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ISSN 2279-9184

ateatro 135.55
La rivoluzione dello spettacolo lo spettacolo della rivoluzione
Continua l'occupazione a Roma del Teatro Valle: la mobilitazione si allarga
di Oliviero Ponte di Pino
 



Da più di una settimana il Teatro Valle è occupato, a oltranza, in una sorta di assemblea-spettacolo permanente, allegramente partecipata, con frenetica produzione di documenti, idee, progetti, programmi per la serata. Perché ogni sera c'è spettacolo, con un variegato rullo di partecipazioni, comprese molte star del cinema e della musica.
La mobilitazione sta progressivamente allargando gli obiettivi e il raggio d'azione, con scambi di solidarietà con altre realtà in tutta Italia, e sconfinamenti dal teatro alle altre arti e in generale all'ambito della cultura.
Per capire il successo e l'energia di questa lotta, val forse la pena di ripercorrere brevemente gli eventi degli ultimi mesi. 
Nell'estate del 2010 il governo (con Sandro Bondi ministro dello Spettacolo) decide di chiudere l'ETI, senza alcuna discussione preventiva e senza alcuna prospettiva per il futuro. Il Ministero, guidato di fatto da Salvo Nastasi, centralizza (superando i controlli di un consiglio di amministrazione) le funzioni dell'ETI, abbandonando al loro destino i teatri che gestiva, tra cui il glorioso Valle, dove negli ultimi anni aveva trovato spazio una significativa fetta fetta di "nuovo teatro". Il destino del Valle, così come quello della Pergola a Firenze e del Duse a Bologna, diventa un mistero.
Le proteste che si levano contro questa decisione sono timide, anche perché da sempre la gestione dell'ETI è stata scadente e poco trasparente: la mobilitazione non ha grande effetto, e tuttavia lascia un primo segno.
La cancellazione dell'ETI si inserisce nel quadro dei tagli imposti dal ministro Tremonti, nell'ambito della legge di stabilità. Particolarmente penalizzati lo spettacolo (con i tagli al FUS), la cultura, la ricerca. Il ministro Bondi non riesce a difendere il portaoglio del suo  ministero, e all'inizio del 2011, dopo dure contestazioni, decide di dimettersi. Contro i tagli alla cultura parte infatti un'ampia mobilitazione, che - forse per la prima volta con questa evidenza - raccoglie l'intero fronte della cultura, che si presenta come settore strategico nello sviluppo del paese. Nel quadro di questa mobilitazione, si rafforzano forme alternative di organizzazione, al di fuori dei tradizionali organi di rappresentanza (Agis e sindacati). Particolarmente attivi sono i giovani, penalizzati da una condizione di "precariato sempre più precario", bloccati dalla mancanza di prospettive di un paese che non riesce più a immaginare e progettare il proprio futuro (vedi l'attività di zeropuntotre). 
Alla fine i tagli rientrano (almeno in parte) e si insedia il nuovo ministro Galan. Il collasso finanziario del settore e stato evitato (o rinviato, anche se molti teatri e festival rischiano ugualmente la chiusura, visti anche i taglia agli enti locali). Il contentino pare quietare all'improvviso gli animi. A giugno, le elezioni e il referendum sono il chiaro indizio che il vento può cambiare, e che (a volte) le lotte pagano.
Nelle stesse settimane del voto, sale all'ordine del giorno la decisione sul destino del Teatro Valle, che il Ministero dovrebbe cedere al Comune di Roma. Ma per farne che? E con quali risorse?
Forse l'obiettivo è darlo in gestione al Teatro di Roma, che già controlla diverse sale nella capitale; allora, si ipotizza, verrà sacrificato il Teatro India, sul quale peraltro in questi anni si è investito molto in ristrutturazioni (però oggi quell'area sta diventando interessante dal punto di vista immobiliare: a qualcuno forse è venuta la voglia di dare all'India una destinazione d'uso più redditizia...). I pessimisti pensano che qualcuno vuole affidare il centralissimo Teatro Valle ai privati, che ne potranno fare un uso più "commerciale". 
Sono solo ipotesi, o pettegolezzi perché come spesso accade la trasparenza dei meccanismi burocratici è quasi nulla. Tuttavia il Valle è un luogo simbolico, e l'affronto è troppo grave. E nel paese il clima è cambiato. La prima esigenza è proprio la trasparenza: che sta succedendo? Perché i cittadini non vengono informati? Di chi è davvero la proprietà dell'immobile? Che cosa ne vuole fare il Comune? Chi decide? Con quali meccanismi e controlli?



E' a questo punto che scatta l'occupazione: obiettivo iniziale, capire che succede, e naturalmente salvare il Valle dagli abusi e assicurargli un futuro rispettoso della sua vocazione, facendo pressione su Comune, Ministero, Teatro di Roma...
Non si tratta solo di salvare uno dei più antichi teatri italiani da una eventuale speculazione immobiliar-commerciale. L'impressione che hanno molti italiani è che la "cosa pubblica" finisca troppo spesso nelle grinfie di comitati d'affari che poi ne fanno un uso privato (e spesso ispirato a una totale e offensiva ignoranza), magari con la scusa che il mercato è "più efficiente" mentre il "pubblico" sarebbe clientelare e lottizzato (anche se poi  in realtà queste "cricche" sono in genere un mix di pseudo-politici corrotti e pseudo-imprenditori arraffoni, con qualche aggancio finanziario-bancario). L'accento sulla cultura come "bene comune", dopo il successo dei refererendum sull'acqua, è il frutto di questo atteggiamento. Tornando al Valle, si tratta anche di capire che cosa farne, e come scegliere chi lo deve gestire o dirigere. Riemerge il dibattito sulla (buona?) pratica dei bandi e sul senso delle direzioni artistiche, e in generale sul corretto rapporto tra cultura e politica. Insomma, il procedimento con cui scegliere cosa fare del Valle può diventare un modello da applicare altrove.
Fin dall'inizio si avvicinano al movimento del Valle  - che in origine riguarda soprattutto il popolo del teatro - i popoli della musica, del cinema, della letteratura, dell'università... La protesta tende ad   allargarsi, con la proposta di occupare un teatro in ogni città (nella "Milano liberata" il Lirico sembra aspettare solo una iniziativa del genere).
L'occupazione ha obiettivi concreti, imnediati: la difesa di uno spazio pubblico e della sua tradizione. Sta cercando insieme di costruire una piattaforma di rivendicazioni (ma anche di proposte) che vanno molto al di là del "caso particolare" e hanno prospettive più ampie. 
Ma è anche un gesto di forte valore simbolico: se n'è accorto anche il "Corriere della Sera", che gli ha dedicato un pezzo in prima pagina. Perché quello che sta accadendo, giorno dopo giorno, al Teatro Valle, non riguarda solo i ragazzi che l'hanno trasformato in un grande incubatoio di idee, ma interessa tutti noi. E dunque è importante che le proposte che emergono ed emergeranno da questo "laboratorio politico" vengano discusse, approfondite e rilanciate anche altrove. 

 
 
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