Speciale elezioni 2011

Lo spettacolo di Castellucci deve andare in scena
Un appello
di Redazione ateatro


 
Ciao, Maurizio
Si è spento a Reggio Emilia Maurizio Viani, creatore di luci negli spettacoli di Leo
di Francesca Mazza


 
Sul concetto di volto nel Figlio di Dio, a Milano
La versione integrale della lettera in esclusiva per ateatro
di Romeo Castellucci, Socìetas Raffaello Sanzio


 
Robert Lepage l'inarrestabile
Dal Cirque du Soleil a Wagner
di Anna Maria Monteverdi


 
Un imbroglione con un senso etico fortissimo
Un’intervista a Luca Ronconi sul teatro di Rafael Spregelburd dopo il debutto della Modestia
di Oliviero Ponte di Pino


 
La lettera scarlatta alla Socìetas Raffaello Sanzio
Una nota sull’aggressone contro Sul concetto del Volto del Figlio di Dio, Castellucci, Shammah e la nostra intelligenza
di Oliviero Ponte di Pino


 
L'arte della superficie
Dal videomapping all'interaction design per il teatro
di Anna Maria Monteverdi e Enzo Gentile


 

 

Lo spettacolo di Castellucci deve andare in scena
Un appello
di Redazione ateatro

 

I “se” e i “ma” su uno spettacolo o su un’opera d’arte sono materia del dibattito critico o delle sempre legittime reazioni del pubblico. Ma quando la censura preventiva prende il posto del dissenso e diviene intimidazione, non è più questione di questa o quella interpretazione, è la libertà stessa di interpretare che viene messa in pericolo. E’ quanto sta accadendo con lo spettacolo di Romeo Castellucci Sul concetto di Volto nel figlio di Dio in programmazione al Teatro Franco Parenti di Milano: un’orchestrata campagna di minacce e di anatemi lo ha preceduto nel tentativo, sfacciatamente dichiarato, di non farlo andare in scena. Di fronte allo sconfortante avanspettacolo dell’intolleranza che si traveste da diritto di critica e dell’intimidazione che si richiama alla libertà di parola, pensiamo di non potere e di non dovere restare indifferenti. Tanto meno indifferenti nel momento in cui l’offensiva integralista contro lo spettacolo ha rivelato la sua vera natura investendo la persona della direttrice del Franco Parenti André Ruth Shammah con le espressioni dell’antisemitismo più classico ed abietto. Non si tratta di scegliere tra chi dice di aver scritto il suo spettacolo come una preghiera e chi, senza averlo visto, lo accusa di essere blasfemo (due cose che in molte opere d’arte del novecento si sono spesso confuse senza che questo generasse guerre di religione). Si tratta semplicemente di garantire a Romeo Castellucci la prima ed essenziale libertà di ogni arte e di ogni artista: quella di essere compreso o frainteso con cognizione di causa, di essere giudicato secondo la sua opera e non secondo il pregiudizio di un manipolo di fondamentalisti che agita la fede in Cristo come una clava identitaria. Chiediamo ai cittadini, agli intellettuali, agli artisti e a chiunque consideri la libertà dell’espressione artistica un cardine irrinunciabile della nostra esistenza civile, di non lasciare Romeo Castellucci e la sua opera nel cerchio di solitudine che l’alleanza tra il fanatismo di pochi e la reticenza di molti rischia di creargli attorno. Sul concetto di Volto nel figlio di Dio deve andare in scena.

Massimo Marino (critico di teatro), Attilio Scarpellini (critico di teatro), Oliviero Ponte di Pino (www.ateatro.it)

Romeo Castellucci’s play must be staged: an appeal

The “ifs” and “buts” with regard to a performance or to an artwork are a topic for discussion among critics, or for the always legitimate reactions from the audience. But whenever preventive censorship replaces dissent and becomes intimidation, then it is no longer a matter of one interpretation or another: it is the freedom of interpretation itself which is being jeopardised. This is what has happened to Romeo Castellucci’s production “On the Concept of the Face, Regarding the Son of God”, programmed at the Teatro Franco Parenti in Milan: a carefully orchestrated campaign of threats and anathemas has preceded it, in the outspokenly brazen attempt to prevent it from being staged. Faced with the disheartening spectacle of intolerance masquerading as the right to criticise and of intimidation advocating freedom of speech, we cannot and should not remain indifferent. We certainly cannot remain indifferent considering that the fundamentalist offensive against the performance has shown its true colours with a personal attack against the theatre’s manager, Andrée Ruth Shammah, using expressions typical of the most traditional and abject anti-Semitism. The issue is not choosing between those who say that the play was written as a prayer and those who, without having seen it, accuse it of being blasphemous (two sides which, in many twentieth century artworks, often merged without this leading to confessional conflicts). It is simply a question of making sure that Romeo Castellucci is granted the primary and fundamental freedom which every art and every artist should enjoy: that of being understood or misunderstood with full knowledge of the facts, of being judged on the basis of his work and not of the prejudice of a handful of fundamentalists who brandish their faith in Christ as if it were an identity truncheon. We ask citizens, intellectuals, artists and all those who regard the freedom of artistic expression as an irreplaceable tenet of civil coexistence, not to abandon Romeo Castellucci and his work to the circle of solitude which the alliance between the fanaticism of a few people and the widespread reticence of many risks creating around him. “On the Concept of the Face, Regarding the Son of God” must be staged.

Massimo Marino (theatre critic), Attilio Scarpellini (theatre critic), Oliviero Ponte di Pino (theatre critic)

Una selezione dalla rassegna stampa

Franco Quadri su "la Repubblica" (17/07/2010): Il mistero della vita sul viso di Gesù.


Massimo Marino su doppiozero (18/01/2012): Oltre l'osceno. Intervista a Romeo Castellucci.

Dal sito di "Noi Siamo Chiesa" (20/01/2012): La curia di Milano e il Vaticano accettano, a priori e in modo poco comprensibile, la campagna degli ultras della destra cattolica contro lo spettacolo di Castellucci al teatro Franco Parenti di Milano. “Noi Siamo Chiesa” chiede che esso non sia né rinviato né sospeso.

Adriano Prosperi su "la Repubblica" (20/01/2012): Il Vaticano: fermate la pièce su Gesù.

Vittorio Sgarbi sul "Giornale" (20/01/2012): Il miglior antidoto è il silenzio.

Tonino Guerra su "la Repubblica" (20/01/2012): Tutti uniti accanto a Castellucci.

Antonio Socci sul suo blog (20/01/2012): Ma quale blasfemia? Qualla di Castellucci, davanti a Gesù, è preghiera!

Riccardo Bonacina su "Vita!" (21/01/2012): Cari cristianisti, il volto del Figlio non è una figurina.

Gad Lerner sul suo blog (20/01/2012): Giovanni Testori e "Il volto di Dio".

La petizione di sostegno allo spettacolo in occasioni delle repliche di Parigi...
e i firmatari.

Se volete saperne di più, su www.ateatro.it ampia documentazione sulla Societas Raffaello Sanzio nella ate@tropedia.

L'evento su Facebook.

Per aderire, mandate una mail a circocritico@libero.it
...e diffondete...

Tra le prime adesioni



Andrea Adriatico

Paola Agnesi

Angela Albanese Sono contraria a ogni censura preventiva e pregiudizata; aderisco pertanto all'appello.

Altre Velocità redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.

Anna Amadori (attrice) La questione è di libertà di espressione e non solo. Quanto avviene ci da l'opportunità di riflettere sul senso e la funzione dell'arte e la sua relazione con il vissuto di ogni ogni uomo e su quanto la percezione di un artista, mettendo in luce le contraddizioni celate nell'opacità del quotidiano (e in particolare il quotidiano di oggi, dove tutto sembra appiattirsi nella dicotomia di utile e inutile, vantaggioso o svantaggioso, funzionale o disturbante, economico o non economico), possa portarci a una comprensione più profonda del nostro vissuto. Non ho visto lo spettacolo, lo vedrò a febbraio. Ci vado perchè è Romeo Castellucci ma anche perchè parla di qualcosa che molti di noi vivono: la sofferenza di chi ti ha fatto nascere, ti ha accompagnato nella tua infanzia e giovinezza, è stato un punto di riferimento d'amore e un sostegno, e ora aspetta solo le tue mani, spesso incapaci e inservibili, per essere accompagnato verso il momento di lasciarsi. E la domanda è proprio quella di Cristo: "Padre mio perchè mi hai abbandonato?"

Lucia Amara (insegnante e studiosa)

Giovanni Ambrosetto

Claire Ananos (documentary film director Saint-Denis, France) the freedom of artistic expression as an irreplaceable tenet of civil coexistence, not to abandon Romeo Castellucci and his work to the circle of solitude which the alliance between the fanaticism of a few people and the widespread reticence of many risks creating around him. “On the Concept of the Face, Regarding the Son of God” must be staged.

Sylvie Ananos Firmo per la libertà dell’espressione artistica un cardine irrinunciabile della nostra esistenza civile, di non lasciare Romeo Castellucci e la sua opera nel cerchio di solitudine che l’alleanza tra il fanatismo di pochi e la reticenza di molti rischia di creargli attorno. “Sul concetto di Volto nel figlio di Dio” deve andare in scena.

Angelo Mai Altrove (spazio indipendente)

Ilaria Angelone Condivido in pieno le argomentazioni contenute nell'appello a favore della messa in scena dello spettacolo di Romeo Castellucci al Parenti. Si tratta di libertà d'espressione: lo spettacolo DEVE poter andare in scena.

Giovanni Anziani (Campobasso) Vorrei esprimere il mio sostegno riguardo allo spettacolo del regista Romeo Castellucci. Spero di poter vedere la sua opera e poi esprimerò il mio parere, ma preventivamente ritengo che lo spettacolo deve andare in scena.

Matteo Antonaci (critico di teatro)

Gennaro Aquino Seguo Castellucci da più di 20 anni. I suoi spettacoli sono sempre necessari e spero di vederne ancora per lungo tempo.

Luca Archibugi (scrittore e drammaturgo)

Alberica Archinto

Associazione Culturale Luminanda

Laura Atie (PhD Studi Umanistici - Comunicazione Arti e Spettacolo Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) Senza se e senza ma, aspetto di assistere allo spettacolo! :)

Antonio Attisani (Università di Torino) Aderisco all'appello, naturalmente.

Antonio Audino (critico teatrale)

Giovanni Azzaroni

Andrea Bajani (scrittore) Aderisco con forza all'appello.

Chiara Balasini Ho visto " Sul concetto di Volto nel figlio di Dio" ad Avignon e ne sono rimasta profondamente colpita. L'opera merita tutta la nostra attenzione. Condivido pienamente il contenuto della vostra mail e lo pubblicherò sulla mia pagina facebook per dare risonanza al messaggio nella speranza che anche questo contributo possa servire per contrastare il muro dell'ottusa ignoranza.

Graziano Ballerini

Francesca Ballico

Matteo Bandini

Giulio Baraldi (attore) non l'ho visto, ma l'intolleranza per l'arte scomoda è davvero intollerabile.

Mario Barzaghi e Rosalba Genovese Il Teatro dell'Albero di Milano si riconosce in questo appello e di fronte a questo atto censorio si unisce alle persone di buon senso e con tutta la sua forza chiede che lo spettacolo "Sul concetto di Volto nel figlio di Dio" della Societas Raffaello Sanzio venga rappresentato come da programmazione. ... Chiediamo ai cittadini, agli intellettuali, agli artisti e a chiunque consideri la libertà dell’espressione artistica un cardine irrinunciabile della nostra esistenza civile, di non lasciare Romeo Castellucci e la sua opera nel cerchio di solitudine che l’alleanza tra il fanatismo di pochi e la reticenza di molti rischia di creargli attorno. “Sul concetto di Volto nel figlio di Dio” deve andare in scena.

Marina Bassani - Teatro Selig Concordo con il diritto alla libertà della diffusione delle opere d'arte! Qualsiasi sia il contenuto!

Mimmo Basso

Paolo Bazzani Ho già acquistato i biglietti per vedere lo spettacolo!!! Non rinuncerei per niente l mondo!!!!!!

Sonia Bedei , Ravenna

marco bellini (docente di storia e filosofia nelle scuole superiori della provincia di rimini)

Marco Belpoliti (scrittore)

Cristina Beltrami

Marco Benazzi La censura preventiva minaccia le fondamenta stesse di una società democratica, ha sempre riconosciuto la Legislazione Americana.

Sonia Bergamasco

Daniela Bergomi

Mariacristina Bertacca (Operatore e Critico Teatrale). Aderisco senz'altro all'appello, in quanto contraria ad ogni tipo di censura. Ognuno ha il diritto e il dovere di esprimere il proprio pensiero e di scegliere la modalità artistico-critica che ritiene più adatta. Starà poi al giudizio di ciascuno spettatore essere d'accordo o contrario alla manifestazione espressiva prescelta. E solo dopo la visione, sarà diritto e dovere dello spettatore avanzare le proprie lodi o le proprie rimostranze, sia rispetto ai contenuti sia rispetto alle scelte artistiche. Sempre senza impedire ed ostacolare il regolare svolgimento dello spettacolo.

