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ISSN 2279-9184

ateatro 132.96
Il fotoromanzo del Risorgimento del teatro (primo atto)
La settima edizione delle Buone Pratiche a cura di Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino
di Paola Maria Di Martino, Silvia Limone, Sara Giurissa, Alessandra Di Nunno, Laura Pecci
 

Sabato 26 febbraio 2011
Teatro Cavallerizza Reale, Torino

si ringrazia per l’ospitalità il Teatro Stabile di Torino





Pienone alla Cavallerizza! (foto © Marco Sasia).

Evelina Christillin, Saluti e benvenuto
Per il Presidente del Teatro Stabile di Torino il Governo non tiene in sufficiente considerazione il teatro italiano, che non viene visto come il portatore di una straordinaria tradizione, ma è giudicato un elemento di cui il paese potrebbe anche fare a meno, e che dunque se vuole sopravvivere deve farlo con le proprie forze. Evelina Christillin ospita dunque con piacere un evento come “Le Buone Pratiche” e apprezza la scelta di un titolo tanto evocativo, il più adatto per ricordarci che dobbiamo guardare avanti, per essere assertivi e propositivi, avendo per obiettivo un “Risorgimento” che oggi deve essere soprattutto culturale. Ma questo potrà accadere solo se il Governo, insieme agli enti locali e ai rappresentanti dell'Agis, si assumerà le proprie responsabilità. Non è accettabile che i direttori dei teatri si trovino costretti dalle carenze economiche a decidere chi far sopravvivere e chi no: tocca al governo decidere, non si può pensare che permetta che i teatri si azzannino tra loro per decidere come gestire la crisi.



(foto © Rosy Battaglia)

Le Buone Pratiche del Risorgimento!
Introduce e coordina Mimma Gallina
Mimma Gallina ricorda che l’obiettivo delle Buone Pratiche è sempre stato quello di andare oltre il lamento, evitando di piangersi addosso per vedere cosa si può fare. Anche quest’anno, spiega, abbiamo cercato di seguire la linea delle precedenti edizioni. Tuttavia non è facile essere ottimisti, di fronte a una crisi politico-economica così pesante. Non è stato neppure facile individuare, fra le diverse suggestioni che sono pervenute al sito, filoni precisi, attraverso confronti e incontri (temi da discutere e BP propriamente dette).
La mattina sarà dedicata alla riflessione sulla situazione nazionale e sulla suggestione del titolo (“Risorgimento!”), a partire dalla città di Torino, da un modello di sviluppo fondato sulla crescita e sugli investimenti in cultura, perseguito in oltre dieci anni: si tratta infatti del modello più significativo di questo tipo a livello nazionale.
Il pomeriggio sarà invece dedicato alle Buone Pratiche vere e proprie.

Oliviero Ponte di Pino sottolinea che i tagli sono una costante degli ultimi anni, e tuttavia quelli prospettati nell'ultima finanziaria sono insostenibili. Se fino a ieri si poteva pensare di trovare soluzioni all’interno delle singole organizzazioni (risparmi e razionalizzazioni, tagli di attività non strategiche), ormai si è arrivati a un punto in cui la politica del risparmio non è più sufficiente. Fino a che punto è ancora possibile razionalizzare? Fino a che punto la crisi può offrire un'opportunità di cambiamento e di ridefinizione del sistema?
Mimma Gallina si chiede se di fronte una crisi così grave e a tagli annunciati del 50% del FUS, in aggiunta a quelli degli enti locali, esista ancora la possibilità di sopravvivere, la possibilità per il territorio di attivare offerte culturali.
Ma come reagire? Nella cartella dei materiali di lavoro per la settima edizione delle Buone Pratiche, è stato inserito l’appello del Comitato Emergenza Cultura del Piemonte. Viene citata anche una suggestiva iniziativa dei colleghi irlandesi a sostegno dell’investimento pubblico in cultura (con raccolta di firme tra i cittadini e pressioni dirette sui candidati alle elezioni).
Ma come rendere queste azioni davvero incisive per la difesa e il rilancio del sistema teatrale? Come coinvolgere in prima persona i cittadini, e non solo gli addetti ai lavori?
Al di là delle considerazioni politiche generali, sarebbe opportuno riflettere su aspetti specifici: per esempio, di fronte all’improvvisa soppressione dell’ETI, perché Arcus spa non è stata toccata? E che dire dell’appropriazione indebita del cinque per mille? Vanno approfondite anche le diverse forme di finanziamento e sostegno alla cultura che coinvolgono direttamente i cittadini. Dobbiamo affrontare problemi di organizzazione e razionalizzazione del lavoro, dobbiamo rivedere il ruolo degli ammortizzatori sociali.
Gli interventi possibili sono numerosi e bisogna rimboccarsi le maniche. E' necessario ridisegnare il nostro sistema teatrale. La partecipazione eterogenea e trasversale alle Buone Pratiche - giovani e meno giovani, rappresentanti di giovani gruppi e di prestigiosi teatri stabili, direttori di festival importanti e di piccole rassegne, una folta partecipazione torinese, ma anche arrivi da tutte le regioni d'Italia - è già di per sé un successo e dà fiducia nella capacità del teatro di reagire.
Nel ricapitolare le tematiche della giornata, Mimma Gallina ringrazia infine particolarmente Giovanna Marinelli per la sessione “il migliore dei bandi possibili”.

