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ISSN 2279-9184

ateatro 74.53
Semi di cooperazione
La rete di tre teatri milanesi
di Adriano Gallina per Teatro Blu, Teatro della Cooperativa, Teatro Verdi
 

La stagione di Teatro Blu, Teatro Verdi e Teatro della Cooperativa si caratterizza quest’anno per la decisa apertura ad una nuova dimensione progettuale, tramite l’organizzazione comune di due veri e propri Festival, accomunati dal titolo "Dentro la festa. A teatro al di là del rito".
L’iniziativa è concentrata su due precisi periodi dell’anno (la giornata internazionale della donna e la festa dei lavoratori). Da qui il titolo del progetto: da un lato, l’opportunità "promozionale" di veicolare l’attenzione ormai piuttosto rituale che le due scadenze comunque ogni anno ridestano; dall’altro, e più significativamente, la possibilità di oltrepassare attraverso le arti della scena proprio questa dimensione di ritualità forzata, riproponendo un’approfondita riflessione sul senso straordinariamente attuale e sulle ragioni fondanti di queste celebrazioni.
L’intero programma, così, si snoda attraverso l’organizzazione di due veri e propri festival, ciascuno sviluppato nell’arco di due settimane con spettacoli ospitati contemporaneamente nei tre teatri. Per entrambi i festival è prevista una promozione specifica e – fermo restando che le ospitalità sono inserite organicamente nell’ambito di ciascun cartellone – forme di abbonamento trasversale ad hoc che consentano al pubblico di assistere ad ogni allestimento. Proprio per questo è possibile parlare correttamente di "festival" e non di "rassegna": si tratta di manifestazioni coerenti sul piano tematico e delle scelte artistiche, che possiedono il carattere di concentrazione temporale, presentando una quantità notevolmente elevata di spettacoli garantendone nel contempo un’accettabile tenitura.

Una breve sintesi numerica dei due progetti evidenzia l’ospitalità di 12 spettacoli per complessive 96 recite, con una media di 8 recite a spettacolo.

Le ragioni del progetto
Il progetto muove da alcune motivazioni (e ha in sé delle implicazioni) che oltrepassano – e con ciò a nostro avviso valorizzano – il dato strettamente artistico e gli elementi contingenti o accidentali dell’iniziativa:

(a) La promozione dell’innovazione teatrale
Una funzione essenziale nel panorama nazionale, che peraltro nel corso degli ultimi anni evidenzia una progressiva contrazione – in particolare nell’area milanese – limitando drasticamente le reali possibilità di nuove emergenze artistiche e, con ciò, le reali prospettive di formazione dei pubblici e di evoluzione del gusto.
(b) La cooperazione tra strutture teatrali
Un segnale che riteniamo essenziale, volto ad oltrepassare in parte – procedendo per affinità progettuali – le numerose ragioni di frammentazione e frattura che caratterizzano il panorama milanese, il suo definirsi spesso per steccati anziché per obiettivi comuni. Il progetto – che è fondato sulla discussione e successiva condivisione delle scelte, quindi anche su una relazione sanamente dialettica – da un lato amplia considerevolmente i confini di un mercato possibile per il nuovo teatro, dall’altro sperimenta il grado di mobilità dei nostri pubblici (che non è affatto sovrapponibile, almeno non meccanicamente, alla formula di "invito a teatro", priva per definizione di un’omogeneità di area). Lungo la linea di questo convegno, ci piace poter pensare a quest’iniziativa come ad un seme sul terreno dei possibili cambiamenti "virtuosi" del nostro sistema.
(c) La dimensione di festival
Un dato progettuale che, a nostro parere, agisce come moltiplicatore funzionale dell’intera iniziativa. Nella possibilità di introdurre elementi di unità tematica, di contiguità e continuità temporale, di promozione congiunta e reciproca, di forme di abbonamento trasversali. Una dimensione che porta con sé, tra l’altro, la possibilità di interrompere brevemente la strutturazione esclusivamente lineare delle programmazioni cittadine per introdurre caratteristiche di sincronicità nei cartelloni, con una conseguente (almeno lo speriamo, visti i tempi bui delle redazioni spettacolo) amplificazione della risonanza.

Ecco, ci pare che – a prescindere come dicevamo dai dati specifici del progetto – sia interessante evidenziare come, in questa "buona pratica", siano impliciti:

1. La comunicazione tra operatori in fase di programmazione.
2. La capacità di (e la disponibilità a) negoziare parzialmente le scelte artistiche.
3. Il riconoscimento delle affinità come elemento (sembra naturale ma nella prassi non lo è affatto) di coesione anziché di divisione concorrenziale.

E (riprendendo due spunti del mio intervento di Napoli) se questa prassi – che è essenzialmente comunicativa ma che possiede nel contempo straordinarie valenze organizzative ed economiche di scala – divenisse patrimonio operativo comune, normalità (un po’ come in Francia)? Lo divenisse non solo all’interno delle città ma anche tra i teatri di uno stesso territorio? O fra le stabilità di innovazione? Se imparassimo a parlarci prima anziché – post festum – dirci: "Ah, lo ospito anch’io", o – più spesso – "Ah è bello? L’avessi saputo!"?
Cosa accadrebbe? Non saremmo un po’ più vicini al miraggio del "farsi sistema"? Ad un possibile circuito alternativo? Alla dignità di una – almeno relativa – autonomia possibile?

 
 
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