Sara Bertelà

Giuseppe Bertolucci (regista)

Mara Bertoni

Simona Bianchi (direttore artistico teatro Ambra alla Garbatella)

Giancarlo Biasini (Cesena)

Giorgio Bicchietti , Forlì

Paolo Bignamini

Nicola Bionda (Direzione Cinema Teatro Gnomo)

Marzia Bisognin (Magicadula) I “se” e i “ma” su uno spettacolo o su un’opera d’arte sono materia del dibattito critico o delle sempre legittime reazioni del pubblico. Ma quando la censura preventiva prende il posto del dissenso e diviene intimidazione, non è più questione di questa o quella interpretazione, è la libertà stessa di interpretare che viene messa in pericolo. E’ quanto sta accadendo con lo spettacolo di Romeo Castellucci “Sul concetto di Volto nel figlio di Dio” in programmazione al Teatro Franco Parenti di Milano: un’orchestrata campagna di minacce e di anatemi lo ha preceduto nel tentativo, sfacciatamente dichiarato, di non farlo andare in scena. Di fronte allo sconfortante avanspettacolo dell’intolleranza che si traveste da diritto di critica e dell’intimidazione che si richiama alla libertà di parola, pensiamo di non potere e di non dovere restare indifferenti. Tanto meno indifferenti nel momento in cui l’offensiva integralista contro lo spettacolo ha rivelato la sua vera natura investendo la persona della direttrice del Franco Parenti André Ruth Shammah con le espressioni dell’antisemitismo più classico ed abietto. Non si tratta di scegliere tra chi dice di aver scritto il suo spettacolo come una preghiera e chi, senza averlo visto, lo accusa di essere blasfemo (due cose che in molte opere d’arte del novecento si sono spesso confuse senza che questo generasse guerre di religione). Si tratta semplicemente di garantire a Romeo Castellucci la prima ed essenziale libertà di ogni arte e di ogni artista: quella di essere compreso o frainteso con cognizione di causa, di essere giudicato secondo la sua opera e non secondo il pregiudizio di un manipolo di fondamentalisti che agita la fede in Cristo come una clava identitaria. Chiediamo ai cittadini, agli intellettuali, agli artisti e a chiunque consideri la libertà dell’espressione artistica un cardine irrinunciabile della nostra esistenza civile, di non lasciare Romeo Castellucci e la sua opera nel cerchio di solitudine che l’alleanza tra il fanatismo di pochi e la reticenza di molti rischia di creargli attorno. “Sul concetto di Volto nel figlio di Dio” deve andare in scena.

Giuseppe Blumetti Cmq mi preoccupa più la reticenza di molte realtà che la cagnara dei protagonisti tradizionalisti.

Paolo Boggio (compositore)

Rossana Bonade

Matteo Bonazzi

Rossella Bonito Oliva

Malvina Borgherini (Università IUAV di Venezia)

Giovanna Botti Lo spettacolo di Romeo Castellucci è stato per me un'esperienza importante e profonda, umana e artistica, un'esperienza che solo il fanatismo e l'ignoranza possono ritenere offensiva. E' indispensabile difendere la libertà dell'arte, al di là di qualunque preconcetto e contro ogni intolleranza.

Silvia Bottiroli (direttore artistico Festival Santarcangelo)

César Brie Lo spettacolo di Castellucci è un capolavoro. Soltanto un anima bigotta e non un vero credente potrebbe mi sembra un lavoro necessario a tutti, agli artisti, al pubblico, a quelli che affrontano il dramma di genitori anziani, a chi si pone nei confronti del divino col cuore e la mente aperte e l'anima inerme.

Simona Brighetti

Sonia Brunelli Morazzone (Varese, medico veterinario)

Ferdinando Bruni e Elio De Capitani (Teatridithalia - Teatro dell’Elfo)

alex brunori Sono totalmente solidale con castellucci e con la necessità da voi espressa di manifestare coralmente sdegno per una censura preventiva priva di senso, per il diritto di ogni artista di manifestare il suo pensiero e di ogni cittadino di poter scegliere.

Adele Cacciagrano

Alessandro Cafiso

Milos Canali , Ravenna

Omero Canali , Ravenna

Camilla Cancellari

Gianni Canova (critico cinematografico, Università IULM)

Roberto Canziani (critico di teatro, Università di Udine)

Laura Capasso (“Vivimilano-Corriere della Sera “)

Francesco Caponegro

Melissa Cappelli

Gaia Carboni

Flavia Cardone (Teatri Uniti)

Roberta Carlotto

Gennaro Carotenuto (storico)

pamela casadio deve andare in scena! e basta!

Nevio Casadio (giornalista)

Stefano Casi

Eugenia Casini Ropa (Direttrice “Danza e Ricerca”)

Antonello Cassinotti

Marco Castellari (prof. aggregato di Letteratura tedesca e di Storia del teatro tedesco, Università degli studi di Milano)

Soriano Ceccanti

Helen Cerina

Elena Cervellati (Università di Bologna)

Lorenzo Cherubini (Jovanotti) Chiaramente aderisco senza riserve. Il lavoro di Romeo è una delle cose di cui andare fieri in Italia.

Sara Chiappori (giornalista)

Tommaso Chimenti L'arte non ha bandiere, non ha bisogno di padri né padroni, né tanto meno padrini, non ha religione. L'arte è. Sembra anacronistico dover continuare a sottolinearlo, oggi. La storia è ciclica. Purtroppo. E non insegna.

Sabrina Ciani

Carla Cigaina E spero anche di poterlo vedere anche in piazze meno grandi di Milano. Sono di Udine. Se fosse possibile massimo appoggio!

Stefano Cima

Renzo Cioni.

Francesca Cogoni

Raffaella Colombo

Matteo Colombo

Renata Colorni

Luciano Coluccia

Compagnia Residui Teatro

Giorgio Concas

Andrea Concetti (cantante lirico) Trovo scandaloso quello che sta succedendo a Milano al Teatro Parenti: uno spettacolo teatrale potrebbe essere bloccato addirittura per intervento del Papa. Uno spettacolo che non è stato visto dai contestatori e che, anche se fosse realmente blasfemo (e il regista dice che non lo è) dovrebbe andare in scena lo stesso. Un fatto che forse non interessa molti, ma che ritengo gravissimo. Una forma così violenta di intolleranza talebana da farmi venir voglia di lanciare un bestemmione dal palcoscenico stasera. Io non ne posso più.

Rita Corli (bibliotecaria)

Silvia Costa (attrice)

Giovanni Croce Ho visto lo spettacolo di Castellucci a Roma e mi è sembrato toccante, di una religiosità suprema: chiedersi "Dove sei Dio?" oppure "Ci sei Dio?" mi sembrano due facce della stessa medaglia umana. Trovo indegna una crociata di questo genere innanzitutto contro l'arte e lo spettacolo, che deve rimanere libero nel nostro Paese, come tra l'altro sancito dalla Costituzione e inoltre contro ogni forma di critica che una società civile deve alloggiare comunque nella propria cultura. Non si può cercare di cancellare il lavoro di un grandissimo autore e regista come Castellucci, famoso a livello mondiale, per una diceria: chi ha emanato questa "fatwa" vada prima a vederlo!

Roberto Cuppone Non sono certo un mangiapreti, eppure anche a me da giovane è capitato uno dei rari casi di serrata clericale di un teatro: un teatro diocesano di treviso ci ha chiuso le porte in faccia, alla mia compagnia e subito dopo a quella di paolini per lo stesso genere di lettere intimidatorie che avevano preceduto lo spettacolo. se c'è qualche petizione, aderisco.

Masolino D’Amico E’ triste per non dire inconcepibile dover intervenire in un caso come questo – tentativo di censura preventiva! a teatro!!! – ma per quanto possa essere utile, naturalmente Castellucci e il suo diritto ad andare in scena hanno tutta la mia solidarietà.

Luciana Dabalà

Sara Dal Corso

Marzia D'Alesio

Corrado d’Elia (regista e attore)

paolo dalla sega

Daria Dall'Olio , Ravenna

Titti Danese totale adesione all'appello. No al boicottaggio dello spettacolo, SUL CONCETTO DI VOLTO NEL FIGLIO DI DIO, no a ogni forma di intolleranza

Emma Dante - Compagnia Sud Costa Occidentale

Giancarlo De Cataldo

Daria Deflorian (attrice)

Alfredo Reichlin

Pippo Delbono (regista e attore)

Marco De Marinis (docente universitario)Aderisco con totale convenzione e forte indignazione all'appello lanciato da Marino, Ponte di Pino e Scarpellini. Se lo spettacolo di Castellucci venisse bloccato sarebbe una sconfitta per l'intero teatro italiano, anzi per l'intera società italiana, un arretramento spaventoso, la ricaduta in un oscurantismo e un'intolleranza degni del nostro peggiore passato, un inaccettabile riconoscimento alla chiesa cattolica di un vero e proprio diritto di veto anche in campo culturale.

Philippe, de Pierpont (sceneggiatore/regista cinema) BRAVI! Sono adesso in Belgio ma sono con voi... e con Romeo Castellucci

Francesca De Sanctis giornalista e critica di teatro

Alessandra De Santis – Teatro delle Moire Ho visto lo spettacolo di Castellucci a Dro nell’estate del 2010 insieme ad Attilio Nicoli che dirige con me il Teatro delle Moire. Il primo effetto che ha sortito è stato quello di indurci a rinunciare agli altri spettacoli a seguire che avevamo prenotato. Avevamo bisogno di un po’ di silenzio. Personalmente ero molto scossa, commossa. Pensavo alla malattia di mio padre che è poi morto la scorsa estate e a tutte quelle domande sul senso della vita che affiorano nei momenti più dolorosi. Mai, nemmeno un istante la mia immaginazione si è soffermata sulla questione del volto del Cristo colpito dalle bombe o invaso da un nero liquido. Non era questo il punto focale. Scene forti, di grande impatto emotivo certamente, iperboli visive come qualcuno giustamente ha scritto, ma mai percepite come atti di provocazione gratuita. Scene che pongono delle questioni, che aprono delle domande, che ci fanno interrogare sul sacro. Credo sia questo il compito dell’arte: interrogare, spostare, trasformare. Percepisco molta ignoranza attorno a questa faccenda, anche ignoranza rispetto al lavoro stesso di Castellucci, che penso la maggior parte dei suoi detrattori non abbia nemmeno visto. E poi violenza. Una gran voglia di esercitare la propria forza, scaricare la propria aggressività cercando il primo pretesto possibile. Militia Christi! Fa paura questo nome che è già una contraddizione in termini. Strano però che Castellucci abbia fatto lo stesso spettacolo in altri luoghi in Italia e solo qui a Milano sia scoppiato il caso. Forse le milizie sono state avvisate in ritardo? Immagino una situazione che forse ha del grottesco, ma non credo sia poi così inverosimile, in cui qualcuno legge per caso qualcosa a proposito di un Cristo, una scena, bombe, bambini, liquidi, corpi in disfacimento ed ecco scatta l’allarme per la nuova crociata! Non si aspettava altro. Pare che ormai sempre non si aspetti altro che trovare qualcuno o qualcosa contro cui avventarsi senza capire, senza ascoltare, senza chiedersi alcunché. E tutti parlano, scrivono, discettano non conoscendo affatto l’oggetto del contendere. Emblematica in questo senso è anche la recente tragedia del Costa Concordia di fronte alla quale anziché scegliere un doveroso silenzio, lasciando spazio solo alla compassione e attendendo che la legge faccia eventualmente il suo corso, si è subito attivato il circo mediatico ed una opinione pubblica rumorosa, ansiosa di linciaggi e facili sentenze alla ricerca di eroi e capri espiatori. Ad ogni modo auspico anzi, noi tutti del Teatro delle Moire, auspichiamo che lo spettacolo si faccia senza scontri né censure.

Andrea De Silvestri (Avvocato Diritto d'Autore, Media & Spettacolo)

Filippo Del Corno (compositore)

Paolo Delpino

Dewey Dell (Agata Demetrio Eugenio Teodora)

Alberto Deriu

Francesca D'Este (Compagnia Teatrale Questa Nave-Teatro Aurora) Se non è tardi, dico che lo spettacolo della Societas deve andare in scena. Lo dico da atea per soffertissima 'conversione' dopo 27 anni di fede e pratica religiosa non superficiali, che ha conservato grande rispetto per la Chiesa e i suoi Pastori. Credo che quando la chiesa o chi per essa agisce in questo modo tradisce se stessa, i suoi valori. Gli integralisti sono sempre stupidi e da condannare.

Elena Di Gioia

Davide Di Lascio laureato in lettere, e laureando alla facoltà "discipline dello spettacolo dal vivo" di Bologna.