Lo stato delle cose

Oliviero Ponte di Pino, Teatro e identità nazionale
Oliviero Ponte di Pino ricorda che dieci anni fa, il 14 gennaio 2001, è andato online il numero zero di www.ateatro.it. Il giorno dopo andava online Wikipedia. Per il web dieci anni sono una storia lunghissima. La settima edizione delle Buone Pratiche festeggia dunque anche i dieci anni della webzine. E si svolge a Torino per due motivi. Il primo, come accennava Mimma Gallina, è il ruolo della cultura nella reinvenzione e nella ricostruzione dell’identità culturale di una città attraversata da un violentissimo processo di deindustrializzaizone. Il secondo motivo è ovviamente il 150° anniversario dell'Unità d'Italia.
Ponte di Pino ricorda l'apporto degli uomini di teatro al processo di unificazione e alla costruzione dell’identità italiana. In questi 150 anni il teatro italiano ha raccontato, attraverso i testi e gli spettacoli, l’evoluzione del paese e ha costruito la sua memoria collettiva. A partire dagli autori che fin dall’indomani dell’Unità hanno srcitto in dialetto, mantenendo dunque uno stretto rapporto con il territorio, per aprirsi però a tematiche di rilevanza nazionale: basti pensare alle Miserie d’ Monsù Travet di Vittorio Bersezio (dove tra l’altro allo sfortunato protagonista viene minacciato un punitivo trasferimento nel Meridione, analogo a quello che subisce in Benvenuti al Sud il personaggio interpretato da Claudio Bisio). E sulla scia di Bersezio, tra gli altri, il Carlo Bertolazzi del Nost Milan e la grande drammaturgia napoletana, da Scarpetta a Viviani, dai De Filippo a Ruccello e Moscato. Tra Ottocento e Novecento, autori come Praga e Giacosa hanno raccontato le condizioni e le crisi della borghesia: le crisi private, come nei drammi sull'adulterio, e le crisi pubbliche, quelle legate al fallimento economico. Facendo un salto verso l’attualità, negli ultimi decenni il teatro di narrazione e il teatro civile stano cercando di creare una memoria condivisa, partendo dal nostro passato prossimo: stanno raccontando tutta l'Italia, dal Vajont a Gela, dalla stagione delle stragi all'Aquila, da Cengio a Taranto. E oggi il teatro che racconta meglio l'Italia, nei suoi aspetti più profondi, è forse quello si fa in carcere: basti pensare al lavoro che svolge da vent’anni Armando Punzo nel carcere di Volterra
A questo proposito, Mimma Gallina ricorda che proprio oggi a Padova si tiene un convegno sul coordinamento dei gruppi che fanno teatro in carcere.



Da sinistra, Ugo Bacchella, Mario Martone, Alessandro Riceci, Oliviero Ponte di Pino (foto © Marco Sasia).

