ateatro 127.71
Il cielo di pietra
Mi chiamo Rachel Corrie con Cristina Spina
di Clara Gebbia
 


Il monologo messo in scena da Cristina Spina e Alessandro Fabrizi non può dirci esattamente chi sia stata Rachel Corrie.
Può solo farci intuire chi sarebbe stata se non fosse assurdamente morta a 23 anni.
Rachel Corrie era una ventenne di Olympia, Stato di Washington, U.S.A., che ha commesso il fatale errore di prestare la propria opera come attivista pacifista dell'ISM - International Solidarity Movement a Gaza.
Il testo dello spettacolo è tratto dalla corrispondenza tra Rachel e i genitori durante la permanenza a Gaza e dai suoi diari precedenti alla partenza, che Rachel scriveva sin da piccolissima, rivelandoci un talento vulcanico di scrittrice.
Cristina Spina, insieme ad Alessando Fabrizi affronta la verità di queste parole con una recitazione e una regia che tendono ad una “non teatralità”, ad un “dire” il testo che confonde il teatro con la vita, quasi non “recitando”, ma “testimoniando”, in una dialettica continua tra attrice e personaggio.
Questo produce in chi guarda la piéce la sensazione che Rachel sarremmo potuti essere tutti, o qualcuno dei nostri figli. Ci si chiede incessantemente che cosa avremmo fatto, noi, se ci fossimo trovati nella sua stessa situazione o al posto dei genitori di Rachel: saremmo stati orgogliosi di una figlia diversa da tutti gli altri giovani “spoliticizzati e consumisti” (per citare la prefazione di Alan Rickman e Katherine Viner, curatori del testo), o avremmo preferito una figlia “fashion victim”?
La lezione di Rachel apparentemente è amara: la consapevolezza, in questo mondo, si paga con il prezzo più caro: la vita.
Ma questo è solo uno dei corto circuiti che le riflessioni di Rachel innescano sul piano etico.
Lo spettacolo si apre con Rachel/Cristina che sbirciando tra i suoi diari, rivela già la sua passione per la scrittura, la sua carica vitale e la sua inquietudine. Rachel dice di avere un “fuoco nella pancia” che a volte può anche essere doloroso, ma spesso a stemperare il dolore arriva la sua saggezza ironica e tagliente. A proposito delle sue storie d'amore, per esempio, che non sembrano andare per il meglio e che a quell'età sono causa di grandi sofferenze ci dice: “a cinque anni ho scoperto i maschi, il che mi ha reso la vita un po' più difficile. Solo un po', e molto più interessante”.
Frammenti di identità vitalissima, di vivacità intellettuale, di ironia come visione del mondo che sapientemente Cristina Spina dosa, restituendoci la complessità della personalità di questa brillante ventenne, che si affaccia alla vita con vorace curiosità: “ E' da un po' che sento questo bisogno di andare da qualche parte per conoscere chi si trova all'altro estremo di tutte quelle tasse con cui viene finanziato l'esercito americano” - scrive prima di partire per Gaza. Come dice Naomi Klein nella prefazione al testo “Corrie andò a Gaza per opporsi alle azioni del suo Governo. Come cittadina americana, Corrie credeva di avere una speciale responsabilità nel difendere i palestinesi contro le armi di costruzione statunitense, acquistate grazie all'appoggio degli Stati Uniti a Israele.”
La rendeva sicura l'idea che i soldati Israeliani non avrebbero sparato su una ragazza cittadina americana, che si trovava lì per compiere azioni di non violenza. A questo proposito, ancora la Klein dice: “Se i kamikaze suicidi trasformavano il proprio corpo in un'arma di morte, Corrie trasformava il suo nel contrario: un'arma di vita”.
E' commovente, e anche vagamente profetico, quello che Rachel, scrive nel suo diario delle medie: “Una delle regole della classe elementare 'Tutti devono sentirsi al sicuro'. E' la regola migliore alla quale riesco a pensare”.
E' divertente, quando scrive liste su liste, di quello che vorrei fare “da grande” (contemplando anche la possibilità 'Uomo Ragno' o 'rapinatrice di banche') di “persone che avrei voluto conoscere ma sono morte”citando Salvador Dalì, Karl Jung, Martin Luther King, John Fitzgerald Kennedy....
Se è vero, come dice Luce Irigaray, che “la differerenza è il problema che la nostra epoca ha da pensare”, è stato un viaggio in Russia a “risvegliare” la coscienza di Rachel, se mai si fosse assopita: “(...) ho visto un altro paese per la prima volta. (...) era fatiscente, sporca, distrutta e meravigliosa. Mi sono guardata indietro, attraverso l'Oceano Pacifico, e da quella distanza alcune cose qui, a Olympia, Washington, Stati Uniti, mi sono sembrate un po' strane e sconcertanti. Ero sveglia per la prima volta, con gli occhi sgranati e un ghigno sulla faccia. (...) Ero finalmente sveglia, ora e sempre”.