Vittorio Di Matteo (Ingegnere Agenzia di Rating)

Piersandra Di Matteo Studiosa di Teatro - Dipartimento di Musica e Spettacolo - Università di Bologna

Paolo Di Stefano (scrittore e giornalista)

Maud Dreano (amministratrice, fr)

Ignazio Drudi (Docente Universitario Università di Bologna)

patrizio esposito

roberto fabbi in questi giorni mi sono chiesto: e anche se lo fosse, blasfemo? siamo sotto tutela?

Eva Fabbris

Monica Faggiani (Teatri Possibili)

Silvia Fanti XING, Bologna

Fanny & Alexander

Renzo Francabandera (giornalista di teatro)

Caterina Fantuz (artista del coro)

Flavio Favelli

Massimiliano Ferrari (attore indipendente ligure)

Franco Ferrari Ringraziamo la Santa Sede per averci dimostrato ancora una volta di aver paura del libero pensiero, per aver ceduto ancora una volta all'intolleranza e all'autoritarismo, e per aver rinvigorito la nostra fede nella funzione del teatro. Qualcuno spieghi al Vaticano che l'Italia è uno Stato aconfessionale e da tempo non è più la provincia più sottomessa dell'impero cattolico. VIVA LO SPETTACOLO DI CASTELLUCCI. VIVA IL TEATRO FRANCO PARENTI

Festival delle Colline Torinesi -Torino Creazione Contemporanea

Costanza Firrao segreteria nazionale Libertà e Giustizia - Milano

Iaia Forte

Ivana Franceschini

Lorenzo Franzi (fotografo) Ho seguito oggi pomeriggio su radio 3 fahrenheit che trattava proprio il caso dell'intimidazione partita proprio dal n 3 della santa sede. aderisco e sottoscrivo l'appello dei critici.

Paolo Fusi (musicista)

e n r i c o g h e z z i raitre/fuoriorario Aderisco assolutamente in nome del nostro nonpotere/nonsapere, assoluto e indeterminato.

Paola, Gabrielli (collaboratrice “Corriere della Sera”)

Renato Gabrielli

Alessandra Gagliano Candela , Genova

Bruna Gambarelli, Febo Del Zozzo, Federica Rocchi - LAMINARIE/DOM La cupola del Pilastro

Roberta Gandolfi (ricercatrice, Università di Parma)

Giacomo Garaffoni (attore e regista)

Giancarlo Garoia , Forlì

Daniele Gasparinetti XING, Bologna, già docente di Antropologia dello Spettacolo presso il DAMS di Bologna

Silvia Gatto Mi trovo purtroppo a dover firmare di nuovo una petizione in difesa del bellissimo spettacolo di Castellucci che ho visto a Parigi in condizioni di massima sicurezza.

Gianni Gherardi (giornalista)

Irene Giacché (Editore, La Spezia)

Roberto Giambrone (giornalista di teatro )

Fabrizio Gifuni

Marialuisa Giordano incazzata delusa e nonostante l'età avanzata ancora stupita dell'ignoranza e cattiveria e provinc
 


 

Ciao, Maurizio
Si è spento a Reggio Emilia Maurizio Viani, creatore di luci negli spettacoli di Leo
di Francesca Mazza

 



Ieri, 25 gennaio, si è spento a Reggio Emilia, dopo lunga malattia, Maurizio Viani.
Il funerale si svolgerà alle h.11,00 di sabato 29 partendo dalla camera ardente di Reggio Emilia, in via Benedetto Croce.

I frequentatori del teatro l’hanno conosciuto soprattutto come creatore di luci negli spettacoli di Leo de Berardinis ma aveva cominciato come burattinaio con Otello Sarzi. Passato alla Cooperativa Nuova Scena aveva iniziato a lavorare come illumino-tecnico negli spettacoli di Francesco Macedonio. Proprio nella cooperativa bolognese aveva incontrato Leo e dato inizio ad una lunga collaborazione che ha probabilmente segnato il suo periodo creativo più felice e ha lasciato nella memoria degli spettatori il ricordo di un lavoro di grande suggestione e raffinatezza, unico e personale, da vero artista della luce. Nel segno di una continuità, aveva proseguito come ideatore delle luci negli spettacoli di Bucci- Sgrosso e Vetrano e Randisi, già attori della compagnia di Leo. Tra le altre collaborazioni si ricordano quelle con Alessandro Benvenuti, Danio Manfredini, Davide Iodice, Alfonso Santagata, Raffaella Giordano, Angela Finocchiaro e col maestro Muti Non aveva ceduto alle seduzioni delle strumentazioni tecnologicamente avanzate: quando era in consolle non usava memorie computerizzate ma solo le mani, come un pianista alla tastiera. Le sue luci respiravano, pulsavano, quasi fossero battute teatrali, disegnavano gli spazi in geometrie, rendendo espressivo anche il buio e le penombre.
 


 

Sul concetto di volto nel Figlio di Dio, a Milano
La versione integrale della lettera in esclusiva per ateatro
di Romeo Castellucci, Socìetas Raffaello Sanzio

 

www.ateatro.it sta seguendo con attenzione la querelle intorno allo spettacolo della Societas Raffaello Sanzio Sul concetto di volto nel Figlio di Dio, a Milano: gruppi di fondamentalisti cristiani hanno deciso di boicottare lo spettacolo, attaccando il Teatro Franco Parenti che lo ospita (e minacciando la sua direttrice Andrée Ruth Shammah, attaccata personalmente in un vomitevole rigurgito di antisemitismo).
Invece di dissociarsi da questa ignobile campagna, da parte cattolica voci autorevoli hanno commentato: "Beh, quel teatro avrebbe dovuto essere un po' più cauto, prima di ospitare uno spettacolo del genere". Un po' come Andreotti, quando si è lasciato scappare che in fondo l'avvocato Ambrosoli, per aver fatto il suo dovere, "se l'era andata a cercare". Anche il Teatro Franco Parenti ha semplicemente fatto il suo dovere, portando a Milano uno spettacolo importante, di una compagnia importante (da anni praticamente esclusa dalla programmazione cittadina), prodotto e ospitato da festival e teatri importanti.
In risposta a quesi attacchi, Romeo Castellucci ha scritto una lettera aperta, che qui pubblichiamo nella versione originaria, più ampia di quella diffusa alla stampa. Inutile ricordare che si tratta di un invito alla discussione, e alla riflessione, fuori dalla logica dello scandalo e della sopraffazione che sta distorcendo la ricezione dello spettacolo. (n.d.r.)


Questo spettacolo nasce dalla considerazione dell’odierna ed estrema solitudine del Volto di Gesù.

Questo spettacolo vuole essere una riflessione sulla difficoltà del 4° comandamento se preso alla lettera. Onora il padre e la madre. Un figlio, nonostante tutto, si prende cura del proprio padre, della sua incontinenza, del suo crollo fisico e morale. Crede, senza conoscerlo, in questo comandamento. Fino in fondo. Fino in fondo il figlio sopporta quella che sembra essere l’unica eredità del proprio padre. Le sue feci. E così come il padre anche il figlio sembra svuotarsi del proprio essere. La kenosis troppo umana di fronte a quella divina.

Questo spettacolo è una riflessione sul decadimento della bellezza, sul mistero della fine. Gli escrementi di cui si sporca il vecchio padre incontinente non sono altro che la metafora del martirio umano come condizione ultima e reale. Gli escrementi rappresentano la realtà ultima della creatura, ma anche il vocabolario quotidiano del linguaggio d’amore che il figlio porta al proprio padre.

Questo spettacolo mostra sullo sfondo il grande volto del Salvator Mundi dipinto da Antonello da Messina. Tutto lo svolgimento della scena non è che un piano-sequenza molto semplice che descrive tutti i tentativi del figlio di pulire e ridare dignità al vecchio genitore. Invano. Gesù, il Salvator Mundi, è il testimone muto del fallimento del figlio.

Questo spettacolo ha scelto proprio il dipinto di Antonello a causa dello sguardo che il pittore ha saputo imprimere all’espressione ineffabile del volto di Gesù. Questo sguardo è in grado di guardare direttamente negli occhi ciascuno spettatore. Lo spettatore guarda lo svolgersi della scena ma è a sua volta continuamente guardato dal volto. Questa economia dello sguardo obbliga, perché interroga, la coscienza di ciascuno spettatore come spettatore. Il Figlio dell’uomo, messo a nudo dagli uomini, mette a nudo noi, ora. Questo ritratto di Antonello cessa di essere un dipinto per farsi specchio.

Questo spettacolo, quando le condizioni tecniche lo rendono possibile, vede l’ingresso di un gruppo di bambini. Entrano in scena con le loro cartelle di scuola che svuotano presto del loro contenuto: si tratta di granate giocattolo. Uno a uno cominciano a lanciare queste bombe sul ritratto.
E’ un crescendo. Ad ogni colpo corrisponde un frastuono. Nel climax delle deflagrazioni, imitanti degli autentici colpi di cannone, nasce dapprima una voce che sussurra il nome di Gesù, poi si moltiplicano fino a diventare tante e tutte ripetono quel nome. Poi, sul finire dell’azione e come fosse il prodotto di quei colpi, nasce un canto: il “ Gloria Patri – Omnis Una “ di Sisak. I colpi delle bombe diventano la musica del suo nome. In questa scena non ci sono adulti.
Ci sono innocenti contro un innocente. La violenza rimane nel gesto adulto mentre l’intenzione è quella del bambino che vuole l’attenzione del genitore distratto. Il bambino ha fame, come si dice nel salmo 88: Dio non nascondermi il tuo Volto.

Questo spettacolo, quando le condizioni tecniche di ciascuna sala teatrale lo rendono possibile, prevede in un momento l’uso dell’odore di ammoniaca. L’ammoniaca, come si sa, è l’ultima trasformazione possibile, l’ultima fattuale transustanziazione dell’uomo, l’ultima esalazione del corpo umano nella morte: le spoglie dell’uomo si trasformano in gas, in aureola. Il “profumo” dell’uomo. Il suo saluto alla terra.

Questo spettacolo - come tutto il Teatro Occidentale che trova fondamento nella problematica bellezza della Tragedia greca - obbedisce alle sue stesse regole retoriche: è antifrastico, utilizza cioè l’elemento estraneo e violento per veicolare il significato contrario. La violenza qui significa, omeopaticamente, la ricerca e il bisogno di contatto umano; così come allo stesso modo un bacio può significare tradimento. La lezione della Tragedia attica consiste in questo: fare un passo indietro: rendersi disumani per potere meglio comprendere l’umana fragilità.

Questo spettacolo nasce come un getto diretto delle e dalle Sacre Scritture. Il libro dell’Ecclesiaste, la Teodicea del Libro di Giobbe, il salmo 22, il salmo 23, i Vangeli. Il libro della Tragedia appoggiato su quello della Bibbia.

Questo spettacolo mostra, nel suo finale, dell’inchiostro nero che emana - achiropita, non per mano d’uomo – dal ritratto del Cristo. Tutto l’inchiostro delle sacre scritture qui pare sciogliersi di colpo, rivelando un’ icona ulteriore: quella che scavalca ogni immagine e che ci consegna un luogo vuoto.

Questo spettacolo mostra la tela del dipinto che viene lacerata come una membrana, come un sideramento dell’immagine. Un campo vuoto e nero in cui campeggia luminosa una scritta di luce, scavata nelle tavole del supporto del ritratto: Tu sei il mio pastore. E’ la celebre frase del salmo 23 di Davide. La scrittura della Bibbia ha perso il suo inchiostro per essere espressa in forma luminosa. Ma ecco che quando si accendono le luci in sala si può intravedere un’altra piccola parola che si insinua tra le altre, dipinta in grigio e quasi inintelligibile: un non, in modo tale che l’intera frase si possa leggere nel seguente modo: Tu non sei il mio pastore.
La frase di Davide si trasforma così per un attimo nel dubbio. Tu sei o non sei il mio Pastore?
Il dubbio di Gesù sulla croce Dio perché mi hai abbandonato? espresso dalle parole stesse del salmo 22 del Re Davide. Questa sospensione, questo salto della frase, racchiude il nucleo della fede come dubbio, come luce. E allo stesso tempo è sempre lei, la stessa domanda: essere o non essere?
O piuttosto: essere E non essere.

Questo spettacolo è una bestemmia, come la croce è bestemmia romana, come la corona di spine è bestemmia romana, come Gesù condannato, perché ha bestemmiato. Nel libro dell’Esodo la sola pronuncia del nome di JHWH è bestemmia. Dante scrive una bestemmia nel canto XXV dell’Inferno. Venerare il volto di Cristo nelle icone era bestemmia e idolatria per i cristiani bizantini prima del Concilio di Nicea. Galileo bestemmia quando dice che la terra gira intorno al sole.
Vedere il proprio padre perdere le feci per casa, in cucina, in salotto è bestemmia.

Questo spettacolo non è esatto, questo spettacolo è merda d’artista.