Ugo Bacchella (Fondazione Fitzcarraldo) Bollettino per i naviganti: ultima edizione
Spesso i dati influenzano le nostre opinioni. Se è giusto conoscerli, bisogna anche saperli leggere. A volte possono essere strumentalizzati per sostenere una tesi specifica, oppure possono essere gonfiati o artefatti.
Per esempio, si tende a dire che la spesa pubblica dell'Italia è modesta e che mancano risorse. Però è anche vero che la spesa per la cultura per famiglia è una delle più basse d'Europa: nel Nord Europa si spende l'11-12% del reddito in cultura, la media europea è del 9,4%, in Italia siamo al 6,9% e ci collochiamo al quart'ultimo posto sui 27 paesi dell’Unione Europea. In Piemonte siamo all’8%.
Nelle scelte di spesa per la famiglia italiana la cultura conta dunque molto poco. E' vero che la spesa pubblica in cultura è molto più bassa rispetto agli altri paesi europei, ma bisogna stare attenti ai confronti perché si rischiano di creare falsi miti. Si dice per esempio che la Germania risponde alla crisi investendo in cultura, ma bisogna tener conto che in quel paese la spesa statale incide per meno del 4%, mentre il resto è gestito dai Länder, che stanno invece diminuendo gli stanziamenti. In Gran Bretagna si annuncia la chiusura di 125 organizzazioni culturali di pubblica utilità sostenute dallo Stato su 875; in Olanda si segnala una diminuzione del 20% delle spese del Ministero.
In Italia sono solo le fondazioni bancarie a tenere alta la spesa per la cultura. Anche l’occupazione ne settore è in Italia (1,4%) più bassa della media europea.
Ma al di là dei dati, il problema di fondo è la legittimazione delle spese culturali.
Su questo fronte ci sono anche dati confortanti. Se oggi ci chiediamo quanti italiani sono entrati in un teatro, un cinema, un museo, considerando le persone che hanno più di 6 anni, i dati sono questi:
- il 30% degli italiani, ovvero quasi 1 su 3, è entrato in un museo,
- il 22% in un teatro;
- il 22,4% in una discoteca;
- il 26% (un dato appena superiore a quello relativo al teatro) ha assistito a un evento sportivo.
Se si confronta la situazione attuale con i primi dati storici dell'ISTAT, che risalgono al '94, si può osservare che:
- tutti i consumi culturali in Italia sono aumentati, mentre e gli altri sono diminuiti; -
- la partecipazione degli Italiani alle manifestazioni sportive a pagamento è calata; -
- la partecipazione agli spettacoli teatrali è aumentata di 5 punti -
Dunque ci sono anche motivi di ottimismo perché, nonostante le risorse limitate, c'è stato un allargamento del pubblico.
Va però fatta anche un’altra considerazione: l'allargamento della partecipazione non è stato proporzionale agli investimenti culturali realizzati. Per esempio, dal 1994 al 2010 la partecipazione del pubblico a teatro è aumentata dell'8%; in Piemonte la spesa per la cultura è quadruplicata ma l'aumento del pubblico è stato meno forte che in altre regioni.
Un altro problema riguarda la frammentazione dell'offerta: si dice per esempio che in Italia ci siano più libri che lettori. Questa realtà si percepisce anche guardando i dati piemontesi. Per esempio l'esperienza delle residenze, con un budget così modesto, non è palesemente in grado di innestare una politica di cambiamento sul territorio: dunque è davvero questa la scelta migliore?
Bacchella propone di agire su due livelli:
- valorizzare e studiare le esperienze che sul territorio stanno costruendo relazioni che vanno al di là del sostegno pubblico; -
- rendersi conto che gli italiani che si riconoscono nell'attività culturale sono decine di milioni di persone. Bisogna coinvolgerli e assieme essere più duri con loro: chiudere tutte le offerte culturali per una settimana potrebbe essere un segnale molto incisivo. -



Da sinistra, Ugo Bacchella, Mario Martone e Alessandro Riceci (foto © Rosy Battaglia)

