, ma anche i bisogni di senso che sono effettivamente la cultura in primo luogo, perché è quella che dà senso a tutto il resto, ma anche la possibilità di fare scelte consapevoli, di decidere della propria vita, gli strumenti che ci vogliono per questo, quindi l’istruzione, l’informazione, il dibattito, l’accesso alla bellezza, alla scienza, alla conoscenza: sono bisogni come gli altri. E direi che sono bisogni in funzione dei quali ci sono gli altri, perché l’uomo mangia per vivere non vive per mangiare.

Lo scetticismo è un problema o è una risorsa? Oggi siamo più scettici di ieri?

In Italia lo scetticismo diventa immediatamente cinismo. Oggi un’occasione dovrebbe farci riflettere: è morto il senatore Andreotti, l’uomo che ha fatto dello scetticismo un’arte di potere che naturalmente è sconfinata nel cinismo. Andreotti, di fronte al sacrificio di Ambrosoli, che per essere un buon servitore dello Stato venne ucciso dalla mafia, commentò: “Questo se l’è andata a cercare”. Lo scetticismo potrebbe essere una risorsa solo dove è critica, cioè “attenzione ai dogmi”: dobbiamo sempre mettere in dubbio e criticare, cercare quello che ancora non sappiamo, criticare le false certezze. Questa è l’anima buona dello scetticismo. Ma quando lo scetticismo, soprattutto in materia di giudizi di valore, diventa l’atteggiamento per cui non c’è verità in questo campo e non c’è quindi possibilità di migliorare la nostra condizione, anche sulla base di altri valori, diventa scetticismo pratico. Scetticismo morale. Scetticismo etico. Ecco che allora sconfina nel cinismo. Quindi non è una risorsa, ma un grosso problema degli italiani.

In quasi tutti gli incontri del festival ci sono stati giovani che intervenivano. Perché c’è questa partecipazione giovanile a problemi filosofici anche complessi?

E' stato un motivo di grande gioia e una relativa sorpresa: siamo abituati a vedere i festival frequentati soprattutto dalla seconda se non terza o quarta età, mentre a Cagliari ho visto una grande partecipazione giovanile. Non è stata una partecipazione passiva, i ragazzi hanno creato buona parte di questo gran macchinario, molti di loro hanno collaborato allo spettacolo, ma anche alla discussione delle tematiche che ha avuto luogo sin dall’inizio, fin da ottobre. Sono stati coinvolti pezzi di università, gli studenti di Architettura hanno suggerito e fatto dei disegni per le scenografie, i ragazzi del Conservatorio hanno eseguito le musiche dal vivo, gli studenti di filosofia hanno seguito seminari sui temi del Peer Gynt e alcuni di loro sono addirittura saliti sul palcoscenico. Quindi lo spettacolo è stato un lavoro corale che si è costruito sulla scena. I quattro giorni del festival sono stati soltanto una parte dell’iceberg. Credo che gli altri ragazzi lo abbiano sentito e per questo sono accorsi in maniera molto interessata e curiosa, e anche critica. Questo è molto bello: critica e partecipazione.

Rispetto all’anno scorso, questa seconda edizione del festival com’è andata?

Dal punto di vista dei numeri credo che abbiamo avuto un grandissimo successo sia l’anno scorso sia quest’anno. Non ho ancora le statistiche, ma abbiamo avuto quattro giorni di teatro esaurito ai botteghini e di fatto quasi pieno. Anche nella giornata meno frequentata, il lunedì quando la gente lavora, il teatro si è riempito allo stesso modo. Dal punto di vista dell'atmosfera immediatamente percepibile in sala, la vivacità del dibattito, l'approvazione del pubblico, il presente è sempre più vivo del ricordo: però mi sembra un'edizione un po' più viva, forse anche perché quest’anno abbiamo aperto a più discipline: la scienza con Vittorio Gallese e Filippo Maria Ferro, con problemi che vanno dalla neurobiologia del comportamento umano fino alla psicoanalisi e alla psichiatria; l’antropologia culturale e l’etnomusicologia con Caocci e Macchiarella, la letteratura con Maria Giovanna Piano. E poi abbiamo avuto una sfilata di filosofi noti di livello nazionale o internazionale, da Achille Varzi che viene dalla Columbia University a Maurizio Ferraris che ormai gira l’Europa come Bodei.

Lo riproporrete l’anno prossimo? Con quale tema?

È vero che, appena finito il festival si comincia subito a discuterne. E sono numerose le idee e gli spunti, anche quelli suggeriti da quello che abbiamo imparato sulle tradizioni locali attraverso il professor Delogu come attraverso i professori Caocci e Macchiarella. Quindi potremo forse incrementare la valorizzazione delle risorse locali. Per altro verso, tutto dipende dalle scelte dell’elemento propulsore, che per questo festival è certamente il teatro. E' il teatro a porre il tema attraverso la scelta del testo da mettere in scena, su cui poi si organizza tutta l’architettura filosofica. L’iniziativa spetta al teatro, dopo di che noi filosofi vedremo come organizzare una nuova festa.

Quindi appuntamento all'anno prossimo?

Sì, se le forze ci bastano, e se le istituzioni continuano ad appoggiarci.

Potreste aprirvi al cinema come il Festival della Filosofia di Modena?

Finora abbiamo aperto a diverse arti, dall’architettura alla musica, e alla base artigianale del teatro, perché il teatro sono anche le luci, i meravigliosi tecnici che con il materiale preso dalle discariche hanno creato le scenografie... Quindi l'apertura al cinema non è esclusa, dipende semplicemente da chi e come vorrà impegnarsi e portare un contributo. Tutti noi ci abbiamo messo le nostre energie, le nostre risorse, la nostra fantasia al servizio di questa impresa comune. Se altri vorranno aggiungersi, saranno i benvenuti.



La videointervista a Roberta De Monticelli.


 

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