 



a cura di a m m (anna maria monteverdi)
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Robert Lepage l'inarrestabile
Dal Cirque du Soleil a Wagner
di Anna Maria Monteverdi

 

Un successo senza fine
Chi visita il sito ufficiale di Ex Machina, la struttura di Robert Lepage con quartier generale a Québec City, fa fatica a crederci. Il numero di allestimenti e produzioni (concerti, spettacoli di prosa e d'opera, installazioni luminose, proiezioni videoarchitettoniche, pubblicazioni fotografiche d'arte) che la R. L. inc. firma annualmente è impressionante, come impressionante è il numero di spettacoli in tournée contemporaneamente in tutto il mondo da anni, cosa assolutamente impensabile per qualunque produzione italiana.
La Face Cachée de la Lune (che ha debuttato nel 2001) è di ritorno da un tour in Grecia, Andersen Project (realizzato nel 2005) sarà negli States nel 2012, Le Dragon Bleu è ora in Canada, Eonnagata in Giappone, The Nightingale and Other Short Fables in Olanda, Lypsinch in Australia, mentre New York ha chiuso l'anno con Il crepuscolo degli dei a firma di Lepage al Metropolitan.



Nel giro di pochi anni Lepage ha firmato uno spettacolo di ispirazione shakesperiana (The Tempest), interpretato da nativi in esclusiva per una regione del Canada, il Wendake; una gigantesca proiezione videoarchitettonica sui silos del porto di Québec City per i 400 anni della fondazione della città (The Image Mill) e due scenografie per il Cirque du Soleil (compagnia internazionale di nuovo circo con base a Montréal, fondata nel 1984 da Guy Lalibertè e Daniel Gauthier). Si tratta di Totem (2010, set designer Carl Fillion) e Ka (2005, spettacolo stabile al MGM Theatre di Las Vegas; set designer Mark Fischer, l'architetto che ha firmato anche i concerti dei Pink Floyd e degli U2; una scheda completa su Wikipedia).
Ma la vera fatica titanica lo ha visto impegnato, a partire dal 2008, nella regia dell'intera tetralogia wagneriana per il Metropolitan di New York diretto dal maestro James Levine. Il ciclo dell’Anello dei Nibelunghi è stato inaugurato la scorsa stagione con Das Rheingold e Die Walküre, è proseguito con Siegfried nell'ottobre 2011 e si è concluderà nel gennaio 2012 con Die Götterdämmerung; l’intero ciclo verrà riproposto al MET nella sua interezza tra il 25 aprile e il 2 maggio 2012. Ogni produzione di Lepage è un evento accolto con enorme entusiasmo dal pubblico (ma non sempre con eguale entusiasmo dalla critica), a cui seguono girandole di premi, riconoscimenti prestigiosi che a loro volta attirano nuove commissioni milionarie. Anche il MIT di Boston lo ha recentemente insignito di un premio, l'Eugene McDermott Award in the Arts (allegato un assegno di 80,000 dollari).
E' passato molto tempo dall’epoca in cui, per finanziare i suoi primi film negli anni Novanta, come ricordava in un'intervista, era irritato alla sola idea di andare a chiedere finanziamenti per i suoi progetti artistici, a un "civil servant". Oggi sono le grandi Fondazioni, i teatri internazionali a contenderselo a suon di milioni di dollari.

L’opera: a great meaning place
Nonostante il notevole cambio di scala rispetto ai palcoscenici e al pubblico degli inizi, la coerenza artistica di Lepage è degna di nota. Il regista e interprete quebecchese trasporta temi, motivi e idee del teatro di ricerca in territori a esso insoliti: negli stadi per i megaconcerti pop o nelle opera house per i classici della musica lirica, veicolando in spettacoli per il grande pubblico la profondità narrativa, la visionarietà immaginifica e l’ingegno tecnico che caratterizza i suoi spettacoli teatrali. Le sue scene impongono anche un certo impegno acrobatico agli attori/ballerini/cantanti: la struttura metallica ideata per il Growing Up Tour, che si staccava da terra per salire verso l'alto, obbligava Peter Gabriel a cantare a testa in giù; in Ka gli artisti precipitano dall'alto di una piattaforma; nel ciclo wagneriano i cantanti cavalcano imponenti quanto virtuali cavalli, in bilico su una struttura alta otto metri.



Ka.

Nella piattaforma ideata per la tetralogia di Wagner è il movimento stesso della macchina scenica (insieme con le luci e le proiezioni videodigitali) a creare una drammaturgia e un interessante dialogo con l’attore: alzandosi verticalmente, disponendosi perpendicolarmente, accogliendo videoproiezioni, essa evoca molteplici "luoghi": montagne altissime, profondità marine, assolati campi di battaglia.
Nel momento in cui si attraversano altri territori dell'arte, la qualità della ricerca teatrale non si disperde, ma si estende ai diversi luoghi dello spettacolo, modificandone le convenzioni, che si tratti di un teatro d’élite o di pura spettacolarità musicale:

I've worked a lot with Peter Gabriel; his music isn't operatic, but he creates big, popular gatherings to which architecture, dance and music are all invited. Opera needs a major makeover; the large opera houses are too in thrall to their conservative patrons. Opera should be a place for art forms to meet. It includes music, litterature, architecture, set designing, fine arts, choreography. Opera is a great meaning place.”

E’ proprio nell'ambito dell'opera che Lepage si è cimentato per la prima volta con la sua sperimentazione scenica più ardita, un’architettura in grado di accogliere immagini 3D ed effettistica cinematografica: l’ha utilizzata nella messinscena di La Damnation de Faust da Berlioz nel 1998 (rimasto in repertorio all'Opera di Parigi dal 2000 al 2005).



La Damnation de Faust.

Nella versione del 2008 per il Met, Lepage vi aggiungerà anche un sistema di motion capture che cattura i movimenti dei cantanti e integra attori e immagini in una scena dall'aspetto di un enorme videowall. Un modo, come lui stesso racconta, per "tentare di illustrare l'energia della musica di Berlioz, estenderla non decorarla". La tecnologia amplifica l'energia della musica perché:

“The survival of the art of theatre depends on its capacity to reinvent itself by embracing new tools and new languages. In a way, innovators in both arts and sciences walk on parallel paths: they have to keep their minds constantly open to new possibilities as their imagination is the best instrument to expand the limits of their fields.”

Macchine di scena: dalla Hamletmachine alla Walhalla Machine
E' impossibile dissociare Lepage dal suo giovane e altrettanto geniale stage designer Carl Fillion, con il quale crea da sempre le macchine sceniche per le quali è universalmente acclamato. Con Fillion ha dato vita al mondo d'ombre viventi e video di The Seven Streams of the River Ota; al dispositivo rotante di Elsinore, il marchingegno per il suo più folle progetto di one-man-show; ai pannelli scorrevoli, specchianti e proiettabili di La Face Cachée de la Lune.
E' Carl Fillion a spiegare il segreto con cui egli trasforma un'unica scena, da un’idea iniziale discussa insieme con Lepage, in un vortice infinito di luoghi:

“I like to transform the scenic environment by creating elements that move and turn, on stage, in full view of the audience. My main visual signature as a designer can be found in the way I sculpt the space and keep it in motion.”

Come ha notato Deborah Zoratti nella sua tesi di laurea al Dams di Imperia, la matrice della metamorfica macchina scenica di Ka (e, aggiungiamo noi, anche del ciclo wagneriano) non è altro che il dispositivo girevole ideato per Elsinore, seppur in una scala monumentale, adatta a sostenere volteggi, acrobazie, proiezioni.



Elseneur .

In Elsinore un unico elemento scenico, un dispositivo di alluminio mobile e rotante, attraverso le sue molteplici possibilità di movimento e attraverso la relazione che instaura con il personaggio che abita dentro i suoi meccanismi, mostra un’indivisibile polarità: l'empietà della corte e la lealtà di Amleto. L’unico suo attributo è la trasformabilità.
Carl Fillion ha raccontato di aver creato un prototipo basandosi dapprima sull'immagine, fornita dal regista, di un monolite, e poi sul movimento del corpo umano; la forma finale è quella di un cerchio inscritto in un quadrato (all'interno del quale si trova il rettangolo, in forma di apertura-varco): è il simbolo dell'armonia, della perfezione e dell'uomo stesso. Un pianale metallico quadrato può alzarsi in verticale a 180°, sollevarsi parallelamente al palco, diventando di volta in volta muro, soffitto o parete. Il dispositivo (chiamato “the Machine”) contiene, invisibile, un disco circolare, solidale con la parete o autonomamente mobile, che permette ulteriori rotazioni, lente o veloci. Collocato esattamente al centro del disco, un varco rettangolare che viene usato come una porta, finestra o tomba.
Alla struttura furono poi aggiunti due schermi laterali e un fondale. La scena, oltre alla struttura mobile, era così costituita da tre pareti modulari: quelle che affiancano la scena furono ricoperte di spandex e servivano per proiettare le immagini (in movimento e fisse) in diretta, raddoppiando Amleto, ingigantendolo o sezionandone una porzione del volto, producendo l'effetto di una visione stereoscopica (la visione contemporanea ma separata dei due occhi). Anche il dispositivo “monolitico” poteva diventare schermo proiettabile. La tecnologia non altera il dramma: lo esalta.



Per la regia del ciclo wagneriano, Lepage ha chiamato a collaborare, oltre al solito Fillion, anche i collaboratori tecnici, artisti, videomaker, i creatori di effetti visivi, persino i produttori esecutivi del Cirque du Soleil, forse gli unici in grado di garantire un allestimento all'altezza di un teatro dalla fama colossale come il Metropolitan di New York.
Anche Josef Svoboda disegnò le scene della tetralogia di Wagner Der Ring des Nibelungen, e addirittura per tre volte: al Covent Garden a Londra (1974-76), al Grand Théâtre di Ginevra (1975-77) e al Théâtre Antique d'Orange, in Francia (1988). La versione londinese, in cui lo scenografo cecoslovacco utilizzò il laser, è quella più vicina alla ipertecnologica versione di Lepage. E tra Svoboda e Lepage non bisogna dimenticare la versione "techno" dell'Anello dei Nibelunghi a firma della Fura dels Baus.



Per l'atmosfera del Crepuscolo degli dei, Lepage libera la scena di qualunque oggetto, per ospitare un unico monstrum leonardesco che sembra uscito dalle mani di un alchimista d'altri tempi, un erede naturale della fantasia avanguardista di Svoboda, quando diceva:

"Scenography is the interplay of space, time, movement and light on stage".

Ecco allora il protagonista incontrastato della scena wagneriana di Lepage: l'enorme macchina progettata da Fillion per l'intera tetralogia, vera opera di ingegneria meccanica, composta di 45 elementi di fibra di vetro ricoperta di alluminio: ciascuno di questi elementi, a sezione triangolare, è lungo 9 metri ed è mobile autonomamente rispetto agli altri; può sollevarsi e ruotare di 360°, grazie a un complesso sistema idraulico che permette un gran numero di forme differenti.

Può diventare, a seconda delle necessità, la spina dorsale di un dragone, una montagna o il cavallo delle Valchirie:



Lepage spiega che:

“What happens in
Das Rheingold is that we’re in a world of mists and lightning, and fire and water, an elemental realm. That’s why the set is morphing into these elements that remind us of rocks and spines. As we move on, and the Ring tells the story of demigods and human being and eventually of society, and social classes and ranks, the set slowly moves toward architectural propositions.”

L'inclinazione variabile dei piani si presta a un gioco di voli di scale che fa ricordare i disegni di Adolphe Appia per Wagner.



Das Rheingold .

I movimenti dell'architettura di scena (costruita da Scène Éthique di Montréal) avvengono con intervalli da 5 o 10 minuti e sono controllati in parte a mano in parte da un computer.
Per le scene della foresta in Siegfried Lepage ha fatto ricorso a un uso - pare - strabiliante e fortemente realistico del 3D senza visori da parte del pubblico.

"It was important that we create a theatre machine that would be similarly versatile — a set that had its own life and could actually go through different metamorphoses but, at the same time feel very organic. Very early on, we decided to create a spine to the set that allows us to move things and articulate things. So the set is actually not only illustrating some of the ideas in the Ring, but it’s also literally supporting the characters and the ideas...it was important for us that the set be very nimble, very flexible, very adaptable, and alive, so that it not only moves, but it also breathes".

Verrà chiamata la Walhalla Machine. In azione per la Cavalcata delle Walkirie, da vera diva strappa applausi a scena aperta.



Sulla superficie di questi assi, che ricordano i tasti di un gigantesco pianoforte ma anche, nei movimenti, i mostri fantascientifici di Dune, vengono proiettate immagini in videomapping, a mostrare alberi della foresta, caverne, le acque del Reno. Sono state usate sia immagini statiche sia immagini interattive, ottenute grazie a un sistema di motion tracking.
Réalisations Maginaire inc., ha realizzato gli effetti video 3D e interattivi gestiti dal software Sensei.