Alessandro Riceci (ZeroPuntoTre) Insorgere per risorgere. Pratiche di resistenza, diritti e nuovo welfare, modelli di sistema
ZeroPuntoTre è nato come coordinamento di tutte le persone che lavorano nello spettacolo dal vivo, proprio perché di fatto non sono ancora riconosciute dallo Stato come lavoratori: nella discussione sui tagli del FUS, per esempio, non si è mai parlato dei lavoratori. La situazione di precarietà che spinge ai limiti della sopravvivenza li ha fatti unire dal basso.
L'associazione, che si è costituita a Roma, il 14 e il 22 dicembre è scesa in piazza a manifestare con gli studenti. Non è stata l’unica azione di lotta: i lavoratori dello spettacolo hanno occupato il cinema Metropolitan di Roma, al Festival del Cinema di Berlino hanno denunciato la situazione del teatro italiano. Tali azioni radicali nascono dalla necessità di rendersi visibili, visto che questi lavoratori, in quanto precari non possono utilizzare lo strumento dello sciopero, lo strumento più efficace per difendere i propri diritti.
La soppressione dell'ETI, la scomparsa a Napoli del Teatro Festival sono segnali di uno stato d'emergenza. L’obiettivo di zeropuntotre è quello di organizzare pratiche di resistenza e progettare un cambiamento profondo del sistema teatrale.
Per farlo serve partire da una visione alta: i diritti degli artisti e dei lavoratori sono penalizzati dalle decisioni sul welfare e dai tagli, ma questo dato di fatto non viene percepito dalla società perché tocca lavoratori invisibili, a volte anche in nero, che vedono ogni giorno di più svalutare le loro competenze.
Lo smantellamento dei fondi pubblici mette a nudo la struttura del sistema. Il teatro maggiormente finanziato non rappresenta più la totalità della proposta teatrale: nascono luoghi pubblici eterogenei, non sempre istituzionali. Questo mondo non è marcio, ma vivo e produttivo, eppure le istituzioni sembrano non accorgersene. Lo dimostrano gli strumenti legislativi elaborati negli ultimi tempi: la bozza di legge sugli ammortizzatori sociali della commissione lavoro è peggiorativa dello stato presente e non risolve i problemi strutturali della categoria (queste leggi tra l'altro non passeranno mai, e comunque non sono ancora passate).
Esistono nello spettacolo due punti di vista:
- chi difende un'identità già costruita;
- chi lavora per creare le condizioni per cui diverse identità possano essere costruite.
Assumendo questo secondo punto di vista, zeropuntotre chiede la riforma del sistema del finanziamento pubblico, aprendolo alla partecipazione dai lavoratori, basandolo sull'equa ripartizione delle risorse, su criteri di trasparenza e qualità dell’investimento del territorio, su programmi di residenza a sostegno ai nuovi talenti, sulla pluralità artistica e dei linguaggi, ricerca, trasparenza dei progetti. Zeropuntotre chiede inoltre di liberare dalle influenze politiche le nomine artistiche e di sanzionare comportamenti scorretti. Chiede infine l’ indipendenza degli strumenti di verifica.
In merito al welfare, chiede di ottenere per i lavoratori dello spettacolo gli stessi diritti che hanno gli altri lavoratori.
Chiede di dare adesione attiva a queste proposte e invita le grandi istituzioni pubbliche a sostenerle.
Propone la data del 27 marzo come data significativa per una protesta. Quel giorno si celebra la Giornata Mondiale dello Spettacolo, che però in Italia è stata annullata proprio a causa della crisi. E una situazione paradossale, che potrebbe essere utilizzata per attirare l’attenzione sulla crisi generale che sta vivendo il teatro.

Mario Martone (Direttore, Teatro Stabile di Torino) Allarme autocensura!
Martone esordisce dichiarando di apprezzare la sequenza di diapositive sugli attori risorgimentali che scorre sullo schermo. Lui stesso li aveva presi in considerazione mentre progettava la rassegna Fare gli Italiani: in un primo momento il progetto prevedeva di realizzare una mostra dedicate alla cultura militante e di raccontare l'azione politica con il linguaggio teatrale.
I tagli alla cultura, prosegue, sono tagli alla spina dorsale del paese, sono un'umiliazione per tutti gli italiani. Perché non ci sono solo i tagli al teatro, ma anche quelli alla musica, alla danza, al cinema, alla scuola, all'università, alla ricerca... Una filiera che se solo riuscisse a mostrarsi unita otterrebbe risultati molto più tangibili, e certamente si imporrebbe all'attenzione dell’intera società italiana.
Anche i teatri stabili subiranno forti tagli: avendo i costi di struttura più alti, saranno costretti a tagliare le produzioni. Il rischio è che gli artisti finiscano per limitare le loro idee e passare all'autocensura. E’ vero che purtroppo a volte i finanziamenti pubblici sono stati sprecati o usati male. Ma ora il rischio è che il teatro pubblico si adegui al modello di quello privato, che segue solo le logiche di mercato. Invece il teatro pubblico dovrebbe preservare la propria identità. Non si tratta di stabilire una scala di valori: sia il pubblico sia il privato entrambi possono produrre cose egregie, ma diverse tra loro.
A Torino si ricordano spettacoli memorabili per la loro sregolatezza e audacia. Ma cosa accadrebbe se si perdessero questi aspetti solo per riformarsi alla ricetta prestabilita?
Il rapporto tra il mondo culturale e la politica è ancora troppo forte.
Poi c’è il problema dei cartelloni: tutti sanno che da sempre i teatri si scambiano gli spettacoli. Per contenere i costi in un momento di crisi come questo dice Martone, cerco almeno di selezionare. Con il ricavato delle grande produzioni degli stabili riesce a salvaguardare quello che resta della produzione fuori dalle logiche di mercato attraverso i festival, come quello di Prospettive, e tutela gli artisti. Per concludere, Martone si chiede se questa forma di autocensura non conduca il teatro pubblico a essere meno interessante e più costoso e a cosa serva dunque un teatro pubblico se ha maggiori costi dei teatri privati.

