[ateatro]
[Associazione Culturale Ateatro]
[ate@tropedia]
[l'archivio]
[cerca nel sito]
[contatti]
 
 
Gli speciali di www.ateatro.it
[Le Buone Pratiche 2012]
[Un teatrino dell'Io]

ISSN 2279-9184

ateatro 86.66
Factory a luci rosse
Tutto quello che avreste voluto sapere sulla Factory di Andy Warhol di Mary Woronov (Meridianozero)
di Anna Maria Monteverdi
 

Coraggiosa e in fuga, Meridianozero di Padova non ha fatto solo incetta di straordinari autori noir consegnandoli al mercato italiano con una grafica elegante e d’impatto; ha anche pubblicato due volumi immancabili per chi ama l’atmosfera underground degli anni Sessanta a New York, Warhol e i Velvet di Lou Reed. Uno è l’edizione italiana di quel capolavoro che è Popism, Warhol's 60s, l’autobiografia di Warhol scritta con Pete Hackett. Il libro parla dell'attività cinematografica della factory e della quotidianità con artisti come Bob Dylan, Rudolf Nurejev, Norman Mailer, Jimi Hendrix, Tim Buckley, La Monte Young, Bob Rauschenberg, Jim Dine e termina con il ricordo della morte per overdose dell'attrice Edie Segdwick e con il sintetico messaggio in un “post” con cui il fotografo Bill Name annuncia l'abbandono della Factory. Molte cose cominciano a cambiare già dal 1969. Hollywood si interessa ai lavori di Warhol; la Columbia picture gli chiede di girare film in 35 millimetri. La Factory viene disertata. Paul Morrisey inizia le riprese di Trash e Urban Cowboy con un cast che viene così descritto nelle ultime righe del libro:

“Il cast era un nuovo, più giovane gruppo di ragazzi postpop, come Jane Forth, sedici anni. Tutta la moralità e le retsrizioni contro le quali le prime superstar della Factory avevano combattuto erano così lontane e irreali come può sembrare oggi l'epoca vittoriana. Il pop non era un argomento per questa nuova ondata: era tutto quello che non avrebbero mai conosciuto”.

L’altro libro edito da Meridianozero è Swimming Underground (My years in the Warhol Factory), tradotto Tutto quello che avreste voluto sapere sulla Factory di Andy Warhol e non avreste mai osato chiedere, di Mary Woronov, attrice, scrittrice e giornalista.



Il libro racconta “l’altra faccia della Factory” descritta proprio dall’attrice di alcuni storici film di Warhol (Chelsea Girl, Four Stars) nonché protagonista di Exploding Plastic Inevitable e tra le presenze (minori) femminili della Factory dove spiccavano Viva, Ultraviolet, Ingrid Superstar, International Velvet. Una carrellata che mette in chiara luce gli aspetti violenti, sadici e impudici della vita della Factory intorno al 1966, prima dell’attentato a Warhol da parte di Valerie Solanas ma che ne accentuano se possibile, il mito. Il libro racconta l’iniziazione di Mary, icona androgina, alla Factory: alta, magrissima, pantaloni di pelle nera aderenti e che si esibiva in coppia con Gerard Malanga in numeri sadomaso tra luci stroboscopiche mentre i Velvet Underground suonavano Venus in Furs o Heroin. Tra lesbiche, travestiti, trasgressioni sessuali di ogni tipo, anfetaminie, speed e acidi che portarono anche alla morte alcuni loro amici, spiccano primi piani di Ondine (il Papa in Chelsea Girl) che si infila un ago pieno di eroina in un occhio, la Duchessa che registra le sue telefonate con Warhol, Bill Name, il fotografo che si fa murare vivo dentro una stanza della Factory, Lou Reed che racconta dei guaritori filippini, Nico perennemente in posa. Tutto intorno gli avventori della Factory descritti come “ragazzotti apatici che ciondolavano aspettando qualsiasi cosa” seduti su divani argentei macchiati costantemente di sperma, consumando droghe o sesso in occasione dei vari party. Personaggi ritratti nel libro come una corte dei miracoli, “parassiti o tappezzeria” - come afferma causticamente la Woronov - che si muovevano in branco in taxi dal Dom nell’East Village al Max’s Kansas City. La Factory era il luogo dove Warhol con gli screen test faceva guardare per un quarto d’ora nella cinepresa regalando il sogno dell’immortalità a sconosciuti. Ma dentro la Factory fecero fugaci apparizioni anche Salvator Dalì, Tennessee Williams e Allen Ginsberg. Più che un racconto della Factory, il libro è un andare e venire della memoria di Mary, prima bambina maschiaccio al mare che vuole emulare i cugini nuotando al largo, poi ragazzina violenta che al college picchiava le compagne; dopo ancora, sverginata da un cameriere, in viaggio alla conquista della swimming New York, convinta da Gerard Malanga suo pigmalione, contro il volere della borghesissima famiglia; insegue poi il suo impossibile sogno d’amore con Ondine, in seguito scritturati entrambi per film underground e per piéces di teatro sperimentale (per la regia di John Vaccaro); caustica nel raccontare le abitudini sessuali, l’abuso di droghe e le trasgressioni di uomini e donne della Factory (a cominciare da lei stessa) che speravano di entrare nelle grazie di “Drella” e ottenere una scrittura da Hollywood, Mary ne ha per tutti, primo fra tutti proprio Lui:

“Andy diceva le cose più insulse; la gente ci impazziva sopra, si sentiva in dovere di leggerci i significati più reconditi, ma per noi era un’altra storia. Andy non solo era dislessico ma le parole lo mettevano a disagio (…) Quella notte Andy era impegnato a disegnare nasi, prima e dopo la chirurgia plastica. Quando mi chiese se mi piacevano, non risposi. A che pro? Tanto sapevo che quello stupido disegno sarebbe stato serigrafato da qualche parte e venduto a carissimo prezzo mentre a me veniva da staccarmelo il naso, quando pensavo ai miei rabbiosi disegni in bianco e nero”.

Ma le donne della Factory sono tra le sue mire preferite:

“Mentre Velvet finiva la sua bottiglia di vodka, un po’ troppo avidamente per una ragazza di buona famiglia, io scrutavo le altre due attrici. Ingrid Superstar si impasticcava, anche se non ne aveva bisogno, era già fuori di suo; Pepper invece era una nuova. Nessuno sapeva di che cosa si facesse, o chi l’avesse portata lì. Non sembrava messa troppo bene, una sorta di cavolo che sta andando a male, sicuramente una mina vagante”.




Ma soprattutto Mary racconta con orgoglio il momento in cui il popolo notturno dagli occhiali scuri, le “talpe”, l’aveva ammessa nel sacro recinto. Da cui uscì solo per entrare in una clinica per disintossicarsi; ebbe il tempo di vedere un triste Ondine mentre presentava in un college Chelsea Girl raccontando alla nuova generazione la vita della Factory. Due anni esatti prima della sua morte. Completano il libro alcune straordinarie fotografie di Bill Name.

 
 
Copyright © 2001-2015, www.ateatro.it - Proprietà letteraria riservata.

 

 
blog comments powered by Disqus