La macchina scenica complessiva è di tali proporzioni e di tale pesantezza (45 tonnellate) che il Metropolitan ha fatto sapere di aver rinforzato il palcoscenico. I giornali hanno parlato di "un'affascinante combinazione di complessa tecnologia e semplicità estetica", "tradizionale e rivoluzionario", ma anche di una produzione “troppo simile a un musical di Broadway", mentre il NYT è stato ancora più freddo, titolando la sua recensione: Ring vs Spiderman.
La produzione rimarrà dunque negli annali per l'impiego di una tecnologia avanzatissima e per il numero straordinariamente alto di tecnici e progettisti, e di conseguenza anche perché si tratta di uno dei più costosi allestimenti teatrali di tutti i tempi (si parla di 16 milioni di dollari). La cosa non sembra aver preoccupato molto Peter Gelb, general manager del Metropolitan, dal momento che ha venduto l’esclusiva della diretta HD ai teatri e ai cinema di quaranta paesi. Per Lepage, dunque, un sold out esteso a tutti i media del pianeta.




 


 

Un imbroglione con un senso etico fortissimo
Un’intervista a Luca Ronconi sul teatro di Rafael Spregelburd dopo il debutto della Modestia
di Oliviero Ponte di Pino

 

Per la prima parte di questa intervista vedi Uno spettacolo infinito di un teatro in fuga.
Vedi anche Per una fenomenologia dell'attore (con risata). Due week end a Santarcangelo 41, con una divagazione sulla Modestia a Spoleto.

Nel corso delle prove, rispetto alla tua lettura del testo di Spregelburd e al progetto iniziale, quanto spazio è rimasto a te e agli attori per cambiare la tua visione della commedia e dello spettacolo?
La prima cosa che ho detto agli attori, il primo giorno di prova - e a quel punto si sono quasi spaventati - è: “Guardate che io non sono per niente preparato. Non ho un progetto già fatto, ma credo di conoscere molto bene la commedia. Però non mi sono posto il problema di quello che ne deve venir fuori.” Non è che mi capiti sempre di trovarmi in una situazione del genere, ma in questo caso ci ho voluto provare.

Mentre di solito, quanto inizi a provare, hai già preparato la messinscena nei dettagli? Dalla caratterizzazione dei personaggi ai movimenti degli attori…
No, questo non mi capita mai. In questo caso avevo in mente diverse ipotesi, diciamo tre o quattro possibilità di lettura del testo o di una determinata scena. Secondo me questo è un buon punto di partenza. In genere mi dico: “Beh, questa scena potrebbe essere così, ma potrebbe anche essere fatta in quest’altro modo”. È una logica combinatoria: le commedie di Spregelburd sono costruite proprio così, ed è per questo che mi piacciono. Dunque penso che il mio fosse l’atteggiamento giusto per affrontare un testo come questo… Poi, come sempre, durante le prove sono arrivati momenti di difficoltà. E la difficoltà può essere risolta pensando: “Beh, forse questa cosa qui è quest’altra”.

Quando parli di momenti di difficoltà, puoi fare un esempio?
Penso alla scena che viene dopo che hanno annaffiato María Fernanda per spegnere l’incendio. Quando si passa all'altra situazione, quella “russa”, e l’attrice che interpretava María Fernanda diventa Leandra, la didascalia spiega che è “bagnata”: la situazione viene giustificata drammaturgicamente spiegando che Leandra era uscita per cercare Terzov e facendole dire che “pioveva tanto che non...”. Stranamente questo scambio di battute non funzionava, perché si tratta una giustificazione meschina. Allora ho pensato: “Se qui a raccontare la storia, a motivare la situazione di Leandra, non fossero i personaggi, ma fossero gli attori?” Insomma, immaginiamo che in quel momento gli attori si inventino una storia, lì per lì, in modo da giustificare quello che è già successo. Non so se sia giusto o no, se l'autore ci avesse pensato mentre scriveva la pièce. Però in scena funzionava molto bene. Siccome la commedia è fatta tutta a puzzle, se una cosa s'incastra vuol dire che va bene. Così nello spettacolo ci sono alcune scene in cui gli attori, invece che essere i personaggi dell'una o dell'altra storia, si danno consigli a bassa voce.

È una soluzione che per certi versi contraddice il tuo atteggiamento nei confronti del testo.
Spregelburd lavora per citazioni, rimandi, frammenti, e per accumulo. Dunque è come se mettesse moltissime virgolette all'interno della sua scrittura drammaturgica. In genere, tu hai lavorato con gli attori proprio togliendo queste virgolette, chiedendo loro di prendere il testo alla lettera, battuta dopo battuta: “Siete in questa situazione, e dunque dover comportarvi di conseguenza”.
Ma contemporaneamente, quando gli attori sono in una delle due situazioni, diciamo nella vicenda russa, sono anche in quell’altra, quella sudamericana…

Però introducendo questo gioco del teatro nel teatro, è come se aggiungessi altre virgolette.
C’è un’altra situazione di questo genere nel finale.

Ti riferisci al crollo?
No, ancora dopo. Tutta la confusione finale… Accade un po’ come in altre commedie di Spregelburd: sembra che l’autore non riesca a venire a capo di tutti i fili che ha tirato. E allora, per giustificare quello che è accaduto, arriva quel finale. Ma perché bisogna giustificarlo? Il finale è quello, e basta… Ma può essere utile anche tener presente che questo testo Spregelburd l’ha anche interpretato: faceva la parte di Terzov/San Javier, quindi la parte dell'autore. Io sono sicuro - è una mia illazione, ma puoi anche essere sicuro delle tue illazioni, anche sapendo che restano illazioni… - sono sicuro che Spregelburd, recitando quel testo e occupandosi anche della regia, fosse anche un po’ curioso di vedere quello che combinavano gli altri personaggi. La situazione del suo personaggio è quella di chi capita in una certa situazione, non sa bene che cosa stia succedendo ed è curioso di capire come potrà evolvere. È quasi una posizione autoriale: sembra un po' un autore di fronte a un gruppo di personaggi liberi. Nella Modestia ci sono otto personaggi, quattro per ciascuna delle due situazioni, ma potrebbero anche essere dodici, perché c’è anche l’essere attore dei personaggi. Infatti ci sono nello spettacolo diversi momenti in cui questa chiave funziona benissimo. Tanto è vero che a un certo punto ho pensato che non fosse necessario fare dei passaggi così scanditi, bruschi, tra le due situazioni, quella “russa” e quella “sudamericana”. Nei primi quadri è utile e giusto far capire che c’è un cambio di scena: si vedono anche mobili e oggetti che si spostano a vista, per indicare il cambio di situazione, perché in una pièce a chiave è necessario avvertire gli spettatori che esiste una chiave. Però, una volta che la chiave è stata enunciata, non è più necessario seguirla così rigidamente. Così nello spettacolo ci sono alcuni passaggi in cui i personaggi, all’inizio della scena successiva, parlano ancora come quelli della scena precedente. Addirittura in un’occasione, quando si passa alla scena “russa”, uno dei personaggi parla ancora in una specie di spagnolo...

E gli attori, che cosa hanno dato a te e ai loro personaggi nel corso delle prove?
Il ritmo! Io posso dare loro soltanto delle indicazioni molto precise sulla battuta...

Indicazioni sulle motivazioni e sulle intonazioni?
Piuttosto indicazioni di movimento e di rapporto. Soprattutto di rapporto. Però il ritmo dello spettacolo è assolutamente merito loro. I quattro protagonisti della Modestia sono bravissimi per due motivi: in primo luogo fanno bene i loro personaggi, e poi hanno un affiatamento che un regista non può costruire. Non glielo può imporre. Ho insistito molto sul fatto che il testo è basato sui rapporti tra i personaggi: ma un personaggio non sa mai chi è l’altro, non lo deve mai sapere, perché la situazione deve sempre rimanere sospesa. Però più di questo non potevo dare.

Dunque dagli attori sono arrivati il ritmo e il rapporto tra i personaggi...
Il modo in cui sono riusciti ad affiatarsi. Abbiamo provato relativamente poco, ma al debutto di Spoleto sembrava che avessero provato per tre mesi...

Invece, per quanto riguarda le intenzioni, ci sono state scene in cui tu avevi un problema e gli attori ti hanno tirato fuori dai guai?
Direi di no...

Insomma, mi pare di capire che hai lavorato quasi più a togliere agli attori le idee che potevano essersi fatte sul loro personaggio, i loro pregiudizi...
Anche perché una qualità dei personaggi di Spregelburd che apprezzo è che nemmeno loro stessi si conoscono così bene. Uno dei motivi del fascino della Modestia, e in genere di tutte le commedie di Spregelburd, è che i personaggi hanno degli obiettivi sull’azione, sanno benissimo quello che devono fare in quel preciso momento, ma non hanno certezze sulla propria identità. È qui che la commedia diventa davvero interessante...

Anche nel lavoro sugli attori...
Perché nel lavoro sugli attori si riproduce il senso della commedia... Quello che deve fare ogni attore è soprattutto lasciarsi portare da questo meccanismo. Se l’attore gestisce troppo il personaggio, se si pone in maniera eccessiva il problema delle sue motivazioni, e se deve metterle in relazione alle motivazioni dell’altro personaggio, il meccanismo s’inceppa. Seguendo questa strada, ne uscirebbe una specie di commedia psicologica, che però non terrebbe più, perché in scena perderebbe tutto il suo ritmo. Per questo ho molto spinto sul versante della mobilità, verso una mobilità totale.

Nei testi di Spregelburd c’è moltissima ironia, molte scene comiche. Anche nella tua messinscena della Modestia ci sono scene molto divertenti, ma alla fine dallo spettacolo emerge una visione assai più tragica dell'esistenza, anche rispetto ad altri allestimenti dei testi di Spregelburd...
Però lo spettacolo è molto divertente!

Ma anche profondamente tragico...
Alla fine della Modestia, quello che ti resta, non tanto dalle singole battute ma dall'intera commedia, è che nessuno dei personaggi è più al proprio posto, nessuno si sente più al proprio posto da nessuna parte. E questo non è tragico?

Può essere sia comico sia tragico...
Può anche far ridere. Però a pensarci bene, e facendo riferimento anche alle nostre esperienze, non è più così divertente... Succede anche con Il panico, un altro tassello della Eptalogia sui sette vizi capitali di Spregelburd, che porterò in scena l’anno prossimo. La commedia ruota in torno a un morto circondato dai vivi, e come La modestia fa molto ridere. Però se fai attenzione ti accorgi che tutti i personaggi “vivi” sono degli spostati: il Terapeuta fa il dog sitter, la sensitiva Susana si “occupa di una bambina”... Tutti i personaggi fanno centomila cose insieme e devono di fatto essere dappertutto. Non riescono mai ad essere concentrati su quello che stanno facendo in quel preciso momento, perché stanno già correndo da un’altra parte... L’unico personaggio che si sente al proprio posto è proprio Emilio, il morto intorno a cui ruota il testo: lui ha la serenità di chi è crepato, mentre gli altri sono in preda al panico causato da questa continua bilocazione. È una trovata che potresti trovare in una pièce di Coward o di Priestley, quasi un gioco da commedia brillante. Invece in questo caso, siccome il riferimento è il cinema horror, il testo si colora di un’altra tinta.

Quest’anno Rafael Spregelburd ha vinto per il secondo anno consecutivo il Premio Ubu per la migliore novità straniera, per Lucido. Ha mandato un messaggio di ringraziamento, nel quale ha sottolineato l’attenzione che ha oggi l’Italia per la sua drammaturgia, che è nata in una Argentina profondamente segnata dalla crisi economica, proprio come l’Italia di questi ultimi anni. Questa sensazione di incertezza, questa necessità di arrabattarsi facendo più parti in commedia, questo sdoppiamento, è certamente un riflesso di questa crisi...
Sotto sotto, però, c’è un altro aspetto, anche se non viene mai esplicitato. Nel teatro di Spregelburd c’è incertezza su tutto, ma non c’è alcuna incertezza sui valori fondamentali dell’esistenza: la lealtà, l’etica... I personaggi sono altrettanti imbroglioni, ma con un senso etico fortissimo.

Ma come è possibile essere degli imbroglioni con un senso etico fortissimo?
Sono imbroglioni che però sanno che cosa è il bene e che cosa è il male. In loro non c’è cinismo, e questo è molto piacevole. Anche artisticamente, nell'approccio di Spregelburd al teatro, accade la stessa cosa. La sapienza con cui sono costruite le sue commedie è certamente frutto di una straordinaria furbizia drammaturgica, però al loro interno c’è anche un elemento di saggezza. In questo senso, si può dire che Spregelburd, a differenza di tantissimo teatro contemporaneo, non la vuol dare a bere.

Che cosa vuol dire che “non la vuol dare a bere”?
Che non vuol farla franca, che è sincero nel momento in cui costruisce le sue finzioni.