Oliviero Ponte di Pino osserva che questi primi interventi hanno affrontato lo stato delle cose da tre punti di vista: quello del pubblico (Bacchella), quello dei lavoratori (Riceci) e quello di un artista e direttore di teatro (Martone).


Il caso Torino e il sistema Piemonte

1. Le politiche per la cultura

Fiorenzo Alfieri (Ass. Cultura, Comune di Torino) Quale futuro per noi.
Considerando la brevità dei tempi, preferisce concentrare il suo intervento su indicazioni concrete. Per far fronte al problema di un mondo culturale in cui le entrate non corrispondono alle uscita, in cui gli enti pubblici devono imparare a condividere l'idea che la cultura fa parte della civiltà e del welfare e che quindi devono compensare la differenza tra entrate e uscite, parte da tre punti:
1. la detassazione del sostegno alla cultura è la soluzione numero uno all'estero, soprattutto nel mondo anglosassone. La defiscalizzazione significa che lo Stato è disponibile a sostenere la cultura attraverso i privati;
2. la patrimonializzazione delle attività culturali. Ogni realtà culturale deve avere fondi di garanzia, attualmente non disponibili, ma che possono consentire di attivare operazioni finanziarie per coprire i deficit in caso di emergenza;
3.
sicuramente la terza è la proposta meno popolare, ma anch'essa molto diffusa in altri paesi (per esempio l'Austria): per qualsiasi servizio pubblico che non ce la fa a coprire le spese, in parte è giusto che intervengano finanziamenti pubblici, ma per una parte è l'ente che ha creato il deficit a doversi impegnare nel creare un'attività redditizia e imprenditoriale parallela.
Un esempio. Il comune d Vienna ha al suo interno dei ristoranti gestiti dai dipendenti comunali, che hanno molto successo e permettono di far rientrare il deficit generando ricchezza.
Questi punti vanno presi in considerazione nel loro insieme.

Luca Cassiani (presidente V Commissione, Comune di Torino)
Cassiani vuole aiutare a comprendere il passato recente di Torino: un caso particolare, perché gli amministratori locali erano convinti di aver raggiunto i loro obiettivi.. Nel 2000 Torino viveva una fase di declino che rendeva necessaria un decisione per il futuro della città. E’ stato scelto di puntare sulla cultura, partendo dal presupposto che la città avesse sia il patrimonio sia l'attrattiva turistica.
Il piano strategico è stato diviso in due parti:
a) hardware, ovvero la struttura: nell’ambito del teatro sono stati avviati i lavori di riqualificazione della Scuola del Teatro Stabile, delle Fonderie Limone, del Carignano, del Teatro Vittoria, della Cavallerizza, del Teatro Gobetti, del Teatro Astra, della Casa del Teatro Ragazzi;
b) il software, ovvero il Sistema Teatro Torino, creato con l'obiettivo di raccogliere tutti gli attori e protagonisti sotto l'egida del Teatro Stabile, per sostenere i giovani, i nuovi progetti e investire sull'innovazione.
Il risultato? A Torino si è avuto un notevole incremento del turismo culturale (da 500.000 turisti nel 2000 a 2.000.000 nel 2010), nonostante la mancanza di risorse non abbia permesso lo svolgimento delle grandi mostre. Negli ultimi anni sono nati festival importanti come Prospettive, Teatro a Corte, Festival delle Colline e MiTo, uno dei più importanti in Italia per la musica classica.
Ora c'è bisogno di nuovo slancio guardando al 2020.