Nel corso dello spettacolo questo e molto altro viene fuori: tra i frammenti di lettere si dipana il dialogo di Rachel con la madre. Il tono comincia a mutare quando, srotolando sul palco un'enorme cartina della Palestina, Rachel/Cristina si accinge ad abitarla: nelle lettere di Rachel, sempre più tese, non c'è spazio per l'ironia, i genitori si mostrano sempre più ansiosi pur cercando di non interferire con l'attività di Rachel. Anche se Rachel/Cristina sembra quasi essere a tratti sopraffatta dalla paura, qualcosa dentro di lei le fa ritenere giusto andare avanti nella sua missione di pace: la voglia di consapevolezza, di conoscenza. Scrive alla madre: “Mi dispiace spaventarti. Ma io voglio scrivere e voglio vedere. E di cosa potrei scrivere se rimanessi solo dentro la casa di bambola, nel mondo fiorito in cui sono cresciuta?... Io ti voglio bene ma sto crescendo e mi espando fuori da quello che tu mi hai dato. Lasciami sconfiggere i miei mostri.”
Rachel/Cristina comincia a mostrare un inconscio alterato, la notte la sensazione di pericolo si fa quasi insopportabile, ma non tanto da indurla ad andar via. “Dormito in tenda. Uno sparo attraversa la tenda. Comincio a fumare”.
Ma le parole, fino ad allora vere e proprie compagne di vita di Rachel, sembrano non esserle più sufficienti: “Sono in Palestina da due settimane e un'ora, e ancora ho pochissime parole per descrivere quello che vedo. (...)Niente avrebbe potuto prepararmi alla realtà della situazione qui. E' semplicemente inimmaginabile se non la vedi. E anche a quel punto la tua esperienza non coincide con la realtà (...): io ho i soldi per comprare l'acqua mentre l'esercito distrugge i pozzi, e posso scegliere di andarmene. A me è permesso vedere il mare”.
Il cielo è di pietra, nello spettacolo di Cristina Spina, con la bella ed efficace istallazione di Paola Gandolfi, dove al posto delle nuvole mutevoli a testimoniare lo scorrere del tempo ci sono sassi, immobili come lo è la morte, che non lascia più spazio a nessun divenire.
E' un'opinione comune, per chi vede lo spettacolo o legge le sue lettere, che Rachel Corrie, se fosse vissuta, sarebbe diventata una scrittrice. Il fidanzato di Rachel Corrie, poco prima di togliersi la vita all'età di 24 anni, faceva questa riflessione: “La persona che conoscevo è stata ridotta a un nome su una lista.... Tutto ciò che era, ogni idea geniale, ogni progetto artistico dal lei realizzato non contano più. Lei è diventata la sua morte”.
E' proprio perché Rachel Corrie non venga ricordata soltanto per la sua morte, o non venga inghiottita dal silenzio, che questo è uno spettacolo prezioso, una testimonianza che con grande dolcezza traccia un ritratto di Rachel, restituendoci, a dispetto delle nuvole di pietra, una realtà in divenire: Rachel come pura potenza, immensa possibilità.
Alla fine dello spettacolo, quando Cristina Spina dà l'annuncio della morte della giovane, si avverte l'angoscia opprimente per l'insensatezza di tutte le guerre, ma rimane forte l'intensità, l'umanità di Rachel. Penso a lei e comincio a scrivere mentalmente il suo nome nella mia prima lista di “persone che avrei voluto conoscere ma sono morte...”.
Tratto dagli scritti di Rachel Corrie a cura di Alan Rickman e Katharine Viner
traduzione di Monica Capuani e Marta Gilmore Produzione di Alessandro Lendvai per Suite srl
in collaborazione con PAV

Progetto di e con Cristina Spina
regia Alessandro Fabrizi e Cristina Spina

Scena Paola Gandolfi
Musiche originali Riccardo Giagni
Vocal coach Susan Main
Disegno luci Hossein Taheri


SPECIALE ELEZIONI 2011

La cultura e lo spettacolo nei programmi elettorali

LE CITTA'
Milano: il "metodo Pisapia" e le "cose fatte" della Moratti
Torino: Piero contro Michele
Ravenna: Capitale della Cultura 2019?
Cosenza: la differenza tra destra e sinistra
Napoli: (soprav)vivere di cultura?
Bologna: come rilanciare il "marchio Bologna"?
Trieste: marketing territoriale o ambizioni da capitale della cultura?
Cagliari: Massimo contro Massimo
Reggio Calabria: investimenti o fare sistema
Catanzaro: il più giovane candidato sindaco di un capoluogo di provincia
Siena: una capitale per Rozzi e Rinnovati
Varese: tra gruzzolo e patrimonio
Considerazioni finali e provvisorie