(Milano, 21 dicembre 2011)

 


 

La lettera scarlatta alla Socìetas Raffaello Sanzio
Una nota sull’aggressone contro Sul concetto del Volto del Figlio di Dio, Castellucci, Shammah e la nostra intelligenza
di Oliviero Ponte di Pino

 

Si sta scatenando, a partire da internet o meglio dalle sue fogne, una indegna campagna – ancora più disgustosa perché intrisa di antisemitismo e con minacce violente - da parte di sedicenti gruppi cattolici o tradizionalisti (insomma, fondamentalisti) contro le repliche milanesi dello spettacolo Sul concetto del Volto del Figlio di Dio della Socìetas Raffaello Sanzio, in programma al Teatro Franco Parenti dal 24 gennaio prossimo.
Questa gazzarra prova a rilanciare a Milano la campagna già orchestrata a Parigi, di cui www.ateatro.it aveva tempestivamente dato notizia.
L’attacco nasce prima di tutto dall’ignoranza dei suoi promotori, e dalla loro arroganza censoria. Il loro obiettivo è quello di inescare una campagna di “panico morale” contro uno spettacolo che loro ritengono sacrilego (in genere senza nemmeno averlo visto). Il tono agghiacciante della campagna dovrebbe sicuramente disgustare qualunque osservatore e anche la maggioranza dell’opinone pubblica: ma questi attivisti sperano anche nella superficialità di molti media, che non frequentano i teatri e non sanno pressoché nulla del lavoro della Socìetas Raffaello Sanzio.
Forse può essere utile ricordare alcune informazioni di carattere generale, che aiutano a capire quello che sta succedendo, e perché dobbiamo difendere il Teatro Franco Parenti e la sua direzione, la Socìetas Raffaello Sanzio, Romeo Castellucci e il suo spettacolo.


Milano città aperta?

Milano si è sempre creduta una città moderna, liberale e aperta, e come tale si è accreditata.
Non è del tutto vero. La città ha visto nel recente passato diversi casi di censura teatrale (e non solo: vedi i recenti problemi con un artista di fama mondiale come Cattelan).
Uno dei più clamorosi riguarda che aveva colpito nel 1961 L'Arialda di Giovanni Testori (che nel 1975 avrebbe inaugurato proprio il Teatro Franco Parenti con l’Ambleto). Lo spettacolo, con la regia di Luchino Visconti, era reduce da cinquanta repliche a Roma: a Milano la commedia venne bloccata dopo la prima perché «morbosa, oscena e ripugnante». (Anche lo spettacolo della Socìetas Raffaello Sanzio è stato appena replicato a Roma, la città dei papi, senza alcun problema.)
Due anni dopo, anche nel 1963 la messinscena della Vita di Galileo, protagonista il celebre scienziato perseguitato dall'oscurantismo della Chiesa, venne furiosamente attaccata dal mondo cattolico, la curia da un lato e la DC dall'altro. Lo spettacolo venne difeso della società civile milanese e poté andare in scena, ma la battaglia non rimase riva di conseguenze nella successiva soria del più rande stabilemilanse e della città.
Nel 1966 lo «scandaloso» happening milanese del Living Theatre al Teatro Durini venne concluso con l'intervento della polizia dopo gli schiaffi della contessa Borletti, proprietaria dell'immobile, a Marisa Rusconi, la moglie di Franco Quadri, che aveva organizzato l’evento.
Inutile ricordare l’ostracismo della destra milanese contro la Comune di Dario Fo e Franca Rame, cacciati dalla Palazzina Liberty con gran gioia dei fascisti meneghini e di fatto sempre emarginati.
A Milano anche uno spettacolo della Socìetas Raffaello Sanzio rischiò la censura: il terribile Gilgamesh (1990), spettacolo-rito tenebroso e inquietante, una sincera invocazione alle antiche divinità, prodotto e ospitato dal Crt. Dopo una emozionante prima, il presidente del teatro, Sisto Dalla Palma, minacciò di sospendere le repliche. Al termine di una faticosa mediazione e dopo l’immediata uscita di una serie di recensioni, si trovò un compromesso: le repliche previste venero salvate, ma venne programmato un incontro pubblico, una sorta di processo pubblico allo spettacolo, nel quale la compagnia se la cavò brillantemente. La vicenda segnò tuttavia la rottura tra la compagnia e il teatro milanese; poco dopo la Socìetas Raffaello Sanzio venne scandalosamente esclusa dai finaziamenti ministeriali e dovette reinventare la propria economia: da un lato svilupando l’attività pedagogica, dall’altro cercando sbocchi all’estero. Verrebbe da dire che è anche grazie a questa vicenda che la Socìetas è diventata uno dei gruppi teatrali più noti a livello internazionale. In compenso, da allora ha sempre avuto enormi difficoltà a portare i suoi spettacoli a Milano, dove i suoi più recenti capolavori non sono mai arrivati.
Speriamo ch in questa occasione Milano sappia difendere la compagnia, lo spettacolo e il teatro che lo ospita. E la propria dignità.


Di(o)gitale

Lo spettacolo scandalizza i rissosi difensori d’ufficio della tradizione per il suo uso di immagini “sacre”.
Questi perversi crociati avrebbero dovuto svegliarsi prima, viene da dire, perché la riflessione sull’icona è da sempre al centro della pratica teatrale del gruppo di Cesena.
Il volume in cui hanno storicizzato la prima parte del loro percorso artistico porta il sottotitolo Dal teatro iconoclasta alla super-icona. Una tappa cruciale di questo percorso è Santa Sofia. Teatro Khmer (1986), che segna la nascita della nuova Religione Columna. Sulla scena, venivano accostati il dittatore comunista cambogiano Pol Pot e Leone III Isaurico, l’imperatore iconoclasta di Bisanzio. Sul manifesto consegnato agli spettatori prima dello spettacolo si leggeva:

“Questo è il teatro che rifiuta la rappresentazione (...) Questo è il teatro della nuova religione: perciò vieni tu che desideri essere seguace delle colonne dell’Irreale. Il reale lo conosciamo, e ci ha delusi fin dall’età di anni quattro. (...) Ma non credere che sia il surrealismo la chiave del problema; la chiave surrealista è completamente sbagliata, nel suo inconscio conservatorismo rielaborato. Questo è il teatro iconoclasta: si tratta di abbattere ogni immagine per aderire alla sola fondamentale realtà: l’Irreale anti-cosmico, tutto l’insieme delle cose non pensate” (Claudia e Romeo Castellucci, Il teatro della Societas Raffaello Sanzio. Dal teatro iconoclasta alla super-icona, Ubulibri, Milano, 1992, p. 9).

E’ solo un esempio. Da sempre, con grande rigore, la Societas Raffaello Sanzio rifiuta ogni forma di superficiale realismo a favore di una “superrealtà”. Sulla scena, infatti, può materializzarsi quella superrealtà “che ti può cambiare la vita”: si rivendica così al teatro una dimensione decisamente politica, che rischia però di coincidere - se questa funzione viene effettivamente svolta fino in fondo - con lo svuotamento e la disintegrazione del teatro stesso. E’ una apocalisse del teatro che si rispecchia in quella che è, per Societas Raffaello Sanzio, la sua origine:

“Il nostro teatro è la risposta incoerente rispetto a un vero e proprio blocco morale - nei confronti del teatro stesso - di origine platonica, perciò si può dire che esso può esistere e si esalta solo là dove viene impedito.” (Epopea della polvere, p. 286)

In trent’anni di lavoro, Romeo Castellucci ha continuato ossesssivamente a lavorare su un passaggio cruciale della storia della cultura umana: il passaggio dal mito e dal rito alla tragedia e alla rappresentazione. Il suo lavoro opera nel triangolo delimitato da questi due vertici (mito-teatro) e dalla realtà (e, verrebbe da aggiungere, dalla realtà contemporanea). Le metafore degli spettacoli vengono generati da questo triangolo di forze.
E’ ovvio e inevitabile che questa ricerca sconfini spesso verso i terreni del sacro: siamo chiaramente molto lontani dalla teorogia dogmatica della Chiesa, ma una ricerca di questo genere ha profondissime radici nella cultura occidentale: se in qualche modo puntasse anche a ridefinire le sue fondamenta, o persino a sovvertirle, nessuno ha il diritto di cancellarla (e si trattrebbe per di più di una operazione inutile).
Non sorprende che Romeo Castellucci sia rimasto profondamente scosso dalla “parabola” di Hawthorne, Il velo nero del pastore, che ispira lo spettacolo. Il racconto d Hawthorne ha per protagonista un pastore che un giorno si presenta alla propria comunità con il volto coperto da un velo nero, e non lo smette fino oltre a morte.

“La figura del protagonista nella parabola di Hawthorne, il Pastore, mi offre un’occasione per indagare l’antico rapporto tra la rappresentazione e la negazione dell’apparire che, dalla tragedia attica, sostiene ogni nostro rapporto con l’immagine. Se si potesse riassumere questo spettacolo in una frase si potrebbe dire che qui viene mostrata non la storia di un uomo, bensì quella di un pezzo di vetro oscuro, usato come specchio per riflettere e filtrare l’immagine dell’immagine. Ogni rapporto illustrativo al testo di Hawthorne risulta vano, perché assorbito nel collasso del significato programmato e disposto dallo scrittore stesso, che qui io voglio raccogliere come una specie di eredità”.

L’aggressione contro Il velo nero del pastore, e la “lettera scarlatta” con cui questi neo-bigotti vorrebbero marchiare Romeo Castellucci, è dunque frutto di un equivoco, perché la sua attenzione al sacro è profonda. Conduce da sempre una riflessione teologica in forma teatrale: dunque i nuovi inquisitori sono ignoranti e non lo hanno capito; oppure hanno capito (o credino di capire) e la loro è semplicemente una aggressione fascista contro chi ha una diversa visione del divino.
(Inutile di fronte a questa ignoranza, insistere sul rapporto di molti santi con secrezioni e trasgressioni di vario genere.)
Ma c’è un equivoco forse ancora più elementare. Al centro delle polemiche è l’uso in scena del meraviglioso e terribile volto di Cristo Salvator Mundi dipinto da Antonello da Messina. Ammesso che quella immagine sia oggetto di un gesto sacrilego, andrebbe notato che:
- non è né Cristo in persona né un suo rappresentante terreno, da Benedetto XIV all’ultimo sacrestano;
- non è nemmeno la tavola di Antonello da Messina, custodita alla National Gallery di Londra;
- è solo una proiezione digitale, dunque bit che si trasformano in onde elettromagnetiche e vengono proiettate su uno schermo;
- che siamo in un teatro (dove tra l’altro la gente sceglie liberamente di entrare, pagando un biglietto) e non in un luogo sacro.
Ma forse mi sbaglio, la scena teatrale è davvero un luogo sacro. E in effetti un po’ l’avevo sempre pensato. Se le cose stanno davvero così, suggerirei a tutti teatranti di smettere di pagare l’ICI, o IMU che dir si voglia... Abbiamo i fondamentalisti pronti a testimoniarlo!


Se vuoi leggere il bellissimo racconto di Hawthorne.

Il teatro iconoclasta della Socìetas Raffaello Sanzio nella ateatropedia.

 


 

L'arte della superficie
Dal videomapping all'interaction design per il teatro
di Anna Maria Monteverdi e Enzo Gentile

 

Mappando superfici
Prima era la videoproiezione. Poi il digital mapping ha oscurato tutto il resto: architectural mapping, facade projection, 3D projection mapping, videoprojection mapping, display surfaces, architectural Vj set sono alcune delle definizioni usate per questi nuovi formati artistici. L’ambito è quello della cosiddetta augmented reality, una sovrapposizione di strutture materiali con un rivestimento virtuale che ne modifica la percezione visiva.
Sulla base di questi esperimenti di realtà aumentata sono state create opere video artistiche architetturali intrinsecamente notturne e spettacoli teatrali con scenografia/attore virtuale che prevedono una mappatura (mapping) 2D, 3D e persino 4D di grande realismo e una proiezione su enormi superfici: pareti di palazzi, castelli, torri ma anche fondali teatrali. Animazione, musica, sperimentazioni video-grafiche e interattività si prestano allo sviluppo di oggetti multimediali e artistici sempre nuovi. Questa tecnica aggiunge un’interazione ardita tra la solidità dell’architettura e la fluidità delle immagini in movimento.
Se lo street artist americano Julian Beever - ribattezzato familiarmente Pavement Picasso - usa il gessetto per creare effetti tridimensionali illusionistici sul pavimento delle strade (3D street art), oggi è la tecnologia video quella in grado di ingannare l’occhio e farci credere di vedere quello che non c’è.