Vedi anche Lo Stabile e il Sistema Teatro Torino.

Ugo Perone (Ass. Cultura, Provincia di Torino)
Ugo Perone, che è stato anche Assessore alla cultura della città di Torino negli anni Novanta e direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Berlino nei primi anni 2000), avverte subito di essere decisamente più pessimista. Il contesto nazionale è in crisi. Dopo un ventennio di politica dominata dal berlusconismo, la cultura non è più un elemento fondante. La situazione è completamente cambiata. Negli anni Novanta era forte la pressione dei giovani che premevano perché si allargassero le maglie del finanziamento e si realizzasse una decentralizzazione dell'arte. Non era una situazione facile, ma c'era il vantaggio che, pur nei conflitti, l'obiettivo veniva riconosciuto da tutti. Il problema era come e quando partecipare, distribuire e diffondere il teatro tra le tutte le classi sociali. Oggi invece non esiste più questo comune sentire. La cultura è spettacolarizzazione e successo. Ciò che fa audience produce più entrate.
Il dato positivo è che sono cresciute la partecipazione giovanile e la molteplicità di situazioni. Molti giovani vedono nella cultura una possibilità di lavoro, ma senza risorse non sappiamo come farli partecipare. Chi è dentro il sistema cerca di difendere ciò che ha con le unghie e con i denti. Ma chi si affaccia oggi? Bisogna evitare la guerra tra coloro che creano cultura.
Dobbiamo darci nuovi obiettivi: la città di Torino è molto cambiata, ma esistono zone del Piemonte che non hanno la percezione di questo cambiamento. E' dunque necessario un processo di decentralizzazione. C'è un enorme potenziale intorno alla città, Torino si può salvare solo se sviluppa anche l’hinterland. In questa direzione proponiamo che Torino e la sua provincia a Capitale Culturale Europea nel 2019.

Intermezzo



Bruno Gambarotta è il deputato-drammaturgo Brofferio (foto © Rosy Battaglia)

2. Che cosa sta succedendo?

Giordano Amato Dieci anni di residenze
Quest’anno si festeggiano i dieci anni delle residenze multidisciplinari in Piemonte, che hanno dato esiti importanti. Nascono da compagnie professionali finanziate dalla legge regionale 68. Oggi nella regione le residenze sono 19, di cui 17 sotto l’associazione Piemonte delle Residenze, di cui Amato è membro del collegio di presidenza.
Nel 2010 è stata fatta una prima ricerca statistica sui dati relativi alle residenze: 29 prime teatrali, 32 teatri gestiti, 85 comuni coinvolti, 93 corsi, 217 laboratori, 378 spettacoli programmati, 68.971 spettatori.
Tutto questo è stato realizzato con fondi regionali che negli ultimi due anni si sono quasi dimezzati, e ancora non conosciamo i dati per il 2011. Amato sottolinea il paradosso amministrativo del contributo che la Regione “sdoppia” fra attività di residenza e attività ordinaria.
E’ stato chiesto all’Assessore alla Cultura della Regione un tavolo tecnico per discutere del futuro e firmato un accordo con il Circuito Teatrale Piemonte per una collaborazione importante. Si sta valutando l’ipotesi di aprire l’associazione a soggetti che non sono residenze e si è varato un primo cartellone di attività e progetti comuni. Ma restano aperte grandi incognite sulla possibilità di sostenere progetti strategici.

Vedi anche L’anno delle Residenze.



Graziano Melano (foto © Marco Sasia).

