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ISSN 2279-9184

ateatro 104.30
William Kentridge: la magia dell’ombra
Omaggio al grande artista sudafricano nella collana d’arte Supercontemporanea di Electa
di Anna Maria Monteverdi
 

Cecilia Alemani cura per Electa-Supercontemporanea, collana di monografie d’arte contemporanea di piccolo formato diretta da Francesco Bonami, un agile e ben documentato volume dedicato a William Kentridge, considerato una delle personalità artistiche e intellettuali di maggior spicco del Sudafrica. Per un maggior approfondimento sulla poetica di Kentridge segnaliamo oltre al catalogo edito dalla Skira e pubblicato in occasione della mostra al castello di Rivoli del 2004, il volume di Rosalind Krauss Reinventare il medium (Bruno Mondadori ed).



Nato a Johannesburg nel 1955, Kentridge svolge un’attività artistica multipla sin dalla fine degli anni Settanta: le sue opere vanno dalle incisioni con tecniche diverse (puntasecca, acquaforte, acquatinta) ai disegni a carboncino, a gesso e pastello, ai collage, alle pitture, alle installazioni con sculture in bronzo, con mobili, arredi e schermi (che vanno a formare veri e propri teatrini in miniatura), ai film animati in 16 e 35mm, ai disegni a silhouette realizzati espressamente per i fondali teatrali. L’esposizione a Documenta Kassel nel 1997 e la personale al Palais des Beaux-Arts a Bruxelles nel 1998 ne decretano il successo mondiale.



La sua biografia è costellata di numerosi eventi legati al teatro: iscritto alla Ecole Jacques Lecoq a Parigi, scenografo attore e regista della Junction Avenue Theater Company e della Handspring Puppett Company di Johannesburg, allestisce opere dai testi di Tom Stoppard e Alfred Jarry; diventa in seguito regista di corti in animazione girati in 16mm, ma i suoi film così come i suoi disegni e le sue installazioni continueranno a trasudare il teatro, ad essere abitati da maschere del teatro di tutti i tempi: straordinari i primi monotipi di piccole dimensioni della serie PIT; un palco/gabbia come fossa o bolgia dantesca ospita corpi incatenati o nudi di donne e uomini deformi o schiacciati dalla prospettiva, illuminati da un accecante faro teatrale.



Nella loro angosciante commedia nera sono l’oggetto dello sguardo crudele di spettatori posti all’estremità superiore di questa arena. Reminiscenze pittoriche di Goya, Bacon e degli artisti di Weimar convivono con le atmosfere del teatro del Gran Guignol.
Nel volume sono riportate le riproduzioni delle incisioni che costituiscono la serie UBU TELLS THE TRUTH (1996-1997) con le fotografie dallo spettacolo andato in scena con la collaborazione di Handspring Puppett Company, i disegni per lo spettacolo Faustus in Africa (1995), per Confessions of Zeno (2002), per l’opera in musica Il ritorno di Ulisse in patria (1998) da Monteverdi; alcune fotografie inserite nel volume documentano l’installazione PREPARING THE FLUTE, un modellino teatrale con due film animati in 35mm con cui Kentridge reinventa il suo lavoro per le scenografie per l’opera Il Flauto magico da Mozart.



Ampio spazio viene dato nel libro ai celebri Drawings for Projections, film animati muti realizzati d Kentridge a carboncino e inaugurati con la fine degli anni Ottanta. La precisa descrizione della Alemani del travagliato lavoro di Kentridge davanti alla Bolex 16mm per creare sequenze animate composte da innumerevoli e minime variazioni e cancellature del disegno monocromo davanti alla macchina da presa, ci riporta al cinema delle origini, ai primi studi fotografici del movimento di Marey:

“A differenza dell’animazione classica in cui per creare un solo secondo di filmato si realizzano ventiquattro disegni diversi su altrettanti fogli, per i suoi film Kentridge usa solo pochi fogli di carta che vengono ossessivamente disegnati, cancellati e ridisegnati a carboncino. L’artista parte da un largo foglio bianco appeso al muro e vi disegna la prima scena. Poi passa alla telecamera con cui riprende il disegno per pochi istanti. Quindi ferma la cinepresa e torna al disegno: lo altera con cancellature, aggiunte e sovrapposizioni anche solo infinitesimali, facendo evolvere l’immagine secondo la narrazione. E di nuovo torna a filmare il disegno, nato da una metamorfosi di quello precedente, di cui conserva la memoria”.

Ma le sue opere sono inscindibili dalla storia recente del Sudafrica, dal tema dell’apartheid a cui Kentridge dedica la lunga saga di Soho Eckstein, storia di un avido e ingordo capitalista industriale simbolo stesso della corruzione e della depravazione in una Johannesburg colpita dalle ingiustizie razziali e dallo sfruttamento del lavoro operaio nelle miniere. Il personaggio che gli si contrappone è il solitario e triste Felix Teitlebaum.
La Alemani riconduce il lavoro di Kentridge alle suggestioni dei lavori della Nuova Oggettività, da Otto Dix e Grosz. Manca forse nel libro, pur ricco di apparati iconografici, uno sguardo a quel teatro che al di là dell’evidenza testimoniata dal titolo delle opere, si scorge in controluce e in modo sotterraneo: primo fra tutti l’opera di Samuel Beckett e del Brecht dei drammi didattici.

 
 
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