Per l’Italia sono specializzati in questo campo Apparati Effimeri (creatori del visual di Madre assassina per Teatrino Clandestino), Roberto Fazio, Luca Agnani, AreaOdeon, Claudio Sinatti, Enzo Gentile/Giacomo Verde di White Doors Vj e Insynchlab.
Nel mapping internazionale operano i tedeschi Urban Screen, architetti specializzati in allestimenti digitali e installazioni anche in aree urbane. Nati come gruppo nel 2008 ma già attivi sin dal 2004 con sede a Brema, lavorano nel campo dell’intrattenimento, della pubblicità e dello spettacolo usando i nuovi media digitali e le videoproiezioni. Aperti alla collaborazione con artisti che lavorano nell’ambito della motion graphic e del video, hanno creato un nuovo genere di arte pubblica rigorosamente digitale. L’operazione artistica che inaugurano con tecniche e programmi creati appositamente prevede un preciso mapping della superficie parietale e la proiezione di un rivestimento digitale video o animato, perfettamente sagomato sullo sfondo architettonico: questa proiezione dà vita a straordinari eventi ed effetti tridimensionali, improbabili quanto fantasmagorici.

Reale o virtuale? Dal monumentismo prospettico al videomapping
L’illusione percettiva, nei casi più riusciti di videomapping, è quella di una “architettura liquida”, mobile, che aderisce come pellicola o si stacca dalla superficie vera. Frammenti di superfici come fossero mattoncini di Lego vanno a creare un’ illusione ottica di forte impatto, il tutto sotto gli occhi del pubblico inconsapevole o del passante, che non distingue più tra la trama architettonica vera e propria e quella virtuale. Subito acquisita dai grandi marchi internazionali per la pubblicità e i lancio di nuovi prodotti, la tecnica fa intravedere anche un possibile utilizzo performativo digitale, che pernette di unire video art, animazione, installazioni, graphic art, light design e teatro dal vivo.
Facciate di case e chiese con i singoli elementi architettonici che si disgregano, diventano quadri/pitture in movimento, arricchiti di macchie di luci e di colore che si modificano a ritmo di musica, personaggi digitali che si arrampicano su finestre, portoni, tetti: è una nuova arte mediale, una arte media-performativa. I confini del teatro si allargano: l’ambiente non è più lo sfondo, è l’opera.
La tecnica è quella del mapping and masking, che sfrutta la pre-distorsione dell'immagine o del filmato per farlo apparire non distorto sulla superficie da mappare. La proiezione deve essere prima di tutto perfettamente omografa: due piani risultano essere omografici quando gli elementi geometrici dell'uno corrispondono biunivocamente a quelli dell'altro. Qualunque alterazione involontaria della distanza e dell’angolo di incidenza del fascio luminoso implica modificazioni dimensionali e prospettiche dell’immagine, e conseguentemente irregolarità geometriche e defocalizzazioni più o meno estese dell’immagine proiettata. E’ necessario considerare inoltre, la posizione degli spettatori (max + o -15°) rispetto alla proiezione per ridurre gli effetti di percezione innaturale del 3D (che sono in 2D...).
Siamo di fronte a una rinnovata “macchina di visione”: in fondo le video proiezioni in mapping si basano sullo stesso principio su cui erano fodate anche le “visioni ineffabili” del Cinquecento, quelle cioè, soggette all’anamorfosi, forzatura estrema della prospettiva lineare rinascimentale. Nelle opere anamorfiche, la realtà può essere percepita solo attraverso uno specchio deformante, mentre il mapping video non è che una maschera che deforma/crea una realtà inesistente.
La storia dell’arte ci ha fatto conoscere non solo la prospettiva esatta “all’italiana”, ma anche gli scorci, gli “sfondati prospettici”, la concatenazione dei piani e i punti di vista multipli che pongono in pittura il problema della profondità – l’espressione piana della terza dimensione.
Per dare spessore storico-artistico a questa nuova tecnica video di illusione tridimensionale sopra un’ architettura, si potrebbero citare la prospettiva monumentale e le architetture dipinte barocche (il cosiddetto quadraturismo, il “lavoro di quadro” secondo l’espressione del Vasari con riferimento alla rappresentazione di finte architetture in prospettiva che “sfondano” i limiti dello spazio reale, ingannando l’occhio, quella che Omar Calabrese definisce la tripla spazialità nella pittura) e il trompe-l’oeil.



Gli affreschi della Cancelleria del Vasari.

La suggestione, la costruzione fittizia dello spazio, l’unione del fondo al primo piano e il conseguente artificio illusionistico sono alla base dell’arte monumentale: dal Vasari degli Affreschi della Cancelleria al Tiepolo degli affreschi a Palazzo Labia, dal Veronese della Cena in casa Levi al Michelangelo della Cappella Sistina, la pittura si unisce all’architettura e si fonde con essa.
Così spiega Charles Bouleau ne La geometria segreta dei pittori:

La prospettiva monumentale è l’insieme delle compatibilità imposte a un’opera dal posto che essa occupa in un monumento. Occorre che non vi sia conflitto ma armonia tra l’opera rappresentativa istoriata o meno e il monumento che è anch’esso un’opera. Il monumento ha diritto al rispetto delle sue pareti, delle sue proporzioni, al rispetto della sua scala. Le pitture non devono distruggere, con le illusioni che fanno nascere, la superficie murale; e d’altra parte gli scorci non devono nuocere alle pitture”.







Dall’alto: la scena di aldassarre Peruzzi per la Calandria, la scena comica del Serlio, gli affreschi del Bibbiena a Villa Prati.

Ripercorrendo la storia del teatro, è impossibile evitare di citare le tecniche di raffigurazione pittorica dello spazio con lo sfondo dipinto prospetticamente, le scenografie illusionistiche del Cinquecento e del Seicento e relativa trattatistica: dai disegni di Baldassarre Peruzzi per la Calandria (1514) alle scene-tipo dipinte del Serlio e ispirate alla classicità per la scena comica, tragica e satirica (1545), alla sezione teatrale dell’opera Perspectivae libri sex di Guidubaldo (1600) ai libri di Andrea Pozzo (1693) e di Ferdinando Galli Bibbiena (1711), passando per la celeberrima Pratica di fabbricar scene e machine ne’ teatri di Nicolò Sabatini (1638) (su questo, vedi gli studi specifici e in particolare il volume di Ferruccio Marotti Lo spazio scenico. Teorie e tecniche scenografiche in Italia dall’età barocca al Settecento, Bulzoni, 1974).
Per la contemporaneità, si possono citare:





- il landscape, il cubo di Lepage per Andersen Project, un dispositivo concavo che accoglieva immagini in videoproiezioni le quali grazie al rialzamento della struttura, sembravano avere corporeità tridimensionale



- la gabbia prospettica dell’Ospite dei Motus, una scenografia monumentale che incombe e schiaccia i personaggi costituita da un piano inclinato chiuso su tre lati composti da altrettanti schermi.
L’ingegnosità di questa tecnica permette, in entrambi i casi, un’artigianale ed efficace integrazione di corpo e immagine grazie a un leggero rialzamento centrale della struttura, restituendo l’illusione di volumetria e profondità delle immagini proiettate.

La tecnica del videomapping sta suscitando grande interesse generale e praticamente non c’è ormai grande evento, notte bianca, celebrazione di centenario che non preveda un videomapping. Il videomapping è inoltre diventato un passaggio “obbligato” per lanciare grandi marchi: si è passati dai manifesti pubblicitari inquadrati e stampati alle insegne al neon fino al digital signage (la réclame in formato elettronico, a led su schermi LCD o al plasma su touch screen in spazi pubblici). Spesso si tratta di eventi non solo finanziati ma promossi da grandi major come Toshiba, Nokia, Sony, Smasung, LG, per mostrare la potenza dei loro proiettori (considerato che ovviamente i prncipali fruitori di proiettori da decine di migliaia di lumen sono i mega-eventi da stadio, concerti e promotional).
Fondali live con maxi schermo a led per concerti in facciate di palazzi sono stati usati in piazza Duomo nel 2008, in occasione dell’apertura del Salone del Mobile con il concerto di Christian Fennesz con i visuals di Giuseppe La Spada. L’evento era firmato dalla società italiana Urban Screen Spa, assegnataria a Milano del primo progetto di medializzazione urbana in Italia con una mediafacciata di 487 metri quadri (cantiere Arengario, piazza Duomo Milano, progetto Mia, Milano In Alto): Mia rappresenta la più grande architettura multimediale a led esistente in Europa.
Si sono poi moltiplicati i festival internazionali dedicati al genere, come il Mapping Festival di Ginevra, Urban Screens a Caceres in Spagna e il Kernel a Desio.



Il fenomeno, che sta assumendo proporzioni sempre più vaste e una diffusione internazionale, è stato anche oggetto di conferenze internazionali organizzate dall’International Urban Screen Association, eventi (a Manchester e Amsterdam) e una pubblicazione liberamente scaricabile dalla rete dal sito Networkcultures.org.
Al Lumiére Festival di Lyon il gruppo 1024 Architecture si fa notare perché fa letteralmente indossare una maschera al palazzo.


Al Festival di Kernel è tutto un susseguirsi di crolli, crepe e intrusioni vegetali e fantascientifiche nella facciata di Palazzo Tittoni a Desio.



Originale è il mapping del terreno dei campi da tennis per il French Master a Paris Bercy nel 2010, attivata con un controller PS3 e software MadMapper (semre a opera di 1024 Architecture).



Anche Studio Azzurro ha realizzato nel novembre 2011 un videomapping dal titolo Risveglio, allegoria di figure e musica a Milano in piazza Scala: in occasione dell’inaugurazione del Polo museale “Gallerie d’Italia”, dedicato all’Ottocento, il mapping ha coinvolto Palazzo Beltrami, Teatro alla Scala e Palazzo Marino. Coerentemente con la poetica di Studio Azzurro, le figure delle pitture si animano, fluttuano, escono dal quadro per invitare la gente a entrare nel museo.
White Doors Vj usa la superficie architettonica mappata come “luogo” per un live videoperformativo, in cui Giacomo Verde agisce in diretta a ritmo di musica, conferendo effetti digitali su forme e oggetti videoripresi che si mescolano al contenuto del videomapping. E’ una significativa variante dei suoi “videofondali” live realizzati per reading poetici, eventi coreografici o sonori.



Un vero inganno per gli occhi è invece, questo evento berlinese, un mapping come un film 3D con il palazzo che diventa un robot, un cubo di Rubik, un Transformer, una reggia di ghiaccio.



LG optimus One with Google is Coming - Maximize 3D Effect by Facade Mapping Image Show - Kulturbrauerei in Berlin from Lee Inho on Vimeo.

I software più usati per il videomapping sono: vvvv (V four), processing (open source); KPT (free), Isadora, Flash Adobe,Cinema 4D, MAX/MSP, Pure data (open source), Jitter, OpenFrameworks (open source). Per il 3D: Blender (open source), 3D Studio Max.

Processing è un linguaggio di programmazione basato su Java, a sua volta erede del progenitore di tutti i linguaggi a oggetti – il C – con cui è possibile sviluppare applicazioni visuali molto suggestive, gestire l’interazione suoni-ambiente e creare simulazioni realistiche per giochi o contenuti interattivi. Possiede una sintassi estremamente lineare, anche se può arrivare ad alti livelli di complessità, in termini di prodotto. E’ particolarmente indicato per il multimedia e viene distribuito con licenza open source. Il linguaggio, che ha valenza multi-piattaforma (Windows, Mac, Linux, …), s’avvale di un’estesa community internazionale, in cui è possibile sperimentare un confronto continuo e condividere i risultati raggiunti.
Principale sito di riferimento: www.processing.org

VVVV (convenzionalmente denominato V4 o “V four”) è un altro ambiente per la programmazione multimediale dall’utilizzo free per uso non commerciale. Gestisce grafica, audio e video in tempo reale attraverso un’interfaccia visiva a diagramma di flusso, che non richiede la scrittura di codice e rappresenta icone-oggetto, dotate di proprietà interattive e modificabili. E’ un modo di programmare per “nodi linkati” d’approccio intuitivo, particolarmente adatto a chi è abituato a trattare rappresentazioni visive della comunicazione. Principale sito di riferimento: www.vvvv.org

Mappando oggetti
Si può mappare qualunque cosa, non solo superfici parietali, ma anche (e più agevolmente) oggetti piccoli, pezzi di arredamento, persino manichini. E’ dunque possibile usare il mapping per la scenografia, i costumi, l’interior design, gli show room.
In questa demo si mostrano le infinite possibilità del videomapping su piccola scala, usando come superficie di proiezione un manichino che viene mascherato e vestito videodigitalmente in mille modi differenti.



Anche l’installazione artistica cambia veste per dare vita a quella che potremmo definire con un ossimoro, la moving installation, versione hi tech delle videosculture di Tony Oursler.
Ecco l’installazione in videomapping interattiva di Sembilan Matahari:



Originale e inquietante la macchina umana pensata per l’installazione realizzata con la tecnica del mapping al Place des Arts dal titolo Locomotive del gruppo canadese Departement: un groviglio di corpi vanno a formare un ingranaggio corporeo dentro uno schermo a mosaico.



Locomotive - Place des Arts - Espace culturel - Teaser from departement on Vimeo.

Impressionante anche l’installazione di AntiVJ.