Graziano Melano Torino capitale del teatro ragazzi?
Negli anni Settanta c’è stata un’azione strategica per la diffusione del teatro, nelle scuole e nelle periferie. L’animazione teatrale è nata a Torino negli anni Sessanta, ma si potrebbe risalire addirittura ai tempi di Don Bosco. Torino è anche la città di uno dei pochi studiosi di teatro ragazzi, Gianrenzo Morteo, oltre che di un sociologo come Franco Ferrarotti.
Nel corso degli anni, viaggiando come rappresentante del Teatro dell’Angolo, Melano si era sempre domandato perché a Torino non ci fosse un luogo dedicato al Teatro Ragazzi. Lo si è finalmente individuato una decina di anni fa: è nata così la Casa del Teatro Ragazzi, realizzata con fondi della città e della Regione, voluto fortemente dalla volontà di operatori privati e pubblici.
Undici soggetti-soci fondatori hanno collaborato al progetto dello spazio. A loro si sono via via aggiunte altre realtà, come il Festival Incanti e quello delle Colline.
Ha una scuola di formazione e spazi laboratorio, due sale teatrali che lavorano pomeriggio e sera. Tra animatori, organizzatori, amministratori, artisti, vi lavora una cinquantina di persone. E' un progetto di grande qualità artistica e gestionale, che ha registrato 160.000 spettatori dalla sua apertura e finora nessun deficit.
Ha creato la possibilità di instaurare progetti di partnership con le aziende del territorio facendo convivere due anime: quella pubblica e quella privata.
Melano conclude il suo intervento con una citazione di Ken Robinson: “Tra arte e scienza vi sono molti più punti in comune che differenze.”





Gabriele Vacis e Beppe Rosso (foto © Marco Sasia).

Beppe Rosso La genesi del Sistema Teatro Torino e i suoi possibili sviluppi
Il Sistema Teatro Torino è nato da progetti e idee.
Nel 2001 il Teatro Stabile non era molto aperto al territorio, c'era stato il crollo del Gruppo della Rocca, di cui il Teatro Stabile aveva acquisito i fondi ministeriali ; successivamente lo Stabile ha accrpato anche quelli del Teatro Settimo. E’ finita così un‘epoca iniziata negli anni Settanta con le compagnie di produzione. Rosso, Cassani e Colombano hanno preso spunto dall’esperienza di Canto per Torino per dar vita al Progetto Centro Servizi, con l'obiettivo da un lato di sostenere produttivamente e distributivamente le compagnie, dall'altro lato di ridefinire le funzioni pubbliche e private dei teatri. Il progetto è stao presentato all’assessore Alfieri e da lì è nato il Sistema Teatro Torino.
L’obiettivo era dare ordine e dare regole. Sono stati dieci anni importanti, non era un sistema perfetto ma ha creato una modalità di lavoro. Nel 2008 c’è stato un grande taglio di fondi da parte del comune, pari al 40-50%. Il STT ha tenuto proprio grazie al fatto di essere sistema, anche abbassando il livello dei finanziamenti.
Adesso è importante aprire gli occhi sulla situazione della Regione: la maggior parte dello spettacolo dal vivo (il 75%) è prodotto a Torino, mentre il resto della Regione assorbe pochissimo. Bisogna pensare a un amplimento dei teatri comunali e delle residenze. Ma più in generale, andrebbe ridefinita la situazione.





(foto © Marco Sasia).

Gabriele Vacis, Il canto per Torino
Vacis parte dall’esperienza dello spettacolo collettivo Canto per Torino : nel 1995 è stato un gesto fondativo, che conteneva già il teatro di oggi. Pensiamo a chi ci ha lavorato: Paola Rota, Emma Dante, Serena Sinigaglia...
L’insegnamento di Giorgio Guazzotti è stato decisivo: importante era la sobrietà. Lo spettacolo costò poco, in un momento in cui era quasi un vanto sforare i budget.
Legge l’articolo del 9 novembre 2007 pubblicato sulla “Stampa”, “Pompa Magna o Necessità”.



Gabriele Vacis (foto © Rosy Battaglia)

Grazie all'insegnamento di Guazzotti, siamo riusciti ad applicare la stessa sobrietà ai Rusteghi. l’ultimo allestimento di Vacis per lo Stabile, che è costato molto meno del budget previsto senza rinunciare alla qualità artstica (a una domanda dalla sala, Vacis risponde che l’allestimento è costato 300.000 euro, rispetto ai 600.000 e lo spettacolo è già venduto per 400.000 euro).
Abbiamo razionalizzato, bisogna essere disposti anche a farsi detestare.
Con questo non voglio dire che i tagli non siano da odiare, ma diciamolo chiaramente: il mondo della cultura spreca.
Adesso ci vogliono le idee.
A sorpresa, Vacis conclude il suo intervento con un insulto al critico di “Repubblica” che ha recensito i suoi Rusteghi.



Da sinistra, Gabriele Vacis e Renzo Rosso (foto © Marco Sasia).

(segue...)

 
 
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