La serie Sony Great Films Fill Rooms, che trasporta i personaggi della storia in universi lontani solo modificando videodigitalmente gli oggetti presenti in una stanza, sta spopolando in rete. Ovviamente qualunque oggetto può mutare forma con programmi di animazione e dare vita a video o film: la differenza è il live.

Dal cubo alle cattedrali
A inaugurare il genere “videomapping” sono stati gli Urban Screen, quattro anni fa, con il loro 555Kubik.



Un edificio cubico ospita una mano gigantesca e una tastiera, mentre i diversi quadri della superficie fuoriescono con un gioco geometrico assai intrigante.
In questo ambito si collocano anche Rose Bond, Fokus Productions,Telenoika, Paradigma, AntiVJ, Obscura Digital (che hanno creato sia il mapping per l’anniversario della Coca Cola, sia per un evento di interazione ispirato al mondo di Facebook in occasione del meeting degli sviluppatori del social network).



AntiVJ.



Sono stati proprio gli Obscura Digital, dopo il lavoro per l’Opera House di Sidney, a realizzare la più spettacolare videoproiezione mai realizzata, quella sulla Gran Moschea di Abu Dhabi per celebrare l’Unione degli Emirati Arabi. I numeri parlano da soli: 44 proiettori per un totale di 840.000 lumen hanno coperto una superficie larga 180 metri e alta 106.



Sheikh Zayed Grand Mosque Projections from Obscura Digital on Vimeo.

I budget utilizzati dalle grandi società non sono però ovviamente, alla portata della maggior parte degli artisti indipendenti. Occorre quindi puntare sulle idee innovative per sopperire a questo limite. La videoproiezione architettonica in spazi chiusi, meglio se interattiva, è una grande occasione che artisti e scenografi hanno a disposizione per rappresentare le loro idee.
Il videomapping può essere applicato in spazi chiusi, in teatri attrezzati, senza dover utilizzare proiettori dal costo di un appartamento: in situazioni del genere, le emozioni e le idee possono prevalere sul gigantismo tanto di voga in questo momento. Ecco che il mapping viene applicato alla vj culture, per i club, le discoteche e altri locali affollatissimi, dove la musica techno si accompagna sempre più spesso con il video live. A Ibiza il gruppo Palnoise intrattiene il pubblico con un mapping astratto collegato allo scatenato ritmo di un DJ.
Ma gli audiovisual mapping più spettacolari sono quelli di Amon Tobin: le sue performance sono caratterizzate da una struttura geometrica posta al centro del palcoscenico, sulla quale vengono proiettate delle immagini. L’impatto visivo offre un ottimo supporto al suo particolare sound. Il gruppo Le Collagiste VJ, come dice il nome, propende per soluzioni spettacolari di VJ mapping.



Il pubblico è particolarmente attratto da tali forme di spettacolo visivo-musicale, non solo perché rappresenta una novità ma anche perché rimane affascinato dagli stravolgimenti della sua percezione, dalla creazione di oggetti “impossibili”, e dalla precisa sincronia tra suono e immagini.
Rimandiamo al canale video di Vimeo dedicato al videomapping con aggiornamenti continui: http://vimeo.com/channels/ilovemapping; e naturalmente ai numerosi blog, siti e “tutorial” in rete che spiegano il procedimento e il funzionamento dei vari software.
Il passaggio successivo è stata l’aggiunta dell’interazione con il pubblico: un esempio di interactive projection mapping è Dancing House, a cura dell’artista austriaco Klaus Obermaier/Exile per il Lichtsicht, (Bad Rothenfelde, Germania).



Roberto Fazio con Nicola Saponaro sta sperimentando l’interactive architectural mapping usando vvvv. L’interazione avviene attraverso il movimento umano letto dalla Kinect, ma è possibile interagire anche parlando o cantando da un microfono in questo mapping di 1024 architecture per il Festival Lumiére di Lyon, Teatro dei Celestini.



E’ anche possibile usare un IPAD secondo Nuform: le persone possono scegliere colore, effettistica luminosa e altri prodigi da proiettare sui palazzi.

NuFormer, società che ha sede nei Paesi Bassi, è specializzata nella comunicazione digitale, motion graphics, film digitali e proiezioni 3D per eventi commerciali: straordinariamente d’effetto il loro Projection on Buildings




Il video della facciata del palazzo che sembra sfaldarsi sotto gli occhi del pubblico o riempirsi di palline colorate ha fatto il giro dei siti di arte digitale, decretando il successo di questa specialissima nuova forma d’arte.



NuFormer Showreel 2011 from NuFormer on Vimeo.

Così Rob Delfgaauw di Nuformer:

“Abbiamo richieste per spettacoli, performance, eventi e concerti. Siamo sviluppando una tecnica per usare proiezioni 3D all’interno specialmente per teatri in occasione di concerti. Attualmente la nostra ricerca riguarda come trovare la modalità più adatta per unire le proiezioni 3D con l’interattività e comunicare l’esperienza al pubblico. Dal momento in cui c’è abbastanza buio e la luce d’ambiente è bassa, noi possiamo proiettare indifferentemente all’esterno o in un teatro all’interno.
Gli artisti hanno di fronte un nuovissimo modo e un nuovo ambiente con cui esprimersi. Prova a considerare un enorme edificio come se fosse il fondale animato di un palcoscenico. E’ impressionante. Soprattutto se il contenuto viene generato in tempo reale.”
(intervista di Anna Maria Monteverdi/Enzo Gentile, 2010).

Interaction design per il teatro e la performance

Vorremo soffermarci proprio sull’“è impressionante” di Rob Delfgaauw, con alcuni esempi che dimostrano le potenzialità del mapping teatrale. L’utilizzo nel teatro riguarda non solo le scenografie (si proiettano ambienti digitali oppure le videoproiezioni lambiscono completamente i volumi della scena) ma anche l’interazione di oggetti e spazio (e grafiche e video) con gli attori in scena.
I nuovi programmi svincolano l’attore da posizioni preimpostate e da movimenti obbligati, lo liberano dai lacci delle armature protesiche a sensori e dai cavi di collegamento: l’attore è così libero di agire, mentre è il sistema (vero co-protagonista) a “riconoscerlo”, a “seguirlo” e a rispondere con un feedback di qualunque genere, audio e video.

Cinématique. un procedimento di creazione di segni grafici realizzati in diretta e interattivi con i danzatori, come fosse un disegno animato, è quello della compagnia Adrien M. e Claire B per Cinématique: lo spazio scenico è un mondo di oggetti, grafica e segni virtuali (lettere, punti, linee) che appaiono e scompaiono, dove tutto diventa mutevole intorno ai performer e persino il pavimento sembra ingoiarli dentro. Il sistema interagisce attraverso una webcam, con i movimenti dei ballerini e con la luce.
http://www.am-cb.net/projets/cinematique
Il cuore della coreografia è il programma originale E-motion creato dal fondatore del gruppo Adrien Mondot nel 2006. Il software E-motion riconosce i movimenti di una persona (a 60 frame per secondo, per una maggiore fluidità) e li fa interagire con figure, sfondi, oggetti animati al computer in accordo con le leggi fisiche (massa, gravità, velocità). Utilizza un protocollo standard che si chiama OSC (il successore del MIDI) per lo scambio di dati tra le periferiche e il pc (wiimote, webcam, sensori...). Rispetto ad altri software non richiede grande capacità di programmazione, è compatibile con Quartz composer (MAC) ed è particolarmente ottimizzato per la danza e dove il movimento rappresenta una priorità.
Lo spettacolo, dopo il debuto nel 2010, è arrivato quest’anno anche al Festival Prospettiva di Torino a cura di Fabrizio Arcuri.

Insectione di Matilde De Feo: un significativo progetto di interaction design è quello ideato dall’artista performativa e video Matilde De Feo per la Fondazione D’ARS di Milano (progetto di residenza artistica e produzione 2011 lanciato da Melting Pot-cantiere creativo diretto da Cristina Trivellin).
Il titolo è Insectione, installazione e performance interattiva realizzata dall’artista napoletana con Tommaso Megale, Davide Todaro, Manuel Buscemi per la parte tecnica interattiva e la gestione del software.



Un insetto (proiettato sulla parete) si muove in base al movimento dell'attore, in tempo reale in “circuito aperto” (cioè senza una regia preregistrata), grazie al tracciamento di una webcam. Si capovolgono le regole del normale comportamento uomo-insetto e l'attore viene inseguito da un fastidioso sciame. La parte performativa consistite principalmente nell'interpretazione dell'attrice che gestisce lo spostamento degli insetti digitali attraverso i propri movimenti di allontanamento/avvicinamento dallo schermo di proiezione. Ancora in forma non definitiva, la performance mette in luce le mille possibilità narrative di un programma aperto e dell’interazione in tempo reale tra attore e dispositivo.



Il sistema interattivo è composto per la parte hardware da una webcam, un proiettore (attuatore), due casse attive (attuatori); per quanto riguarda il software, il sistema operativo è Ubuntu Studio.
L'interazione quindi la cattura ed il processamento delle immagini in ingresso dal sensore viene gestito da Pure Data. Le grafiche vettoriali sono invece gestite da Processing. Così Matilde De Feo, animatrice di Maldè, ci spiega da dove nasce il progetto e la sua estensione dal formato installattivo a quello performativo:

Il concept di Insectione nasce nel 2008, quindi un paio di anni prima dalla sua vera realizzazione, pienamente nello spirito di ricerca di mald'è che cerca di mettere in relazione le arti visive a quelle sceniche. Mi piaceva l'idea di lavorare sul concetto di malattia della forma, sulla normopatia che ci separa dalle forme instabili. Partendo quindi da un saggio di Evelyne Grossman, La Défiguration. Artaud-Beckett Michaux, ho sviluppato questo tema, ed è nato un lavoro sul rapporto uomo/insetto. Insectione si propone di gettare, attraverso l'interazione, un ponte tra mondo umano e reame degli insetti, di de-figurare le forme stabili in cui l'uomo facilmente si riconosce. Nella performance, nata successivamente e in coda all'installazione, gli insetti immateriali interagiscono e si muovono con l'attore grazie al tracciamento di una webcam, in tempo reale, in un circuito aperto, senza una regia preregistrata. I corpi immateriali si muovono come corpi reali in un contesto performativo e in una drammaturgia insolita e innovativa, forzando l'incontro tra le specie. L'avvicinarsi dell'attore-uomo non provoca la fuga dell'insetto, ma il suo moltiplicarsi e dilagare. Il flooding della psicologia comportamentista, l'inondazione, e la sovraespozione del soggetto all'agente fobico permette la desensibilizzazione, il superamento della malattia della forma. Il lavoro nasce come installazione ma il suo scopo e obiettivo ultimo è lo spettacolo dal vivo, la performance, l'interazione con i corpi degli attori. Mi piace immaginare uno spettacolo che si scrive sulla scena grazie all'interazione con questi corpi immateriali, programmati per muoversi con gli attori con un certo margine di improvvisazione. E' l'attore, attraverso il tracciamento della webcam a decidere l'azione dell'insetto, l'attore è quindi anche autore della performance. Con Processing tutto questo è possibile. La prossima tappa è sviluppare la performance fino a 25/30 minuti, partendo dai primi 10 minuti costruiti a Milano, pensando sempre ad una scrittura scenica che parte proprio dall'interazione (dalla tecnologia interattiva) per costruire una storia. Sto cercando in questi mesi spazi e mezzi per sviluppare questo tipo di ricerca, magari un laboratorio più o meno stabile centrato su questo tipo di lavoro. Napoli, la città dove vivo più spesso, non è attenta o molto sensibile ai nuovi linguaggi. mald'è cerca un posto buono, da qualche parte per proseguire il lavoro con Insectione.

Tommaso Megale ha curato l’aspetto tecnico:

Sia Pure Data che Processing, sono tool di programmazione facilitata, che permettono di creare con un buon margine di elasticità ciò di cui si ha bisogno. Considerando poi che si tratta di tecnologie libere la possibilità di modificarle per i propri scopi da molta libertà. La potenza di processing è limitata perché si basa su java, un linguaggio ad alto livello che per essere compatibile con tutti i sistemi operativi deve essere decodificato e ricodificato da una java virtual machine che appesantisce
 



SPECIALE ELEZIONI 2011

La cultura e lo spettacolo nei programmi elettorali

LE CITTA'
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Torino: Piero contro Michele
Ravenna: Capitale della Cultura 2019?
Cosenza: la differenza tra destra e sinistra
Napoli: (soprav)vivere di cultura?
Bologna: come rilanciare il "marchio Bologna"?
Trieste: marketing territoriale o ambizioni da capitale della cultura?
Cagliari: Massimo contro Massimo
Reggio Calabria: investimenti o fare sistema
Catanzaro: il più giovane candidato sindaco di un capoluogo di provincia
Siena: una capitale per Rozzi e Rinnovati
Varese: tra gruzzolo e patrimonio
Considerazioni finali e provvisorie